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L’altro, l’amico. I “Racconti di un pellegrino russo”

Una rilettura del testo ascetico dell’Ottocento che ha influenzato la pratica mistica e liturgica dell’ortodossia. Il viaggio di uno pellegrino che ci insegna come la condizione di “straniero” sia il principio primo su cui si fonda il valore dell’accoglienza.

C’è una regola non scritta che percorre le pagine dei “Racconti di un pellegrino russo” ed è quella dell’ospitalità. Anzi il pellegrinaggio stesso è reso possibile dall’accoglienza che viene riservata al viandante. Nella lingua russa sono due i vocaboli che definiscono la figura del pellegrino: «palomnik» e «strannik». Nei “Racconti”, fin dal titolo, questi è sempre «strannik», colui cioè che ha fatto della condizione dell’erranza il suo destino. Il «palomnik» infatti è chi intraprende un viaggio con un obiettivo, avendo in mente una meta, per esempio un luogo di culto, un santuario, una chiesa dove si possono trovare le reliquie di un santo.

 

Il viaggio del «palomnik» è sempre orientato; egli si affida al suo bastone [paločka] e intraprende il cammino, che per quanto possa essere rischioso e imprevedibile, conosce e sottintende sempre un punto d’arrivo.

 

Anche l’etimologia dà ragione di questi significati, infatti la sua origine è fatta derivare dal latino «palma», da cui il termine «palmieri» che nel medioevo erano i pellegrini diretti al Santo Sepolcro. Diversa invece è la situazione dello «strannik», il suo viaggio non è mai lineare. Non si sa da dove viene né dove va. Egli è lo «xénos», lo straniero (origine questa che si può sentire anche nella radice «str-» del vocabolo russo); è il forestiero secondo un’accezione che si estende dalla incertezza della sua provenienza geografica alla condizione esistenziale, di uomo senza diritti e senza terra.

Lo stesso protagonista di questi «sinceri racconti dello strannik [otkrovennye rasskazy strannika]», come si può leggere nel titolo originale dell’opera, è consapevole del suo stato perché fin dall’inizio della storia si definisce «uno strannik senza un ricovero [besprijutnyj strannik / бесприютный странник], che va girando di luogo in luogo». Certo la motivazione del viaggio è religiosa. Tuttavia ciò che rende materialmente possibile questo itinerario è la regola dell’ospitalità, che nel libro è «strannoprijatie [странноприятие]», ovvero la disponibilità ad accettare gli «stranniki», ad accogliere i forestieri.

 

Dovunque vada il pellegrino russo trova questo atteggiamento di apertura verso l’altro e lo straniero. A partire dalla sua esperienza personale, egli infatti è sempre ospite.

 

Nel primo racconto lo è dello «starec» che gli avrebbe insegnato la dottrina spirituale. Il monaco infatti che lo conduce da lui dice apertamente che presso il monastero del vecchio «i pellegrini venivano accolti, curati e nutriti insieme con gli ospiti nella foresteria». Poi trova rifugio in una capanna di un contadino a quattro verste dal cenobio, cosa che gli consente di approfondire ulteriormente gli insegnamenti dello «starec».

Mentre percorre la strada verso Irkutsk in Siberia, a più di cinquemila verste da Mosca, con nella bisaccia solo una Bibbia e una copia «molto vecchia e sciupata della Filocalia», lo strannik ha tante altre occasioni di sperimentare lo «strannoprijatie». In una foresta dove si era smarrito incontra un guardaboschi che lo accoglie a casa sua e gli offre «il pane [chleb] e il sale [sol’]» dell’ospitalità, secondo l’antica tradizione russa di ricevere gli ospiti, rimasta viva nell’espressione «casa di pane e sale [chlebosol’nyj dom / хлебосольный дом] » oppure «padroni di pane e sale [chlebosol’nye chozjaeva / хлебосольные хозяева]», volendo in tal modo indicare l’ospitalità di una casa e definirla attraverso la semplicità del pane e la generosità esercitata verso gli ospiti, perché il sale era, almeno anticamente, un ingrediente raro e prezioso. In seguito è uno «svjašennik [prete]» ad accoglierlo per sei mesi, dalla primavera all’autunno, quindi a dare alloggio al pellegrino è un contadino che lo guarisce da una malattia alle gambe.

 

E così fino a Irkutsk, passando per la sconfinata Siberia, dove sarebbe giunto a venerare le reliquie di sant’Innokentij e dove viene accolto nella ricca casa di un mercante che lo invita ad andare a Gerusalemme, facendo tappa prima ad Odessa e poi a Costantinopoli, in un viaggio che, coerentemente con la condizione dello «strannik», non sapremo mai se si concluderà e quali saranno gli esiti, perché a questo punto la narrazione si interrompe.

 

«Non sdegnare l’apparenza e gli indumenti miseri dei pellegrini, falli entrare nella tua casa, dà loro da mangiare, ospitali», scriveva lo ieromonaco Marco nel “Trattato sullo strannik”, pubblicato a Mosca nel 1872, dieci anni prima dei “Racconti [Rasskazy / Рассказы]” (1a ed. 1881), in un capitolo importante dell’opera in cui invitava a praticare la «virtù dell’accoglienza [dobrodetel’ strannopriimstva / добродетель странноприимства]», la stessa che il pellegrino russo sperimenta e di cui continuamente gli viene offerta una particolare testimonianza. Per esempio in un paese del governatorato di Tobol’sk a riceverlo era stata la famiglia di un giudice che «considerava ogni pellegrino come un messaggero divino». Segno di questa sua cura era anche l’asilo per mendicanti e pellegrini che aveva costruito insieme alla moglie. E’ questa una circostanza significativa perché permette di valutare il fatto che l’ospitalità non era offerta solo al protagonista del libro quasi che per questo suo ruolo gli venisse concesso un atteggiamento di riguardo e una considerazione particolare.

 

Proprio questa apertura verso tutti fa dei “Racconti del pellegrino russo” un vero e proprio libro dell’accoglienza.

 

Un ufficiale, che narra la storia della sua guarigione dal vizio di bere, cita come prova del suo rinnovato stile di vita la disponibilità, che condivideva con tutta la famiglia, ad «aiutare i poveri» e ad «ospitare gli stranieri [strannych prinimat’ /странных принимать]». Inoltre nell’ «ostello [strannopriemnica / странноприемница]» della casa del giudice si dava rifugio anche «ai tipi poco raccomandabili», con l’intenzione di offrire loro una possibilità di riscatto e al contempo di educare a non aver timore di chi bussa alla porta e a vedere nel prossimo, nell’«altro [drugoj/другой]» «un amico [drug/друг]», e questo in base a un’affinità lessicale che fa dell’altro lo stesso che l’amico, come lascia pensare la somiglianza dei due termini nella lingua russa.

 

Copertina: Caspar David Frierich, A Walk at Dusk (Digital image courtesy of the Getty’s Open Content Program)