EUROPA

Scarcerata la Manada: in Spagna l’allerta femminista riempie le piazze

L’ultimo atto della vicenda processuale de La Manada – il branco dei 5 stupratori che nel luglio del 2016, durante la festa dei Sanfermines a Pamplona, violentarono in un portone una ragazza di 18 anni – produce un ulteriore passaggio nella direzione di riabilitare i condannati.

È di giovedì scorso, infatti, il pronunciamento dei magistrati sulla richiesta di scarcerazione avanzata dagli avvocati della difesa che ne ordina l’immediata rimessa in libertà dietro cauzione di 6000 euro.

I cinque vennero condannati lo scorso aprile a 9 anni per abuso sessuale, cioè per un reato minore rispetto a quello di violenza sessuale. Non riconoscendo nessuna coercizione né violazione coatta negli atti subiti dalla ragazza, i giudici scelsero di dare ragione alla versione degli imputati e non a quella della vittima. La sentenza scatenò una mobilitazione immediata e generale delle donne in ogni città spagnola al grido di #hermanayotecreo e #noesabusoesviolacion.

 

 

Malgrado l’ondata di indignazione femminista abbia travolto la Spagna per contestare duramente la sentenza, ora arriva anche la scarcerazione. I giudici avrebbero potuto rigettare l’istanza, in attesa del processo di appello chiesto dagli avvocati della ragazza, oppure accoglierla. Ebbene, due giudici su tre hanno votato per la rimessa in libertà. Solo Josè Francisco Cobo, il presidente della seconda sezione del tribunale provinciale di Navarra (la stessa che ha emesso la condanna), ha votato contro la scarcerazione, ritenendo la libertà vigilata una misura che non tutela la sicurezza fisica e psicologica della ragazza. Ma se non stupisce il voto favorevole di Ricardo Gutierrez, che aveva addirittura sostenuto l’assoluzione durante il processo, sorprende quello, decisivo, di Raquel Fernandino che aveva votato per la condanna e che finora aveva respinto ogni richiesta di scarcerazione.

 Anche questa volta, sono le motivazioni della sentenza, e non solo i suoi effetti, a far montare la rabbia. I condannati, infatti, usciranno di prigione, dove si trovano dal 7 luglio del 2016, perché la perdita di anonimato renderebbe “quasi impensabile” il rischio di fuga e di reiterazione del reato. La condanna sociale prodotta sul caso non è un motivo sufficiente per prolungare i termini della detenzione preventiva ma funzionerebbe come un deterrente a che i condannati, una volta in libertà, non commettano altre violenze. Il tribunale non tiene in considerazione, anzi nega, che altre violenze, prima dell’arresto, già siano state commesse da la Manada e in circostanze del tutto simili a quelle di Pamplona. Il riferimento è all’indagine aperta sulla violenza avvenuta a Pozoblanco, Cordoba, che coinvolge 4 dei 5 condannati per lo stupro di Sanfirmines.

Chi subirà di fatto una pesante limitazione della propria libertà di movimento, oltre che della serenità, sarà la ragazza che soltanto nella sua città potrà non incorrere nel rischio di incontrare o di essere avvicinata dai suoi stupratori. Dopo l’umiliazione di una condanna che mette in dubbio il suo ruolo nella violenza subita, ora si aggiunge la scarcerazione che aggiunge violenza a violenza.

 

Ma non è l’invocare la gogna, né tanto meno la forca, ad animare le manifestazioni lanciate dalle femministe già giovedì sera e che hanno riempito le piazze di tutto il paese venerdì. Il punto polemico più feroce è contro la justicia patriarcal che continua a legittimare, sdoganare, sostenere e proteggere il machismo e la violenza contro le donne. Vale la pena ricordare, inoltre, che tra i cinque componenti del branco uno è un militare e un altro fa parte della Guardia Civil: la percezione di un sistema machista istituzionalizzato che si autotutela si trasforma in certezza a ogni passo del processo. L’alerta feminista è stata immediata e ha concentrato migliaia di persone davanti al Ministero di Giustizia, a Madrid, e davanti ai tribunali e alle sedi comunali in più di 150 città: Barcellona, Siviglia, Pamplona, Valencia, Granada, …  «la Manada è fatta da 5 stupratori e 3 giudici» si legge sui cartelli.  «La giustizia li protegge, noi femministe rispondiamo» e «se toccano, una toccano tutte». «La manada somos nosotras» c’è scritto sullo striscione del movimento femminista che apre il corteo madrileno: la protezione offerta dai magistrati agli aggressori di Pamplona ha come potente antidoto una larghissima, radicale e diffusa solidarietà femminista.

 

 

È questo scontro che impone al governo Sánchez, a maggioranza femminile, di schierarsi e di studiare nuove iniziative politiche e legislative per rompere il blocco conservatore e sessista interno allo stato spagnolo e al suo sistema giudiziario.

Intanto a Siviglia, dove gli scarcerati si preparano a tornare, si attiva la campagna #StopManada per organizzare il “rifiuto sociale” dei 5 stupratori e scoraggiare qualsiasi forma di protezione e copertura che garantisca loro la pacifica convivenza in città e di sentirsi, malgrado tutto, di nuovo a casa. Queste forme di rifiuto organizzato non parlano di accanimento ma di autotutela femminista, non è la protezione dello stato che si reclama ma una trasformazione culturale e sociale radicale.  Come è scritto su uno degli striscioni apparsi ieri nelle piazze spagnole «Loro in libertà vigilata, noi a rompere la nostra gabbia».