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Tra le ceneri di questo pianeta: Thacker e la resistenza gotica

Parlare di ciò di cui non si può parlare: partendo da un’inversione rispetto alla famosa conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein, l’ultimo saggio di Eugene Thacker, stella nera del pessimismo cosmico made in U.S.A, recentemente tradotto da Claudio Kulesko ed edito da Not, rappresenta un tentativo di abitare metafisicamente l’oscuro abisso che separa l’umano dalla comprensione del cosmo che lo circonda e che, parallelamente, lo abita. Un libro breve e intenso, una narrazione non facile ma condotta con chiarezza che cerca in prima istanza di retrocedere, attraverso il ricorso a una serie di strumenti non convenzionali come la demonologia, l’occultismo, la magia rituale, il black metal e la vasta produzione orrorifica di scrittori, registi e filosofi, rispetto a una serie di limiti posti dalla concezione antropocentrica della vita e della morte all’interno della vastità dell’universo e del pensiero.

 

La distinzione è quella fra Mondo, Terra e Pianeta: la triade pensata da Thacker riecheggia il tentativo fenomenologico e in generale vive delle interrogazioni più profonde del pensiero filosofico occidentale, pur evitando in modo elegante di rimanere bloccato all’interno delle diatribe ermeneutiche. Il Mondo per Thacker è ciò che viene considerato mondo-per-noi, ovvero un pensiero totalizzante e profondamente antropocentrico che non riesce a concepire altro da sé, rimanendo fermo al tentativo costante e costantemente destinato al fallimento di configurare il Mondo unicamente come riserva idealmente inesauribile di risorse. La Terra in quest’ottica è ciò che resiste a questo processo, è quel mondo-in-sé che si pone come dato oggettivo rispetto all’osservazione e all’analisi da parte dell’uomo, pur rimanendone sostanzialmente separato e mantenendo la sua natura di profondamente altro; è il mondo dei cambiamenti climatici e dei fenomeni naturali estremi, che testimoniano un altrove che resiste al controllo pur non sottraendosi alla vista. Il Pianeta è la terza e ultima figura, nonché la più importante. Il Pianeta è ciò che resta quando pensiamo l’impensabile, è quella figura che resiste ed esiste indifferentemente da noi: è quello che Thacker chiama il mondo-senza-di-noi. Il mondo senza di noi è un’aporia in termini, è un concetto liminare, numinoso nelle parole dell’autore, è l’essere in sé del mondo, quell’essenza oltre l’essenza dell’umano che come nella migliore lettura heideggeriana del termine greco aletheia, si dà nascondendosi.

«In senso letterale, il Pianeta va al di là del mondo soggettivo, ritraendosi anche dall’oggettività della Terra. L’importanza del concetto di pianeta sta nel rimanere un concetto negativo, nell’essere semplicemente ciò che resta “dopo” l’umano».

È in questo passaggio che subentra l’orrore: quando l’uomo pensa ciò che non può pensare, quando tenta di incorporare l’irriducibilità e l’alterità del cosmo, dell’altro da sé per eccellenza, nel suo pensiero si fa strada la paura dell’abisso. Pensando il concetto di Pianeta in quanto massimamente indisponibile, in quanto profondamente avverso all’affermatività del pensiero umano, si fa strada la forza del Nulla, di quell’innominabile al centro dell’iconografia orrorifica che si manifesta sul piano del conoscibile unicamente attraverso la forza terrificante del suo continuo nascondimento. Lo sforzo teoretico necessario al tentativo di pensare la contraddittorietà del nulla come essenza dell’essenza, conduce inevitabilmente allo stadio ultimo raggiunto dalla teologia negativa e dalla filosofia apofatica: la dimensione del silenzio.

 

 

Eppure, dove sembra fermarsi la filosofia di Dionigi lo Pseudo-Areopagita, sembra poter arrivare un genere di massa e di consumo, l’Horror, declinato attraverso la letteratura, il cinema e la musica. È in questo melting pot di sacro e profano, dove la musica incontra la sacralità del rito, dove la letteratura incontra l’occulto e il cinema la magia, che può essere pensato l’impensabile, un mondo senza noi, ma popolato di orrori cosmici in sintonia con il nulla primigenio dal quale tutto sembra provenire. Lovecraft in questo resta maestro, la dimensione più vera è quella che non comprendiamo e per questo motivo quella che spaventa di più. Il mysterium tremendum, analizzato da Rudolph Otto, è l’oggetto della filosofia dell’orrore proposta da Thacker. In questa chiave di lettura la demonologia, la magia rituale e l’arte dell’arcano altro non sono che strumenti per rompere la catena dell’antropocentrismo, per garantire uno sguardo nell’abisso dell’Altro; in quest’ottica libri, film e generi musicali sono le armi da imbracciare in nome di un’insurrezione gotica che ha l’obbiettivo di contribuire a creare magicamente una realtà libera dalla logica asfissiante del tardo capitalismo. Melme, foschie, organismi alieni, tutti gli espedienti visivi del genere horror parlano di questo tentativo di guadagnare spazio, di guardare nell’abisso del nascondimento poiché

«Se il soprannaturale, in senso convenzionale, non è più possibile, ciò che resta in seguito alla “morte di Dio” è un mondo occulto e nascosto. Filosoficamente parlando, l’enigma da risolvere è come affrontare questo mondo, senza presumere immediatamente che esso sia identico al mondo-per-noi (il mondo della scienza e della religione), e senza bollarlo semplicemente come un irrecuperabile e inaccessibile mondo in sé».

È attraverso la vita intesa come niente, come vita che è sempre inconoscibile, scarto ulteriore ed eccedenza rispetto al vivente che è possibile provare a pensare il mondo-senza-di-noi; pensare il rapporto fra la Vita e l’Essere come mediato dalla negazione. Il luogo dell’orrore, quello dal quale provengono i migliori canoni del genere, è un luogo magico, «è il posto nel quale il nascondimento del mondo si manifesta in modo paradossale (rivelandosi in quanto nascosto)». Attraverso il genere Horror e attraverso tutto il suo armamentario simbolico e concettuale è possibile quindi addentrarsi nell’ombra del mondo che resta, quello che abita le ceneri di questo pianeta e che sembra dire we are a blaze in the northern sky, the next 1000 years are ours.