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L’uomo in più

“Fai quello che sai fare, fallo bene e fallo in fretta”, Corrado Viciani ai suoi giocatori

Alla fine degli anni sessanta, il calcio italiano è ancora prigioniero dei suoi vizi provinciali, venduti come virtù nazionali: giocatori senza diritti che inseguono i capricci dei presidenti-padrone, un campionato ridotto ad un affare privato sull’asse Torino-Milano, il “catenaccio” eretto a totem del sistema di gioco italico. Ma anche il cortile di casa più conservatore del paese inizia a essere attraversato da un vento nuovo, quello delle lotte operaie e studentesche che spalancano le porte degli spogliatoi e degli stadi italiani. Le prime avvisaglie portano i tratti beatnik e hippy di Luigi Meroni, ala destra virtuosa del Torino, soprannominato “farfalla” per il suo stile di gioco e i suoi comportamenti anticonformisti, pubblici e privati. Gigi muore nel 1967 a soli 24 anni, subito dopo la fine del match contro la Sampdoria, investito da un’auto mentre attraversa Corso Re Umberto a Torino, insieme al suo grande amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti. Un anno dopo, il 3 luglio 1968, a Milano, alla presenza di alcuni tra i nomi più famosi del mondo del calcio (Bulgarelli, Mazzola, Rivera, De Sisti, Losi e Campana), nasce l’Associazione italiana calciatori, la prima organizzazione sindacale che intende tutelare i lavoratori del pallone. A livello sportivo, nel 1970, il mitico Cagliari di Gigi Riva strappa lo scudetto alle corazzate del nord, rompendo un monopolio durato tutto il dopoguerra.

Le metropoli ribollono, ma è dal cuore dell’Umbria, dalla Terni rossa e industriale che, inaspettatamente, viene gettato il seme di una rivoluzione culturale che anticiperà il “gioco totale” olandese e che influenzerà la banda Maestrelli del 1974, il Toro scudettato dei gemelli del gol Pulici e Graziani, fino ad arrivare alla “zona totale” degli anni Ottanta dei vari Liedholm, Eriksson, Sacchi e Zeman.

Corrado Viciani è la scintilla di questa rivoluzione. Nato in Libia nel 1929 durante l’occupazione italiana, dopo la seconda guerra mondiale si trasferisce con la famiglia a Castiglion fiorentino, da dove provengono i genitori. La sua onesta carriera di calciatore si svolge, con alti e bassi, tra Fiorentina, Como, Genoa, per concludersi in terra umbra alla Fermana, dove inizia a studiare da allenatore.

Viciani approda alla Ternana nella stagione 1967-1968, dove vince subito il campionato di serie C. L’anno dopo, in serie cadetta, ottiene un ottimo decimo posto. Nel 1970 va ad allenare l’Atalanta, sempre in serie B, ma viene esonerato a metà stagione. Nell’estate del 1971 torna alla Ternana del presidente Taddei, con cui conquista per la prima volta la massima serie. Una promozione storica, il debutto assoluto in serie A di una formazione umbra.

Viciani studia l’evoluzione calcistica del nord Europa, in particolare il calcio olandese che, nel giro di pochi anni, diventerà il modello di “calcio totale” ammirato e studiato in tutto il mondo. Calcio invidiato ma sfortunato: sia nel 1974 che nel 1978, la meravigliosa nazionale olandese di Cruyff e Neeskens viene sconfitta in finale dalla Germania dell’Ovest e dall’Argentina.

Il cambiamento di paradigma è radicale: basta con la logica del “primo non prenderle”, dell’ossessione per le marcature a uomo e di un sistema di gioco che punta solo a speculare sull’iniziativa avversaria. I critici lo chiamano “gioco corto”, una sorta di “calcio brasiliano alla velocità degli inglesi”: pressing alto, possesso palla, lunghi fraseggi tra un “pacchetto” di giocatori stretti tra di loro (qualcuno in Spagna, 40 anni dopo, lo chiamerà “tiki-taka”.. ), rapide sovrapposizioni per avere sempre superiorità numerica, soprattutto sulle zone laterali del campo.

«Avevo degli asini come giocatori – raccontò una volta Viciani – non potevo permettermi lanci lunghi, invenzioni, fantasie. Bisognava correre, fare passaggi facili, sovrapporsi». Insomma, l’elogio della sapienza collettiva rispetto il virtuosismo individuale , l’ossessione dell’organizzazione tattica per sopperire le differenze tecniche ed economiche tra i Davide di provincia, squattrinati e senza potere, e i Golia delle “strisciate” (Juventus, Milan e Inter).

La squadra si dispone compatta in fase di possesso di palla; una volta avviata l’azione i giocatori si stringono come una squadra di calcio a cinque. “In quella fetta di campo giocavano a calcetto – racconta Michele Plastino, giornalista, studioso e autore della più antica trasmissione di calcio delle tv locali, “Goal di Notte” – Uno teneva palla, due ai lati, uno dietro per prendere la ‘spondina’, scambio rapido e subito avanzavano per poi cambiare improvvisamente con un inserimento sorprendente. Uno spettacolo. Solo la Jugoslavia del 1968 giocava così e forse Viciani a lei si ispirò”.

Nella stagione 1972-1973, il modulo di Viciani non riesce a evitare alla Ternana l’ultimo posto in classifica, si torna in serie B. Ma in quell’anno il tecnico ha il merito di lanciare in prima squadra un giovane, Franco Selvaggi, che nel 1982 diventerà campione del mondo in Spagna. L’entusiasmo di Viciani si sposta a Palermo dove, nel 1974, pur militando in B, porta i rosanero alla prima storica finale di Coppa Italia, persa con il Bologna ai rigori all’Olimpico. La stagione successiva i siciliani mancano la promozione per soli due punti.

Viciani se ne andato nell’indifferenza di gran parte del mondo del calcio. Tanti appassionati, soprattutto giovani, non sanno che le origini del vocabolario calcistico oggi tanto in voga si ritrovano nella passione e nello studio tattico di un allenatore onesto e appassionato. Un tecnico che ha saputo guardare all’Europa dall’angolo di una provincia operaia, orgogliosa e combattiva. Ma i suoi tifosi non l’hanno dimenticato e sabato prossimo, allo stadio Liberati di Terni, lo ricorderanno come si deve, lanciando una petizione popolare per intitolargli il settore più caldo che da sempre sostiene le “fere” rossoverdi.

Ciao, mister del “gioco corto”.