EUROPA

La lezione della Brexit vista dall’Europa dell’Est (e viceversa)

Destra, razzismo e xenofobia nell’est Europa come nell’ovest. Un contributo di analisi post Brexit da Political Critique, riferimento anche dell’esperienza politica di Krytyka Polityczna

La tendenza principale è quella di fare riferimento alll’emersione della destra nell’est come un “fenomeno naturale”, mentre ora che questo problema diventa sempre più concreto e reale anche nell’ovest è davvero giunta l’ora di strappare il sipario e cercare ragioni sociali ed economiche concrete per spiegarne l’emersione…

Fino a poco tempo è successo solo in luoghi sperduti: Ungheria, Polonia, Slovacchia. Pazzi xenofobi di destra arrivano al potere, vincono le elezioni presidenziali, creano governi. Se qualcuno in Occidente dedicava un po’ di attenzione a questi episodi, c’era sempre una spiegazione confortante pronta: ma questi luoghi non sono sempre stati abitati da tetri fascisti? Non è forse questa la vera natura di questi orientali, qualcosa che tutti hanno sempre sospettato pulsasse sotto la modernizzazione superficiale dei paesi post-comunisti, che è semplicemente venuta a galla? Un bel eufemismo per descrivere questo fenomeno è “elettorati immaturi”, evidentemente primitivi e facili da manipolare, a differenza degli occidentali sinceramente democratici.

Così sconvolgente che per il pubblico occidentale non poteva avere niente a che vedere con gli sviluppi del proprio bel mondo civilizzato. La destra era in aumento anche lì, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, nessuno lo ha negato, ma diciamocelo: era visto come qualcosa di completamente diverso. Un problema, naturalmente, una preoccupazione, ma non una questione di carattere nazionale dei francesi, tedeschi o inglesi. Queste erano società aperte e progressiste, che sono sempre riuscite a trattenere e domare la destra. A differenza degli europei dell’Est, non avevano primi ministri di destra, governi apertamente nazionalisti o presidenti xenofobi. È diventato un po’ più complicato con le recenti elezioni presidenziali in Austria, ma poi l’Austria è stata salvata da diverse migliaia di voti, dimostrando la sua adesione ai valori europei. E per spiegare l’angusto risultato si potrebbe sempre sostenere che anche l’Austria si trova ad Est.

E poi è arrivato il referendum sulla Brexit. Quello che sembrava essere il cuore del mondo democratico occidentale, il Regno Unito, è stato infettato dalla follia xenofoba. Non c’è stato nessun momento ultimo di liberazione o salvezza miracolosa: le persone in Gran Bretagna hanno votato per lasciare l’Unione Europea, in primo luogo perché sono state sedotte dalla retorica della destra sull’orgoglio nazionale, l’odio e la rabbia. Se siamo sfortunati, qualcosa di simile potrebbe presto accadere nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Dovrebbe ormai essere chiaro che in Oriente come in Occidente: siamo tutti sulla stessa barca. Ed è giunto il momento di cambiare il modo in cui parliamo di questi sviluppi.

Il problema più urgente è quello di smettere di discutere l’ascesa delle destre in termini di carattere nazionale. Per fortuna, in Gran Bretagna alcuni commentatori stanno cercando spiegazioni sfumate su quanto accaduto. Stanno cercando di andare oltre la spiegazione semplicistica sui “britannici razzisti”, alla ricerca di altre narrazioni. Stanno analizzando le statistiche del referendum, mostrando i diversi sviluppi sociali ed economici che hanno portato al risultato finale. Ci indicano l’esclusione sociale, la rabbia e la frustrazione delle persone abbandonate dall’establishment.

Stanno parlando del fallimento della sinistra, che ha tradito, scegliendo la ‘terza via’ e scendendo a compromessi con le grandi imprese. Della discrepanza tra la retorica del successo e la realtà della vita quotidiana ai tempi del tardo neoliberismo. Della frustrazione e disperazione che possono essere facilmente trasformate in odio contro gli immigrati. Dell’incapacità del linguaggio secco e tecnocratico dei liberali di spostare l’elettorato, e la mancanza di una potente storia di sinistra in grado di competere con la narrazione della destra.

La sinistra in Europa centrale e orientale ha conosciuto questa immagine e diagnosi da più lungo tempo per spiegare l’ascesa della destra nella regione. In Europa orientale, la parata trionfale della destra è iniziata prima, così come gli svantaggi sociali ed economici qui sono stati molto più acuti che in Gran Bretagna. Il neoliberismo applicata nei paesi post-comunisti era un neoliberismo sotto steroidi. La sinistra non poteva competere con gli esponenti della destra, perché il suo sviluppo è stato bloccato dal ricordo ancora fresco del comunismo, l’associazione tra ogni forma di politica sociale con un regime autoritario, e gli zombie che ancora camminano dei partiti post-comunisti. In realtà, la sinistra nella regione deve essere ricostruita da zero. Sarebbe sicuramente di enorme vantaggio se il referendum sulla Brexit rendesse noti questi sviluppi in tutta la loro complessità all’opinione pubblica occidentale.

Ma il referendum sulla Brexit può e deve essere una lezione anche per la sinistra in Europa dell’Est. In una certa misura anche questa sinistra ha percepito gli sviluppi orientali come distinti dalle esperienze occidentali. Ha visto l’origine di tutti i mali nella doloroso passaggio da economie pianificate centralmente al libero mercato capitalista nei primi anni ‘90. Senza dubbio, questo passaggio è stato un esempio emblematico della dottrina della shock economy, e ha causato l’esclusione sociale, economica e politica di enormi parti della società. Ma, come il referendum britannico ha dimostrato, la frustrazione e la rabbia sociale, possono benissimo comparire indipendentemente da questa esperienza storica, e possono portare ugualmente ad un rifiuto veemente dello status quo. Naturalmente, la Gran Bretagna ha una sua storia di depravazione sociale e di prospettive di vita rubate dalla politica neoliberista, ma oggettivamente il tenore di vita e la sicurezza sociale nel Regno Unito sono molto più alti che in Polonia, Romania o Bulgaria. Ciò che sembra contare di più non è la profondità della crisi economica o la propria storia individuale di fallimento, ma la sensazione soggettiva di essere ignorati e abbandonati dai politici, l’impotenza di fronte al mondo globalizzato e l’impressione di essere derubati della propria capacità di agire politicamente.

In realtà, le principali narrazioni politiche stanno diventando sempre più simili in molte parti del mondo, e si sentono tre voci principali. Vi è il mainstream liberale, che ci vende una storia di costante ma moderato progresso, di razionalità, di competenza tecnocratica e di pace sociale. Evita il linguaggio dello scontro e sostiene che c’è un modo di soddisfare tutti. È ormai chiaro che questa narrazione di pacificazione è una frode e di fatto promuove gli interessi di una ristretta élite politica ed economica contro l’interesse della gente comune. In alternativa abbiamo due differenti narrazioni emotive che non evitano il linguaggio del confronto e dello scontro e vogliono abolire lo status quo: la narrazione negativa della destra di ostilità e di esclusione e la narrazione positiva della sinistra di lotta e di speranza. Le proporzioni e gli equilibri tra i tre poli della scena politica sono diversi a seconda degli sviluppi locali e delle tradizioni politiche. Di solito, la tendenza della politica di raggiungere un equilibrio bipolare anziché tripolare confonde questo modello in un modo o nell’altro. Ma si può ancora sostenere che questo modello valga per luoghi così diversi tra loro come: la Polonia, la Spagna, il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Tunisia.

La buona notizia è che di solito tutte e tre le forze politiche competono con le altre due. La cattiva notizia è che, per il momento, la sinistra non sembra avere molto successo e sta perdendo il suo elettorato, prima di tutto, a favore della destra. Questo è un fatto rilevante, dato che specialmente in Europa occidentale, rappresenta una novità. La sinistra occidentale è abituata a lottare contro il neoliberismo, a opporsi alle élite capitaliste e alle grandi imprese, ma non tanto a domare il nazionalismo, la xenofobia e la retorica dell’orgoglio e dell’esclusione nazionale. Ed è qui che l’esperienza dell’Europa dell’est può essere utile. Essa ci insegna che non importa quanto pericolosa sembri la destra e quanto successo abbia, è un suicidio per la sinistra spostarsi verso il centro e formare un fronte comune con i liberali. Per anni, questa è stata la strategia di della sinistra in Europa dell’Est e ha solo reso la destra più potente e trasformato la sinistra in una risibile variante del progetto liberale.

La sinistra ha il compito di essere radicale ed emotiva come la destra, ma di offrire alle persone reali e non false soluzioni per il loro stato di miseria e di speranze infrante. È nostro compito anche quello di essere pratici come la destra. Non riusciremo mai a battere il messaggio semplice di odio e xenofobia con il mantra sulla democrazia, la trasparenza, o con teorie complesse sulle disuguaglianze e sulla Tobin Tax. Per battere efficacemente la narrazione del “musulmani andate a casa” o “prima la Gran Bretagna”, dobbiamo essere i più pratici possibile. Farsi i propri conti, pensare e organizzare l’agenda della sinistra intorno a qualcosa di semplice che però può cambiare veramente la vita quotidiana delle persone. Invece di un vago “salario minimo orario” bisognerebbe parlare di “8,5 euro per ogni ora di lavoro” (come in Germania).

Invece dell’idea vaga di un “reddito di base incondizionato”, bisognerebbe parlare di “550 euro al mese per tutti” (come in Finlandia). Ci potrebbero essere migliori strategie per battere la destra. Ma se continuiamo a pensare che le persone votano la destra, perché sono fatti così per natura, faremo diventare la destra inarrestabile. Individuare le ragioni, trovate i problemi specifici e trovare risposte migliori alle loro – questo è il nostro compito.

Tratto da: Political Critique sito in inglese dall’esperienza politica di Krytyka Polityczna

* Traduzione a cura di Vane Bix