ROMA

La storia a tavola. Con contorno di santi, vino e corna

Le vicende e le culture dei popoli attraverso le specialità che servono in tavola. Dall’idea di un ricercatore di storia e di un autore radiofonico, entrambi appassionati di cucina, un ciclo di cene a tema nel quartiere romano di Centocelle

«La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella», scrisse nel 1825 Anthelme Brillat-Savarin. L’uomo fu eletto deputato all’Assemblea costituente francese del 1789, diventò consigliere della Corte di Cassazione, scappò in Svizzera durante il Terrore giacobino e tornò a ricoprire il ruolo di magistrato dopo l’instaurazione del Direttorio. La sua principale traccia nella storia, però, la lasciò pubblicando il libro Fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendentale. Il testo uscì anonimo ma ben presto si diffuse la voce che l’autore era quel giudice noto per la sua stazza: lo chiamavano tutti «il tamburo maggiore della Corte».

Attraverso aneddoti e dissertazioni intorno a piatti prelibati, Brillant-Savarin compie interessanti riflessioni che combinano antropologia, psicologia e filosofia. All’idea di ricostruire attraverso il cibo la civiltà, la cultura e la storia dei popoli si rifanno Guido Farinelli e Ciro Colonna con La storia in cucina. Ricercatore in Storia dell’Europa il primo, autore radiofonico il secondo. I due hanno messo intorno a un tavolo il gusto per lo studio, il piacere del racconto e la passione per la cucina.

L’ambientazione in cui si svolgono le cene storiche è il ristorante Lorto-Gastronomia contadina che, come recita una scritta sulle pareti, rappresenta un «incontro tra agricoltura sociale e cucina popolare». Il locale si trova in via dei Noci, nel quartiere romano di Centocelle. Lì dove le strade prendono il nome degli alberi. In queste settimane la zona è finita al centro delle cronache nazionali per gli incendi di librerie e bistrot. Da queste parti serpeggia un po’ di timore, ma anche tanta voglia di non piegare la testa.

@Costanza Fraia

La seconda cena è stata servita lunedì 11 novembre, giorno della festa di San Martino. La celebrazione era particolarmente diffusa nelle società contadine dell’Europa medioevale e resiste oggi nelle terre del Salento, in Umbria, a Venezia e in alcune regioni della Francia e delle Fiandre.

Martino nacque intorno al 316 in Pannonia, la moderna Ungheria. Visse tra Italia e Francia fino al 397, compiendo diverse peripezie e alimentando intorno a sé una grande fama popolare che continuò nei secoli successivi. Nel 371 i cittadini di Tours lo acclamarono vescovo, ma lui tentò di sottrarsi nascondendosi nelle campagne per continuare la sua vita monacale. Le grida di alcune oche, però, rivelarono la sua presenza.

Per questo, dopo un antipasto con crostini di bosco, caldarroste e «caramella» di sfoglia, taleggio e porcini, alla conclusione del racconto della vita del santo sulle tovaglie bordeaux atterrano delle abbondanti porzioni di gnocchi al sugo d’anatra. Tutta la cena è annaffiata dal vino rosso. Il vino è un elemento centrale della data, non tanto perché uno dei miracoli attribuiti al santo è la trasformazione dell’acqua nel liquido rosso, quanto perché nelle celebrazioni popolari si mescolano elementi religiosi, pagani e legati alla vita contadina.

@Costanza Fraia

«La popolarità che Martino di Tours godeva in vita spiega solo in parte la centralità della sua festa nel corso del Medioevo – racconta Farinelli – L’11 novembre coincideva infatti con la fine delle celebrazioni del capodanno dei celti, il “Samuin”. Il retaggio della festa pagana era ancora presente nell’Alto Medioevo e la chiesa vi sovrappose il culto cristiano del santo più amato dell’epoca». La data aveva una grande importanza anche nell’ambito civile: aprivano scuole e università; iniziavano le attività di tribunali e parlamenti; si tenevano le elezioni municipali. Soprattutto, terminavano i contratti di mezzadria, per cui in attesa dell’eventuale rinnovo le botti col vino vecchio venivano svuotate.

«A San Martino il mosto diventa vino» si suole dire nel Salento, dove la festività ha ancora una grande importanza religiosa e folklorica. Tanto da essere cantata come elemento di identità in un coro della curva del Lecce che dice: «per noi ogni giorno è San Martino, io son meridionale, amante del buon vino, io sono e sarò sempre salentino». Durante la cena la canzone scorre in sottofondo tra musiche di De André e Branduardi che richiamano l’ambientazione medioevale e prima di un audio dell’istituto Luce sulla questione della mezzadria.

Il tema fu ampiamente dibattuto dal punto di vista politico tra i socialisti di inizio Novecento. La corrente massimalista, da cui poi nacque il partito comunista, sosteneva che i mezzadri erano padroncini che sfruttavano i braccianti. Per la corrente riformista, invece, erano un potenziale soggetto rivoluzionario con cui stabilire alleanze. E in effetti molte lotte contadine, soprattutto nel centro Italia, furono condotte da questa classe sociale. Di una di queste arriva traccia sui tavoli nella forma dell’opuscolo «I violenti»: l’atto di difesa dei due avvocati socialisti Pasquale Laureti e Giuseppe Pozzi nel processo contro i contadini umbri di Narni.

@Costanza Fraia

Insieme al libretto sono servite delle succose costate di maiale con contorno di broccoletti, che aprono all’ultima declinazione della celebrazione di San Martino: la «festa dei cornuti». Anche in questo caso le possibili spiegazioni emergono da una miscela di vita contadina, paganesimo e leggende religiose. L’11 novembre era la data delle fiere di animali, spesso cornuti, per la cui vendita gli uomini mancavano da casa diversi giorni, aprendo maggiori spazi di possibilità a scappatelle extraconiugali. Come già detto, era anche la data conclusiva delle celebrazioni celtiche che culminavano in un capodanno all’insegna di sfrenati divertimenti. Si racconta poi che Santo Martino una volta persa la madre si legò in maniera estremamente gelosa a una sua sorella. La donna, però, era innamorata di un giovanotto con cui riuscì a unirsi ingannando il parente.

«La tradizione popolare ha assegnato a San Martino un destino paradossale, ha fatto del santo un personaggio con funzioni assolutamente distanti dalla castità della sua esistenza, attribuendogli il patronato della gioia disordinata, dei giocatori, dei beoni, dei mariti ingannati», racconta Colonna. La cena si conclude con il castagnaccio, dolce realizzato con farina di castagne, rosmarino, olio d’oliva e frutta secca. Alla fine la pancia è piena e la testa sazia.

Il prossimo appuntamento sarà una cena iberica, lunedì 16 dicembre, alle 20.30, sempre a LORTO-Gastronomia contadina

Tutte le foto sono di Costanza Fraia