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La città felice

L/IVRE 2# Le città sembrano avviate a un declino inarrestabile: l’urbanistica come tecnica al servizio del neoliberismo è fallita. Ma questa è solo una delle visioni possibili: una nuova urbanistica, con nuove parole per parlare di città, esiste già. É la città autoprodotta, dell’”agire-insieme”, della resistenza progettante, quella che dà linfa all’idea che è ancora possibile pensare una città felice. Ce lo raccontano Ilaria Agostini ed Enzo Scandurra in “Miserie e splendori dell’urbanistica”

La città era una maniera di raggiungere la felicità, affermava Aristotele. A lungo, fino al Seicento, la città venne associata alla felicità della vita pubblica, secondo una concezione immateriale della convivenza. «Con l’avvento e poi l’affermazione storica della Modernità, quei luoghi simbolici e insieme fisici che avevano costituito l’ambiente artificiale dell’uomo, danno vita a un nuovo paesaggio dove le persone di colpo scompaiono». Con l’epoca moderna la città diventa l’insieme delle costruzioni materiali, delle case e degli edifici, la città di pietra, altra rispetto alla città in cui si svolge la vita dei suoi abitanti. La riduzione della città a un insieme di elementi fisici corrisponde a un ritratto cartografico bidimensionale che esclude quella che per gli antichi era la civitas, la convivenza, per privilegiare l’urbs, la forma della sua dimora. Ecco che la nuova scienza dell’urbanistica moderna «ha a che fare, purtroppo, assai poco con gli ideali di convivenza umana».

Miserie e splendori dell’urbanistica di Ilaria Agostini ed Enzo Scandurra (edito da DeriveApprodi, € 17,00) ci fornisce tutte le coordinate e gli strumenti per leggere oggi la città e la sua trasformazione, ripercorrendo le tappe, le passioni originarie e i fallimenti dell’urbanistica moderna, tracciando la genealogia dell’odierna visione, una delle tante possibili, della città come «macchina funzionale, tralasciando l’altra metà del problema: la città come oikos, accoglienza, luogo di convivenza tra diversi». Ecco perché l’urbanistica, diventata tecnica, ha rinunciato a saper «interpretare e prospettare nuovi orizzonti per la città contemporanea». La politica ha finito per affidare le decisioni alla tecnica, delegando all’architettura la soluzione di problemi sociali. Così mentre si stilano classifiche delle città dove si vive meglio in base alla ricchezza privata posseduta, la città come spazio pubblico di felicità scompare dietro una visione urbanistica che vorrebbero fissare la forma delle cose a prescindere dalle pratiche e dalla vita che vi si svolge.

Oggi l’urbanistica è diventata «un potente strumento nelle mani dei governanti, amministratori pubblici, immobiliaristi e perfino finanzieri, per manipolare e controllare lo sviluppo delle città e del governo del territorio». Allora bisogna innanzitutto svelare e demistificare le parole con cui si parla della città oggi: il libro traccia, scavando la superficie delle parole vuote, le coordinate per evitare le numerose trappole retoriche che costellano oggi il discorso urbanistico. Partecipazione,resilienza, rigenerazione urbana. Concetti e parole-grimaldello che celano ribaltamenti, insidie e ambiguità e, concretamente, nuove opportunità economiche offerte dallo smantellamento della città pubblica. «Sarebbe bene che questa disciplina smettesse di importare concetti da altri campi, per darsi una veste di apparente scientificità o per mostrarsi alla moda, e ne sviluppasse dei propri a partire dalla sua tradizione, con proprie parole e propri significati» – conclude, con un invito aperto, Enzo Scandurra.

Parole nuove per ridefinire le finalità dell’urbanistica potrebbero venire solo dalle relazioni, dalla vita collettiva che abita lo spazio pubblico. L’urbanistica è comunque una disciplina che mette in relazione il contributo proveniente da altri saperi scientifici, ci dice Ilaria Agostini, che cala il lettore in quella città invisibile a una prospettiva puramente topografica raccontando l’habitat umano, il «campo di applicazione dell’urbanistica».

Una visione alternativa a quella della città-macchina è possibile. «L’ecologia, “scienza delle relazioni”»– scrive Agostini – «chiama l’urbanista a progettare ambienti di vita atti a esaltare le capacità di autonomia e autorganizzazione delle popolazioni che vi risiedono, in equilibrio stabile con il contesto naturale». Una via d’uscita dall’impasse di un’urbanistica fallita, che rimette al centro la politica dal basso, e la relazione tra pratiche e progetti in difesa del dell’ambiente di vita, esiste già. «L’”agire-insieme” contro le distorsioni neoliberiste e il mercantilismo che aggrediscono l’habitat collettivo e che sottraggono all’uso comune le risorse ambientali per farne occasione di rendita da spartire tra pochi». Questa è la resistenza (non la resilienza) «nelle città dei recinti, nelle città desertificate, nelle città in emergenza sociale gestite secondo principi privatistici», in cui Agostini ci guida ripercorrendone le tappe e gli strumenti recenti per emergere, infine, nei territori di una resistenza progettante.

«Movimenti, associazioni, collettivi, laboratori, reti e coordinamenti» praticano ogni giorno una urbanistica resistente, generando la città autoprodotta che vede «proliferare una moltitudine di pratiche dedite alla riqualificazione urbana, alla questione abitativa, alle condizioni di vita nei quartieri, ma anche agli aspetti culturali e sociali». La gestione diretta degli spazi della città, anche con i dispositivi come quello degli usi civici per la cura dei beni comuni, cambiando la prospettiva, dal basso in alto, significa gli spazi fisici, non più forme vuote sulla mappa. Sono queste le riflessioni, le esperienze e le pratiche che «di fronte all’involuzione neo-capitalista e allo smantellamento in atto alle basi stesse della civiltà urbana dànno linfa alla convinzione per la quale è ancora possibile ipotizzare una città felice».

 

PRESENTAZIONE

La presentazione si terrà a Esc Atelier (via dei volsi 159) alle ore 19.30 –  “Extracittà” (Dinamopress), “Miserie e splendori dell’urbanistica” (DeriveApprodi) e “R/Home” (Bordeaux ed.) con Giorgio de Finis, Irene Di Noto, Rossella Marchini, Enzo Scandurra, Alessandro Torti

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