Lazio e Campania, il sistema dell’emergenza rifiuti e i territori ribelli

Il 21 settembre Roma in piazza contro discariche e inceneritori.

Dopo più di 30 anni di disonorato servizio, è prevista per il 30 settembre la chiusura di Malagrotta e le promesse della politica sul futuro dell’area si sbizzarriscono nell’annuncio di grandiosi progetti di riqualificazione; il sindaco Marino promette che dopo la chiusura dell’impianto sulla montagna di rifiuti fiorirà un parco con 100.000 alberi; il progetto dovrebbe partire già ad ottobre. Più probabile che anche Malagrotta diventi l’ennesimo caso di bonifica mai realizzata di cui è disseminato il territorio italiano.

A Giugliano avevano promesso la bonifica, poi però lo studio dell’Istituto superiore di Sanità ha dichiarato senza rimedio l’avvelenamento di un’area di 220 ettari ed è arrivata la decisione di un nuovo impianto di incenerimento; a Chiaiano si aspetta ancora la tombatura definitiva della discarica di Cava del poligono gestita, nei tre anni dopo la sua chiusura, da una società pubblica che nulla ha fatto se non attingere per mantenersi ai fondi destinati alla tombatura. Quasi certo invece che dalla chiusura di Malagrotta, semplicemente, nasca a Falcognana una nuova Malagrotta, un nuovo monumento all’incapacità della politica di provvedere al più elementare dei servizi pubblici: la gestione del ciclo dei rifiuti. Salvo imprevisti, arriverà la prossima settimana la firma del ministro Orlando sul decreto che autorizzerà il conferimento nella nuova discarica di parte dei rifiuti trattati di Roma. Giugliano, Chiaiano, Malagrotta, Falcognana: Lazio e Campania, regioni avvelenate dai rifiuti.

A differenza dell’emergenza rifiuti campana, quella laziale non esplode con i cumuli di spazzatura per le strade, non è dichiaratamente un’emergenza sanitaria. Il problema del ciclo dei rifiuti assume rilevanza centrale per le amministrazioni nel momento in cui la Regione Lazio viene messa in mora e a rischio di sanzioni dall’Unione europea per la violazione del divieto di sversare in discarica il “tal quale”, cioè rifiuti non differenziati, come invece avviene da sempre nella discarica di Malagrotta. Non è quindi il rischio per la salute dei cittadini e il danno d’immagine alla città a mettere in moto il meccanismo del commissariamento per la ricerca di una soluzione ma la necessità, tutta economica, di scongiurare una sanzione di 500.000 euro al giorno. Comune invece, ad esempio, è il fatto che la principale fonte del problema è Roma per il Lazio così come Napoli per la Campania; è la grande quantità di rifiuti prodotta dai due capoluoghi, in assenza di politiche di raccolta differenziata, riciclo e compostaggio, ad avviare i rodati meccanismi della gestione emergenziale. In primo luogo ciò si traduce nella “necessità” di aprire nuove discariche e nuovi inceneritori, impianti di archeologia industriale fatti passare come unica soluzione possibile al problema dei rifiuti; nessun politico, nessun commissario all’emergenza si è mai affidato, nelle proprie dichiarazioni pubbliche, ad una ben più lungimirante strategia: la crisi dei rifiuti si risolve con il riciclo, la differenziata porta a porta, il compostaggio, la chiusura del ciclo su piccola scala (ad esempio il singolo municipio), la riduzione alla fonte. Il motivo è semplice: discariche e inceneritori rispondono alla logica della messa a profitto dei territori. Più viaggiano i rifiuti più si guadagna con il loro trasporto, maggiore è la quantità di rifiuti che finisce in inceneritore, più aumentano gli introiti per chi li gestisce, grazie ad una politica di incentivo pubblico per l’energia prodotta da fonti “assimilate” alle rinnovabili, così è stato inquadrato il CDR con decreto del 1992.

Il commissariamento diventa così il luogo delle opportunità per chi intende drenare risorse economiche dal pubblico al privato: esempio campano il Ce4, consorzio tra comuni casertani, organigramma pubblico all’interno del quale si garantivano assunzioni politiche e che poco faceva nel concreto se non affidare l’effettiva gestione dei rifiuti ad imprenditori privati in grado di garantirsi appoggi politico-criminali; è il caso del tandem fratelli Orsi-Cosentino.

Esempio romano, le consulenze sulla scelta dei siti per il post Malagrotta. Nel 2009 il sito di Quadro Alto a Riano era stato dichiarato non inidoneo per l’apertura di una nuova discarica, nel 2011, invece, viene inserito tra i sette siti possibili; Pietro Moretti e Luigi Sorrentino, i consulenti scelti dall’allora commissario all’emergenza rifiuti Giuseppe Pecoraro, vengono iscritti nel registro degli indagati per abuso d’ufficio: l’accusa è di aver pilotato la scelta dei siti in modo da favorire l’avvocato Cerroni; di sua proprietà, infatti, oltre al sito di Quadro Alto, quelli di Pian dell’Olmo e Monti dell’Ortaccio, anch’essi inseriti nell’elenco redatto nel 2011 dalla Regione Lazio. Per non parlare dell’attuale Commissario, Goffredo Sottile, che prima di essere incaricato della gestione dell’emergenza in Lazio aveva già fallito in Calabria e in Campania.

E, in Lazio come in Campania, la gestione del ciclo dei rifiuti riguarda meccanismi di messa a profitto dei territori ridotti a mero oggetto di sfruttamento economico a costo di devastazioni e contaminazioni; inevitabilmente, il sacrificio dei territori a modelli economici altamente impattanti sull’ambiente si traduce in sacrificio delle comunità che li abitano in termini di incremento di danni alla salute derivanti da esposizione agli agenti inquinanti. Questa dinamica viene sistematicamente replicata in contesti geografici svantaggiati dal punto di vista sociale, politico ed economico: è la periferia, non più intesa come concetto semplicemente geografico ma sociale, ad essere metodicamente scelta come sede di attività che distruggono ambiente producendo emergenza sanitaria. È avvenuto per l’area metropolitana e le zone agricole intorno a Napoli e Casera così come per l’agro e i piccoli comuni intorno a Roma.

Emblematico in Campania il caso di Giugliano; qui, nella discarica Resit, sono finite 341.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, di cui 30.600 provenienti dall’Acna di Cengio, ora seppelliti ad una profondità di 12 metri. Dagli anni ‘80 alla metà degli anni ’90 il boss Bidognetti, tramite la società Ecologia 89, ha illegalmente smaltito nel giuglianese 800.000 tonnellate di rifiuti, provenienti da aziende del Nord. Al disastro delle mafie, si è aggiunto e mischiato, quello delle gestioni commissariali. Triste fotografia di questo territorio sacrificato, il Sisp (Sito di stoccaggio provvisorio), in contrada Taverna del Re, un impianto di deposito di combustibile da rifiuti (CDR), un’area di circa 130 ettari, il più grande sito di stoccaggio «provvisorio» di rifiuti imballati presenti in Campania; qui sono state accumulate e continuano a giacere da anni sei milioni di tonnellate di ecoballe che avrebbe dovuto finire nell’inceneritore di Acerra. Oggi Giugliano è al centro di una decisa ripresa della mobilitazione dei comitati campani da quando, invece delle promesse bonifiche, è arrivata la decisione di un nuovo impianto di incenerimento.

Allo stesso modo, Clini ha fatto approvare il decreto che prevede il trattamento dei rifiuti romani negli impianti TMB della provincia: Albano, Castelforte, Colfelice e Viterbo, piccoli Comuni che hanno iniziato così a ricevere parte delle 1500 tonnellate di rifiuti “tal quale” che gli impianti della capitale non riuscivano più a trattare. Territori sacrificati all’emergenza.

Campania e Lazio vivono fasi parallele anche dal punto di vista delle mobilitazioni in atto: proprio in un periodo di forte rinvigorimento delle proteste dei comitati campani legate all’inceneritore di Giugliano, il «totodiscarica» laziale si ferma su Falcognana per la scelta del sito del post Malagrotta e da questo terrutorio parte la mobilitazione che sabato 21 settembre porterà in corteo da Piazza della Repubblica a Ss. Apostoli comitati e movimenti di Roma e Provincia “contro tutte le devastazioni territoriali”. Un corteo unitario che unisce le vertenze di chi si oppone alla nuova discarica romana a quelle di chi da anni lotta contro gli inceneritori di Albano e Colleferro, ai comitati della Valle Galeria, Fiumicino, Guidonia. Sarà un momento di verifica importante sullo stato di avanzamento che movimenti e comitati hanno raggiunto rispetto alla capacità di esprimere mobilitazioni unitarie su un tema che se, da un lato, è inevitabilmente legato al dato geografico e alla capacità di resistenza e mobilitazione delle comunità locali interessate, dall’altro, ha dimostrato negli anni e nel caso campano che solo un processo di soggettivazione unitaria in grado di creare scambio e coordinamento tra le singole lotte ha possibilità di incidere.

In tal senso, una chiave di lettura trasversale è sicuramente quella del rischio sanitario legato all’esposizione a rifiuti, discariche e inceneritori, ciò che motiva e accomuna le mobilitazioni ben oltre il dato visibile del disastro ambientale sul singolo territorio; anche in questo caso, Lazio e Campania potrebbero farsi portatrici di un ragionamento comune.

Il progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha mappato 44 dei 57 siti compresi del Programma Nazionale Bonifiche, oltre a Giugliano, nell’aria di Caserta e Napoli, litorale domizio-flegreo e agro aversano, elenca più di 50 comuni, per i quali si legge nel rapporto: «Il Decreto di perimetrazione del Sin elenca la presenza di discariche. Nel Sin sono stati osservati eccessi della mortalità in entrambi i generi per tutti i principali gruppi di cause, con eccessi di mortalità per il tumore polmonare, epatico e gastrico, del rene e della vescica. I risultati hanno, anche, mostrato un trend di rischio in eccesso all’aumentare del valore dell’indicatore di esposizione a rifiuti per la mortalità generale».

Una situazione non dissimile da quella emersa nello studio ERAS, il “Rapporto Epidemiologia Rifiuti Ambiente Salute nel Lazio – ERAS Lazio”, un programma di epidemiologia ambientale coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale in collaborazione con l’Agenzia regionale di Protezione Ambientale (ARPA) del Lazio; nel rapporto si legge che nella popolazione che risiede entro i 5 km dalle discariche per rifiuti urbani si registra un’anomala incidenza «delle malattie dell’apparato respiratorio (compresa la broncopneumopatia cronica ostruttiva, BPCO), i tumori della pleura e il mieloma multiplo». Per quanto riguarda gli inceneritori nel Lazio «I risultati hanno evidenziato come gli uomini residenti in aree identificate dai valori massimi di PM 10 emesso dagli impianti mostrino un eccesso del 31% di ospedalizzazioni per malattie dell’apparato respiratorio e del 79% per malattie polmonari cronico ostruttive (BPCO), rispetto ai residenti in aree meno esposte. Anche tra i bambini esposti a livelli medi e più elevati di concentrazione del tracciante del termovalorizzatore si è osservato un aumento di ricoveri per infezioni acute delle vie respiratorie (+78%)».