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Kazakhstan, l’attivista femminista Sekerbayeva: «Continueremo a lottare»

Una testimonianza dalla società civile della repubblica centroasiatica che, dopo i giorni di proteste e scontri, sta tornando alla “normalità”. La repressione del governo è destinata ad aumentare, ma questo non fermerà attivisti e attiviste

Fra ciò che è stato messo in luce dalle proteste e dagli scontri che si sono verificati nell’ultimo periodo in Kazakhstan c’è anche la presenza di una società civile e di una fetta di popolazione pronta a mobilitarsi e a rivendicare i propri diritti. Nonostante il governo identifichi tutti come “terroristi” e stia approfittando della situazione per aumentare la repressione sugli oppositori e sulle realtà di attivismo, rimane il desiderio di lottare e cambiare.

Abbiamo parlato con Zhanar Sekerbaeyva, dottora in scienze sociali e attivista femminista che vive ad Almaty ed è stata testimone dei momenti iniziali delle proteste. Assieme a Gulzada Serzhan è cofondatrice dell’associazione per i diritti femminili e i diritti Lgbt “Feminita”.

Ci puoi raccontare, dal tuo punto di vista, come sono andate le proteste e qual è la situazione attuale in città?

Sono andata alle proteste il 4 gennaio e posso raccontare quello che ho visto. Non sono stata attiva nell’organizzazione dei raduni, anche perché dall’esterno non era così chiaro quanto stava succedendo, ma nei momenti in cui mi sono recata in piazza ho visto persone comuni, che esprimevano il proprio dissenso e le proprie rivendicazioni. Erano molto pacifiche e non avevano con sé nessuna arma. Avevano fatto anche poster e cartelloni in cui appunto dicevano di non essere terroristi. Per la più parte, erano giovani persone di lingua kazaka, la cui difficile condizione economica le ha spinte a protestare e scendere in piazza.

C’erano anche donne. Ho sentito cantare canzoni, grida del tipo “Avanti, Kazakhstan”. Mi ha messo molta paura vedere che è stato aperto il fuoco su civili inermi con delle cartucce a salve, per non parlare dei proiettili di gomma e delle granate stordenti. Ho pregato affinché le forze di polizia non sparassero, ma è andata diversamente. Per quanto riguarda questo primo giorno di protesta lo posso affermare con certezza: si trattava di un raduno pacifico di sostegno alle persone che stavano manifestando qualche giorno prima a Zhanaozen per il rialzo dei prezzi del gas liquido. Insomma, un momento di protesta pacifica con delle motivazioni socio-economiche.

Poi cosa è successo?

Dopo è diventato chiaro che ai manifestanti pacifici hanno iniziato a unirsi altri gruppi che hanno spinto le proteste verso atti di vandalismo e saccheggio, ma certo non di “terrorismo” come è stato detto dalle autorità. Anzi, sarebbe bello che le parole venissero usate più accuratamente. Non è possibile accusare indiscriminatamente le persone di terrorismo e il fatto che ci fossero dei terroristi veri e propri nelle città in cui si sono svolte le proteste rimane molto dubbio.

In questo momento, in molte regioni, è cessato lo stato di emergenza e non c’è neanche il coprifuoco. Ma ad Almaty continuerà fino al 19 gennaio e ogni notte si sentono sirene per la città. Solo per una volta non le ho sentite e sono riuscita a dormire serenamente, ma in generale c’è uno stato di grande ansia. Inizialmente, quando la gente è scesa in piazza gli slogan riguardavano quasi esclusivamente le lamentele di tipo socio-economico: si trattava di ridurre il prezzo del gas (che era arrivato a 50 tenge). Ma poi la rabbia della gente è aumentata nel momento in cui le autorità locali non si sono fatte vedere e anzi hanno lasciato che la folla venisse circondata dalle forze di polizia. A ogni modo, anche quando sono arrivate per ascoltare le rivendicazioni dei manifestanti, sono sempre restate sulla difensiva e hanno mostrato tutta la loro incompetenza. Da noi c’è questa sorta di tradizione: i rappresentanti statali non possono parlare con i cittadini e le cittadine. I funzionari governativi hanno una vita davvero diversa dal resto della popolazione, non riescono a capire quello che proviamo.

All’inizio del suo mandato da presidente Tokaev aveva promesso varie riforme. È cambiato qualcosa da allora?

Al di là del fatto che Tokaev fosse diventato presidente nel 2019, Nursultan Nazarbaev è sempre stato presente sia a livello fisico che simbolico nei processi decisionali del paese. In ogni caso, negli ultimi anni non è cambiato quasi niente. Non ci sono state riforme di rilievo, nonostante da parte di attivisti e attiviste della società civile ne avessero sempre espresso il bisogno. Per esempio, sarebbe stato necessario riorganizzare il ministero degli affari interni così come il consiglio di sicurezza e rivedere il loro ruolo.

Al momento queste istituzioni non svolgono alcun compito di protezione della popolazione, ma al contrario costituiscono degli strumenti per opprimere la libertà e i diritti civili. Sarebbe invece importante indire nuove elezioni, rendere ufficiali tutti i partiti e le iniziative politiche che non sono registrati, lasciare che i sindacati possano operare liberamente e fare in modo che più donne prendano parte alle attività del parlamento e del senato (ora non arrivano al 30%).

Che scenari si aprono da qui in avanti?

Nonostante tutto, io sono ottimista. Con la nostra associazione continueremo a organizzare manifestazioni pacifiche e continueremo a batterci per i diritti femminili e per i diritti Lgbt. Nel 2021 con una manciata di altre associazioni abbiamo organizzato la marcia dell’8 marzo, riuscendo a radunare un migliaio di persone senza che si verificassero incidenti. E stiamo progettando di replicare anche quest’anno. Come attiviste e attivisti, ci sosteniamo a vicenda e siamo in grado di elaborare le nostre strategie di protezione contro chi vuole reprimerci.

Alcuni pensano che ciò che stiamo facendo sia inutile, ma insisto: dobbiamo sfruttare il diritto che ci è garantito dalla Costituzione di manifestare pacificamente. Le donne di questo paese devono avere la possibilità di far sentire la propria voce. Andremo avanti con la nostra lotta.

È possibile collaborare con altre realtà politiche?

Tendenzialmente, non collaboriamo con i partiti d’opposizione, che hanno spesso accenti misogini e omobitransfobici nella loro retorica. Il nostro gruppo “Feminita” pone al centro i principi dell’inclusività e dell’intersezionalità. Nonostante ci possano essere dunque contraddizioni e divergenze, sosteniamo il lavoro di altri attiviste e di altre iniziative, come succede con il Partito Democratico del Kazakhstan oppure con ecoattivisti ed ecoattiviste del paese, proviamo a stabilire i contatti con le madri delle famiglie allargate.

Ci sono tanti diritti da conquistare, ma possiamo solo essere noi a farlo. Non possiamo fidarci di nessuno: per trent’anni ci siamo nutrite di speranze vuote! Ma il futuro del Kazakhstan ha il volto di una donna.

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