ROMA

La fine della gestione commissariale di Roma

«Siamo di fronte a uno dei fallimenti più evidenti dell’intervento politico tramite commissariamenti, emergenze e strutture tecniche ad hoc, per ritrovarci dieci anni dopo con la soluzione più semplice, una gestione centrale e politica di un problema di finanza pubblica e fiscalità, quando ormai i servizi pubblici della città sono al collasso. Sarebbe da fare un bilancio sulle rovine di un decennio di commissariamenti in questo territorio»

La sindaca Raggi e i suoi assessori hanno annunciato la chiusura della Gestione Commissariale del debito pregresso del comune di Roma. È accaduto pochi giorni fa, il 4 aprile. Una mossa elettorale in vista delle europee e un aiuto alla giunta Raggi che si trova in una fase a dir poco critica?

Istituita nel 2008 durante il passaggio tra la giunta Veltroni e la giunta Alemanno, la Gestione Commissariale rilevò il debito pubblico del comune che ammontava, dal punto di vista finanziario, a circa 7 miliardi di euro più gli interessi finanziari, e circa 3 miliardi di debiti commerciali verso privati. Per finanziare la Gestione Commissariale, l’aliquota IRPEF dei residenti romani divenne la più alta d’Italia e venne istituita anche un’apposita tassa negli aeroporti romani, che, insieme a un fondo statale di 300 milioni di euro annui, avrebbero dovuto garantire il ri-pagamento del debito.

L’obiettivo, quindi, era di ridurre e azzerare il debito della capitale considerato molto rilevante (anche se in linea con altre grandi città come Torino e Milano) e cresciuto con il ricorso ai mercati finanziari da parte della giunta di Veltroni tramite l’emissione di Bond e la stipulazione di contratti derivati. Ma nel breve fu anche l’occasione per il nuovo sindaco Alemanno di avere un bilancio pulito e di operare con ingenti disavanzi per una politica clientelare e personalistica. Si rilevò una politica miope che portò a scandali e sprechi e iniziò la lunga serie di piani di rientro dal debito e di misure per una più oculata gestione delle finanze capitoline.

Ovviamente le misure implementate sono state le solite ricette dell’austerity. Riduzione della spesa e soprattutto degli investimenti, esternalizzazioni e blocco del turn-over.

La chiusura del commissariamento permetterà alla città di avere nuove risorse? Non sembra essere così. Con la chiusura terminerà anche l’aliquota straordinaria pagata dai romani oltre i limiti di legge fissati per i comuni “normali” e, probabilmente, anche la tassa sugli aeroporti romani che è direttamente legata al commissariamento. Di sicuro è un’occasione per il M5S per dare soldi direttamente nelle “tasche” dei residenti della capitale e scommettere su una mossa elettorale fin troppo tradizionale della politica italiana. Ma alcuni nodi sono ancora da sciogliere: permetterà all’amministrazione di avere un bilancio comunale libero, una volta per tutte, dal peccato originale del debito storico, oppure verrà varato l’ennesimo piano di rientro dal debito? Anche nell’ipotesi più ottimista di un bilancio di Roma senza ulteriori vincoli, non sembra certo il momento adatto per parlare di una nuova stagione di investimenti pubblici e di risorse aggiuntive per i servizi pubblici. Il contesto economico nazionale è negativo e anche a livello internazionale i segnali non sono per niente positivi.

Contro l’opportunità di chiudere il commissariamento si sono espressi in pochi e viene da chiedere perché i precedenti governi non siano intervenuti. Gli interessi del debito commissariato sono rimasti alti, ai livelli pre-crisi del 2008, senza che ci sia stata la capacità di intervenire nella loro struttura, mentre l’organizzazione del commissariamento ha assorbito invano ulteriori risorse. Inoltre, la stessa capacità gestionale dei commissari si è rilevata tutt’altro che brillante e trasparente (provate a cercare le relazioni dei commissari per tutti gli anni di attività, buona fortuna!). Tra le scelte più critiche si segnala l’attualizzazione del debito con cui furono contratti ulteriori prestiti con i relativi interessi per pagare i prestiti già esistenti e che ha creato delle profonde difficoltà nella liquidità del commissario, tanto che la ex-commissaria Silvia Scozzese dichiarò pubblicamente, e in diverse occasioni, che nel giro di pochi anni sarebbe stato impossibile ripagare il debito da parte della stessa struttura creata appositamente per ripagare il debito. 

In definitiva siamo di fronte a uno dei fallimenti più evidenti dell’intervento politico tramite commissariamenti, emergenze e strutture tecniche ad hoc, per ritrovarci dieci anni dopo con la soluzione più semplice, una gestione centrale e politica di un problema di finanza pubblica e fiscalità, quando ormai i servizi pubblici della città sono al collasso. Sarebbe da fare un bilancio sulle rovine di un decennio di commissariamenti in questo territorio. A dicembre 2017 c’è stata la chiusura anche del commissariamento della sanità laziale, dopo 10 anni di vincoli e tagli, e anche qui imposto dopo la sbornia della finanza creativa. La crisi della finanziarizzazione dell’economia è fin troppo evidente, ma il nuovo che dovrebbe nascere non si vede.