MONDO

La scrittura sul corpo delle donne in Argentina

Le pentole delle mense popolari nelle strade argentine sono viste dal potere alla stregua dei calderoni delle streghe: spazi di incontro, nutrimento e conversazioni dove si tesse la resistenza. Con la tortura della maestra di Moreno si cerca di disciplinare proprio questo tipo di forza collettiva.

A Corina de Bonis, la docente sequestrata e torturata mercoledì scorso per la sua partecipazione alla resistenza contro i tagli e la chiusura delle scuole (dopo l’esplosione causata da assenza di condizioni di sicurezza che ha causato la morte di Sandra Calamano y Rubén Rodríguez, due lavoratori di una scuola di Moreno, area metropolitana di Buenos Aires, ndr),  hanno inciso sulla pancia con un pugnale la scritta «no más ollas» (mai più pentole, nel senso di mense popolari, ndr), proprio nel giorno in cui si festeggiano i maestri delle scuole.

Si tratta di una scena di orrore contundente: si scrive letteralmente sul corpo delle donne il terrore che si vuole comunicare. Si scrive sul corpo di una donna in lotta, torturandola.

Si scrive per trasmettere un messaggio: lo stesso che stava circolando sui cartelli, minacciando che la prossima mensa popolare l’avrebbero fatta al cimitero. Questo avviene perché le pentole nelle strade sono viste dal potere alla stregua dei calderoni delle streghe: spazi di riunione, nutrimento e conversazioni dove si tesse la resistenza, dove ci uniamo in un corpo comune che resiste alla fame, dove si cucina per opporsi e cospirare contro la condanna alla povertà e alla rassegnazione.

Perché scrivono letteralmente «mai più pentole» in quel corpo? Perché delle pentole hanno paura. Perché la pentola distrugge tutte le astrazioni che nascondono le parole del terrore finanziario: il deficit zero così come la dimensione immateriale dei mercati finanziari crollano di fronte alla presenza contundente di una pentola che traduce in una immagine immediata e senza possibili obiezioni le implicazioni dell’inflazione e dei tagli nella vita quotidiana.

Questa settimana le donne sono tornate a portare in strada le pentole (come facevano durante i picchetti stradali prima e dopo il 2001).

Emergono così ancora una volta il sapere comunitario, la capacità di creare una dimensione collettiva e mettere in primo piano la difesa della vita come caratteristiche di una politica al femminile. Portare le pentole in piazza significa anche politicizzare la dimensione domestica così come sta facendo il movimento femminista,liberandola dal confinamento e dalla solitudine. Trasformando lo spazio domestico in uno spazio aperto nelle strade.

La crisi cresce al ritmo dell’inflazione, dell’austerità imposta dai licenziamenti di massa, dei tagli alle politiche pubbliche e della bancarizzazione degli alimenti.

 

 

La bancarizzazione avviene attraverso “carte alimentari”, ovvero carte di debito per acquistare alimenti che si possono usare solo in determinati circuiti commerciali – oggi bloccati a causa dell’”assenza” dei prezzi legata alla speculazione che sta avvenendo in alcuni supermercati. Tutto questo si traduce in fame per milioni di persone.

E oggi è proprio la fame a essere criminalizzata, mentre si dispiega la militarizzazione del conflitto sociale, il fantasma dei saccheggi come minaccia latente di repressione, la persecuzione della protesta sociale nel nome della “sicurezza”.

Molte donne di diverse organizzazioni sociali raccontano che ormai non cenano, come misura di auto-austerità a fronte della scarsità di alimenti, per permettere di cenare meglio ai loro figli. Tecnicamente questa si chiama situazione di “insicurezza alimentare”. Politicamente, mette in evidenza come siano le donne a vivere in maniera differenziale l’impatto della crisi sui propri corpi, anche in questo modo.

La speculazione finanziaria porta avanti una guerra contro i corpi nelle strade e le pentole che resistono. Le pentole di oggi si connettono con i calderoni di ieri. Le pentole diventano calderoni.

Di questi tempi in Argentina è in crisi la riproduzione sociale in molti quartieri e di fronte a questo scenario il governo raddoppia la posta in palio: terrore finanziario, terrore con gruppi squadristi, terrore come stato d’animo.

Quando parliamo di terrore finanziario, non ci riferiamo solamente a quegli affari portati avanti dalle banche attraverso la differenza di cambio con il dollaro e la speculazione dei fondi di investimento resi più semplici dalle misure del governo e dagli obiettivi del FMI, ma anche alle modalità attraverso le quali questa “opacità strategica” (questa specie di fenomeno meteorologico in cui si parla la lingua della speculazione) si traduce in una drastica riduzione del nostro potere di acquisto, del valore dei nostri salari e dell’aumento incontrollato dei prezzi. La velocità e la vertigine di questo deprezzamento del valore è parte del terrore e del disciplinamento checi vuole sottomesse, a causa della paura che tutto possa peggiorare ancora. Il terrore finanziario è confisca del desiderio di trasformazione: il terrore come stato d’animo significa obbligarci a desiderare solamente che le cose non continuino a peggiorare.

Ma c’è qualcosa di più. Quando parliamo di terrore finanziario, ci riferiamo anche al modo in cui la finanza (attraverso le banche e le sue società controllate, dal “contante subito” fino alle carte di credito e ad altre dinamiche più informali) si è impadronita delle economie domestiche e familiari mediante l’indebitamento popolare. Oggi la finanziarizzazione delle economie familiari fa sì che i settori più poveri (e ormai non più solamente questi settori) debbano indebitarsi per pagare gli alimenti e le medicine e per finanziare con tassi di interesse impressionanti il pagamento dei servizi di base. Sarebbe come dire: è la sussistenza quotidiana che produce indebitamento.

 

 

Il terrore finanziario è quindi una struttura di obbedienza nella vita quotidiana e nel tempo futuro e ci obbliga ad assume e in forma individuale e privata i costi dell’austerità.

E al tempo stesso rende normale il fatto che la nostra vita quotidiana possa essere sostenibile solamente indebitandosi. Il terrore finanziario, quindi, assume le vesti di una controrivoluzione quotidiana, nel senso che ci fa desiderare la stabilità a tutti i costi.

Non è casuale che tra due settimane ci sia in Argentina la riunione del Women20: ovvero, il gruppo di donne che il G20 ha organizzato per tradurre in chiave neoliberale l’agenda del movimento femminista.

Non è casuale che sia in Argentina, dove il movimento femminista ha mostrato al mondo la sua radicalità e la sua dimensione di massa. Non è casuale che una delle proposte principali sia quella di una “inclusione finanziaria” delle donne affinché tutte possiamo credere di poter diventare imprenditrici ottenendo la possibilità di indebitarci (ancora di più!).

Al menù di lusso, che offriranno alle imprenditrici del Women20, opponiamo le pentole-calderoni.

La finanza vuole prendersi le nostre vite (che sfrutta, indebita e a cui infonde terrore), ma già da tempo diciamo che vogliamo vivere libere e senza debito. Le pentole nelle strade costruiscono le trame di una politica dei corpi in resistenza, accendono il fuoco collettivo di fronte all’inesistenza a cui ci vogliono condannare, e gridano: non abbiamo paura di voi.

 

Entrambe le autrici fanno parte del Collettivo Ni Una Menos.  Articolo pubblicato su Pagina12. Traduzione di Alioscia Castronovo per DINAMOpress.