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Kurdistan, continuano gli attacchi turchi: operazione Claw-Lock

Continua l’invasione del Kurdistan. L’HDP si oppone, ma è l’unico partito all’interno del parlamento turco

Con l’opinione pubblica completamente focalizzata sulla crisi ucraina, l’esercito turco ha avviato una nuova invasione denominata “Claw-Lock” nelle regioni di Zap, Metina e Avaşîn in Sud Kurdistan/Nord Iraq, l’operazione non è altro che la continuazione di “Claw-Lightning” e “Claw-Thunderbolt” lanciate il 24 aprile dell’anno scorso e interrotte a causa dell’incapacità dell’esercito turco di proseguire l’offensiva in inverno.

Unico partito a opporsi all’invasione all’interno del parlamento turco è stato l’HDP che ha definito l’invasione illegittima e in aperta violazione del diritto internazionale, accusando inoltre la coalizione di governo AKP-MHP di portare avanti la guerra per assicurarsi la sopravvivenza politica in un momento di profonda crisi economica e sociale, mentre il partito di opposizione numericamente più consistente CHP, sempre ambiguo nella sua posizione sulla questione curda in Turchia in periodo pre-elettorale, ha letteralmente invocato l’aiuto divino a difesa dei soldati impiegati nell’operazione.

Già all’inizio di marzo il comitato esecutivo del KCK, l’organizzazione politica che include tutte le organizzazioni e le associazioni che si riconoscono nel modello del confederalismo democratico, aveva rilasciato precise dichiarazioni secondo cui il 15 aprile lo stato turco avrebbe lanciato una nuova invasione con il supporto diretto del KDP, partito conservatore controllato dalla famiglia Barzani che regna nella regione autonoma del Kurdistan iracheno fin dalla sua fondazione e che mantiene stretti legami politici ed economici con la Turchia.

Mentre i media controllati dai Barzani montavano un’intensa campagna propagandistica in cui accusavano il PKK di diffondere notizie infondate per screditare il governo regionale l’11 aprile le forze Zêrevanî, addestrate dai carabinieri italiani e già sotto i riflettori di Amnesty International in quanto utilizzati sistematicamente dal clan per la repressione dei giornalisti ostili al regime, iniziavano a prendere posizione sul monte Binchiya nella regione di Metina, posizione strategica da 30 anni controllata dalla guerriglia che l’esercito turco non è mai riuscito a raggiungere, HPG e YJA-Star si sono ritirate per evitare scontri che potessero creare il casus belli per una nuova guerra tra curdi.

Proprio il 15 aprile il primo ministro della regione del Kurdistan, Masrour Barzani, si è recato a Istanbul per incontrare Erdogan e il direttore dei servizi segreti turchi Hakan Fidan, solo tre giorni dopo in seguito ad ore di bombardamenti gli elicotteri turchi sganciavano le prime forze speciali sul campo di battaglia, le milizie del KDP iniziavano a prendere posizione alle spalle delle postazioni di difesa della guerriglia e Erdogan ringraziava pubblicamente le autorità irachene e il governo regionale del Kurdistan per il supporto alla sua “Operazione speciale antiterrorismo”, dopotutto l’origine dell’invasione turca del Sud Kurdistan risale al 1997, quando 50.000 truppe hanno varcarono il confine turco-iracheno su invito dell’allora primo ministro Masoud Barzani per spazzare via l’unico ostacolo al potere assoluto della famiglia sulla regione, il PKK.

Dal 1997 a oggi le cose sono molto cambiate, seppure le montagne sono ora come allora cuore e scudo del confederalismo democratico i movimenti, partiti e associazioni che si riconoscono nel nuovo paradigma sviluppato dal fondatore del PKK Abdullah Ocalan si sono moltiplicate ed hanno applicato lo stesso modello alle proprie comunità, tra queste la comunità ezida di Şengal.

Sopravvissuta al genocidio perpetrato dall’ISIS nell’agosto del 2014, abbandonata dalle forze armate del governo centrale e del KDP che avrebbero dovuto proteggerla, la comunità di Şengal ha deciso che mai più si sarebbe affidata a una forza esterna per garantire la propria esistenza e ha dichiarato l’autogoverno secondo i principi appresi dai combattenti e le combattenti di PKK, YPG e YPJ che dopo essere intervenuti in supporto degli ezidi in fuga dallo stato islamico hanno offerto loro formazione militare e ideologica prima di lasciare definitivamente la regione nelle mani dell’amministrazione autonoma e delle forze di autodifesa locali YBŞ e YJŞ.

Per questo in coordinamento con la nuova operazione dell’esercito turco in montagna l’esercito iracheno ha ammassato rinforzi nei dintorni di Şengal e lunedì scorso ha preso d’assalto le sedi delle Asayîş, le forze di sicurezza interna della comunità ezida, nel villaggio di Dugure a pochi chilometri dalla città, per poi estendere gli attacchi a Sinone, Khanasor e infine alla stessa Şengal.

A imporre il cessate il fuoco è stata la popolazione locale che si è attestata a difesa delle Asayîş e delle YBŞ/YJŞ mettendo i soldati iracheni davanti alla decisione di interrompere gli attacchi o sparare sugli abitanti disarmati.


Durante i colloqui che si sono tenuti tra le due parti durante le fragili tregue di questi giorni è venuto fuori che i reggimenti coinvolti negli scontri non prendono ordini dal comando generale a Baghdad ma da comandanti a Mosul legati al KDP, con cui il governo centrale il 9 ottobre del 2019 ha stipulato il cosiddetto “Accordo di Sinjar” che prevede lo scioglimento dell’amministrazione, accordo che ovviamente non ha visto coinvolti rappresentati della stessa amministrazione autonoma ma che è stato stipulato tra due entità strettamente legate alla Turchia, il governo di Barzani e quello di Al-Kadhimi.

Turchia che non può attaccare direttamente via terra Şengal per via della grande distanza dal confine, chilomentri di montagne difese dai guerriglieri del PKK, ma che negli ultimi anni ha bombardato regolarmente infrastrutture civili con droni e aerei, tra cui un ospedale e la sede del consiglio cittadino, nonché assassinando figure di spicco della comunità.

Gli abitanti della città hanno idee chiare sul perché di questi attacchi, che avvengono durante i preparativi del “Carsema Nisane”, la più importante festività del credo ezida;

oltre la metà della popolazione fuggita dalla città in seguito all’attacco di ISIS infatti non è ancora tornata, la Turchia, il governo centrale iracheno e il KDP cercano in ogni modo di creare instabilità così da non permettere il ritorno della gente nelle proprie case, il che rafforzerebbe l’autonomia di Şengal e con essa il concetto che una comunità può governare se stessa senza bisogno di strutture di potere e che il confederalismo democratico seppure sviluppato dal movimento di liberazione del Kurdistan può essere applicato da qualsiasi comunità, come la rivoluzione del Rojava aveva già in parte dimostrato.

Erdogan non ha mai perdonato le forze rivoluzionarie del Rojava per aver diffuso nel mondo l’ideologia del confederalismo democratico ne tantomento per aver messo fine allo stato islamico, sconvolgendo i piani neo-ottomani del regime AKP-MHP sulla Siria e mettendo la causa curda nelle quattro parti del Kurdistan sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale, seppure per breve tempo.

Oggi il Rojava è scomparso dai media internazionali eppure la guerra non è mai finita, il cessate il fuoco tra SDF e stato turco a seguito dell’invasione di Serekanîyê e Gire Spî non è mai stato rispettato dalla parte turca, che quotidianamente bombarda i villaggi sulla linea di contatto tra Ain Issa e Tell Tamer, città principalmente abitate dalle minoranze assira e siriaca e colpisce quotidianamente obiettivi civili e militari con droni.

Da quando nell’autunno del 2021 Erdogan non è riuscito a ottenere luce verde da USA e Russia per una nuova invasione gli attacchi sono aumentati esponenzialmente, specialmente a Kobanê che era stata indicata come obiettivo della nuova invasione e sull’asse Amuda-Qamişlo-Tirbespiyê, dove dall’inizio dell’anno i droni di Ankara hanno colpito 29 volte obiettivi civili e militari tra cui 6 attivisti del movimento giovanile assassinati in casa loro e l’auto su cui viaggiava il poeta e cantante Ferhad Merdê, miracolosamente sopravvissuto.

Tra l’altro solo poche ore dopo l’inizio dell’invasione in sud Kurdistan Erdogan ha di nuovo minacciato un’invasione che secondo alcuni analisti dovrebbe svolgersi proprio nella zona di Amuda, Qamişlo e Tirbespiyê.

Qamislo in particolare è già teatro di tensioni tra le forze di sicurezza interna del Rojava e le milizie di Bashar Al-Assad, il regime da più di venti giorni ha imposto un embargo totale sui quartieri di Ashrafiyyeh e Sheikh Maqsoud di Aleppo facenti parte dall’AANES, a causa del quale circa 200.000 abitanti dipendenti per il proprio sostentamento dal pane distribuito dai forni popolari rischiano di morire di fame. I forni infatti hanno già chiuso da più di una settimana a causa della mancanza di farina, sequestrata ai Checkpoint della 4° divisione SAA.

A seguito dell’embargo le Asayîş allo scopo di mettere pressione sul regime e costringerlo a negoziarne la fine hanno circondato i quartieri di Qamişlo controllati dal regime e l’aeroporto controllato dall’esercito russo, al momento non è ancora stato raggiunto un accordo e circolano voci secondo cui la Russia stia minacciando l’AANES di acconsentire a una nuova invasione turca se l’amministrazione non dovesse cedere alle condizioni del regime.

Questa nuova ondata di attacchi ha innescato immediatamente mobilitazioni popolari nelle quattro parti del Kurdistan e all’estero, il primo ministro della regione del Kurdistan iracheno Masrour Barzani è stato accolto nella sua visita a Londra da una folla di curdi in esilio che hanno bersagliato il corteo su cui viaggiava con uova e pietre.

Anche a livello istituzionale diverse figure si sono opposte all’invasione turca, tra cui Moqtada al-Sadr, uscito vincitore dalle ultime elezioni irachene ma incapace di formare un governo.

A 48 ore dall’inizio dell’invasione il governo iracheno ha convocato l’ambasciatore turco e condannato Ankara per i bombardamenti in corso, anche il presidente della Repubblica Salih affiliato al PUK (partito curdo rivale del KDP) ha condannato pubblicamente la violazione di sovranità da parte dell’esercito turco.

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