MONDO

Invertire la rotta: riflessione a caldo sulla strage neozelandese

La strage di stampo neofascista avvenuta in Nuova Zelanda riporta alla luce la virulenza con la quale le campagne di odio attraversano la rete. Scardinare la retorica consolatoria del lupo solitario è solo il primo passo per avviare una riflessione sui modi per contrastare questa escalation.

La dimensione stragista dei neofascismi ha ormai assunto tutti i caratteri di un’infezione che flagella il tessuto sociale delle città in cui viviamo. Il carattere seppur endemico di queste esplosioni di violenza può dirci qualcosa d’interessante: storicamente negli ultimi 30 anni questo tipo di stragi ha avuto luogo principalmente negli Stati Uniti e in generale nei paesi di lingua anglofona, sancendo definitivamente un altro di tipo esportazione made in U.S.A, quella dell’odio maturato online. La genesi di questi movimenti e di queste cloache di rancore e pseudopolitica racchiuse sotto la sigla Alt-Right è stata spiegata e argomentata già ampiamente da svariati autori tra i quali Angela Negle e Alessandro Lolli: in sostanza Internet è divenuta con gli anni l’ospite perfetto per un disagio virulento, contagioso e disarmante. Come dopo ogni strage si moltiplicano le analisi a caldo sui motivi dell’attentatore, sulle dinamiche del gesto e sulle implicazioni etiche e sociali, niente però che ci aiuti concretamente a capire in che modo ci si possa far carico, collettivamente, insieme, di neutralizzare questa dinamica miserabile alla quale è esposta una sempre più larga fetta della popolazione in particolare fra i giovanissimi. Per quanto infatti sia grande la tentazione di rispondere all’odio con una liberante quanto forse inutile alzata di scudi collettiva, a rimarcare la profonda differenza che passa fra un uso più o meno sano, più o meno empatico dei social network, dei forum, dei gruppi e di tutti quegli spazi collettivi abitati quotidianamente dalla maggior parte di noi e l’abisso più nero che invece questi eventi portano alla luce, forse, dovremmo cominciare a considerare strade alternative.

Queste stragi sono fasciste, e su questo non c’è dubbio alcuno. Una propaganda sempre più convincente è riuscita negli anni a intercettare un disagio sempre più diffuso, a proporsi come unica via d’uscita pratica dalla gabbia del realismo capitalista e dall’impasse storica dei tempi correnti. Ora, giusto far notare ogni volta come questi eventi tragici siano la logica conclusione di campagne d’odio orchestrate sapientemente dal politico di turno che in questo modo fornisce anche le basi per una normalizzazione e una compenetrazione di idee violente, discriminanti e meschine all’interno della società “civile”, ma questo non può più bastare. Nel momento in cui l’analisi si ferma in questo punto la prossima strage è già all’orizzonte. Non basta più ribadire, ognuno nella propria bolla mediatica, la natura fascista di questi eventi, non basta più prenderne le distanze attraverso un post su facebook o un tweet. Quello che va capito, elaborato, discusso nei luoghi e nelle dimensioni che condividiamo è che quello alla quale siamo esposti collettivamente è un virus, una malattia, un disagio che non verrà fermato o scalfito dalle nostre elaborazioni teoretiche, per quanto brillanti e acute possano essere.

Per avere un’idea concreta di quello contro il quale si sta combattendo bisognerebbe farsi materialmente un giro, tutti quanti, su queste piattaforme dalle quali e attraverso le quali queste tragedie prendono vita. Questi luoghi, oscuri se vogliamo, sono tante cose e quasi tutte miserabili e annichilenti, ma quello che va capito a tal proposito è che le persone che frequentano questi luoghi sono principalmente guidati da un concetto problematico: quello di branco. Basta leggere i post sotto alla dichiarazione del terrorista di ChristChurch, per averne un’idea chiara: il tessuto vivo sul quale il virus fascista si insinua è un tessuto debole, cadente, frammentato, lontano anni luce dalle rappresentazioni classiche di Nazismo, Fascismo, Tradizionalismo; 8chan è più simile a un centro di recupero per otaku che a un circolo della Hitlerjugend. Il concetto di branco non è di per sé un concetto negativo: in natura il branco aiuta e protegge, guida i più giovani e fornisce loro aiuto in un compito non facile per nessuna delle specie viventi a questo mondo, sopravvivere. Se riusciamo ad astrarre un momento dal contenuto odioso che questi forum in particolare contengono, non è difficile vedere come tutto l’impianto, alimentato a memi, black humor e shitposting, non sia che una modalità sintetica di branco, all’interno della quale personaggi ambigui, spesso patologici, trovano una dimensione malata e distorta di condivisione. Per quanto sia difficile e forse nauseante da ammettere, quello che questi soggetti degradati nella mente e spesso nel corpo intendono come branco altro non è che la dimensione speculare di quello che noi intendiamo come comunità.

Il problema è grande e di non facile soluzione: la stessa impasse nella quale ci troviamo davanti a questa tematica è la stessa che sperimentiamo nel rapportarci all’avanzata dei populismi di destra. Qual è la soluzione? Non può esserci giustificazione di fronte a certe posizioni, né alcuna forma di indulgenza; allo stesso tempo siamo sicuri che abbandonare completamente la lotta su questo piano, unicamente in favore della critica e dell’analisi a posteriori, oppure della semplice contrapposizione sia la scelta politicamente più saggia? C’è una cosa che già dovremmo aver imparato da questi anni bui di riscossa dei fascismi a livello globale: i virus non spariscono da soli, vanno estirpati ed è necessario produrre i giusti anticorpi. Contrapporre all’odio dei fascisti una critica ancora più severa o un’analisi ancora più puntuale non ostacolerà in nessun modo la strada del prossimo subumano deciso ad imbracciare un fucile automatico. Purtroppo, o per fortuna, a seconda dei punti di vista, non siamo più nell’epoca della contrapposizione frontale fra schieramenti; potremmo scoprire ben presto che quelli ai quali ci proponiamo di muovere guerra, non sono altro che gli adolescenti disturbati della porta accanto, portatori in un certo senso di una malattia non curata che produce gli effetti più aberranti.

Allo stato attuale non è difficile fare una previsione per l’immediato futuro: finché non saremo in grado di fornire un modello alternativo di comunità che sia efficace, convincente e inclusivo questo tipo di eventi continueranno a ripetersi a ritmi sempre più veloci. Un virus altamente aggressivo, come possiamo affermare senza dubbio sia la recente diffusione dei movimenti d’ispirazione nazifascista, si trasforma in breve tempo in pandemia. Queste dinamiche già adesso danno luogo a veri e propri fenomeni mimetici, portando sempre più in alto la soglia della loro distruttività. La strage neozelandese è la prima di un nuovo genere, è la prima strage dei memi, come è già stata definita da molti, un passo avanti in una scala mimetica di violenza, dove l’unica regola è l’escalation. Il compito politico e soprattutto etico che ognuno di noi ha è quello della cura di sé e degli altri: attraverso una costante attenzione e un costante lavoro nei territori, nei collettivi, online e offline, attraverso qualsiasi mezzo siamo capaci di mobilitare, dobbiamo cominciare a immaginare un modo di riprogrammare quegli algoritmi sociali che puntano lentamente a trasformarci in bestie prive di legami ed empatia. Solo rifiutandoci di cedere alla tentazione della critica distaccata o dell’analisi impotente, alla semplificazione, solo cercando di capire e smontare questi intricati meccanismi sociologici possiamo sperare di invertire una tendenza che porta dritta all’abbrutimento, nostro e di tutta quella comunità inclusiva che ogni giorno cerchiamo di costruire. In questi episodi in particolare diviene della massima importanza scardinare la retorica del lupo solitario, del pazzo, o del mostro nazista, e scendere in profondità, sporcandosi le mani e non avendo paura di toccare il fondo e scoprire la vera natura dei mostri.