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Padova, la Consultoria liberata: «non solo ambulatori, vogliamo ripensare gli attuali consultori»

Dopo la manifestazione dell’8 marzo centinaia di persone hanno aperto i cancelli dell’ex consultorio di via Salerno a Padova e hanno liberato lo spazio abbandonato da anni, riattivando un presidio territoriale: è nata così la Consultoria liberata

L’8 marzo avete occupato uno stabile che fino a qualche anno fa era un consultorio per farne una Consultoria: potete raccontarci da quale esigenza è nata questa iniziativa? Perché avete scelto proprio la giornata dell’8 marzo?

L’8 marzo, giorno di sciopero globale femminista e transfemminista contro la violenza patriarcale, alla fine di un corteo di più di duemila persone, abbiamo occupato e liberato un ex-consultorio. La proprietà della struttura è di ATER, ente regionale che gestisce il patrimonio di edilizia residenziale pubblica e che da anni sta svendendo edifici abitativi e di pubblica utilità. Abbiamo deciso di entrare nello stabile di via Salerno 1 per la funzione che questo ha svolto fino al 2019: un consultorio di quartiere che serviva la zona di Padova Sud Ovest. Lo abbiamo fatto l’8 marzo per dare ancora maggiore concretezza alle nostre pratiche di lotta: lo sciopero è un momento di sottrazione dal lavoro, ma anche una liberazione di tempo e energia creativa per costruire e far vivere un’alternativa al mondo violento che ci circonda.

L’occupazione della Consultoria arriva da anni di riflessioni sull’autodifesa femminista e transfemminista e dal percorso della Consultoria itinerante, iniziato nell’autunno del 2022. Che cosa intendiamo con autodifesa? Quali sono le forme di violenza che viviamo? Che cosa ci serve per sentirci sicure e per poter rispondere alla violenza? Quali reti costruiamo? Come? A partire da queste domande abbiamo costruito spazi di confronto, scambio di informazioni ed esperienze sulla salute sessuale e sull’aborto, sulla violenza ginecologica e ostetrica, sulle molestie nei contesti di lavoro, sulle scelte di genitorialità al di fuori della norma patriarcale, sul consenso nelle relazioni, con l’obiettivo di darci degli strumenti di autodifesa. Da ognuno di questi incontri sono nate delle guide informative (sull’autodifesa dalla violenza ginecologica e all’aborto a Padova, dei contatti di professioniste (mediche, psicologhe, ginecologhe, sindacaliste…) a cui fare riferimento, esperienze di autocoscienza e sorellanza. La Consultoria era itinerante sia per la scelta di attraversare luoghi diversi della città, sia a causa della precarietà e della mancanza di spazi. Infatti, l’assenza di spazi femministi e transfemministi, dove incontrarsi, parlarsi, trovare una rete di supporto, organizzarsi, è un problema politico e genera effetti di violenza nella vita delle donne, delle lesbiche e delle froce, delle persone trans e queer e delle libere soggettività.

Tutto questo si inserisce in un contesto di mobilitazione più ampio che, a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin, ci ha portate a Roma il 25 novembre insieme a mezzo milione di persone. Il femminicidio di Giulia, la potenza delle parole di sua sorella Elena, rappresentano un punto di svolta, un “prima e un dopo”. La violenza di genere non la possiamo contrastare “solo” costruendo mobilitazione e risposta immediata, servono strategie, luoghi di discussione fisici, serve riappropriarsi di spazi in cui prendere parola come donne e soggettività esposte alla violenza di genere. Serve un’educazione sessuale e affettiva, un’educazione al consenso, servono luoghi in cui costruire mutuo-aiuto, tutto quello che fa una consultoria transfemminista.

Nel comunicato avete scritto che la sede che avete occupato era un consultorio che è stato chiuso nel 2019 dall’ULSS e dall’ATER che lo aveva in gestione: quali sono le motivazioni di questa chiusura? Quale avrebbe dovuto essere la sua destinazione? Perchè era ancora chiuso dopo 5 anni?

La struttura è di ATER ed ospitava il consultorio dell’ULSS. Nel corso di 12 anni l’azienda ospedaliera ha chiuso ben 4 consultori del distretto di Padova, le motivazioni sono le solite ovvero necessità organizzative di accorpamento che mascherano la condizione disastrosa della spesa pubblica per la sanità. Guardando le condizioni degli spazi dell’ex consultorio abbiamo ragione di credere che la chiusura non sia stata legata alla stabilità dell’edificio, ma solo al risparmio a spese della salute delle donne e delle persone che abitano la città.

Lo spostamento del consultorio di via Salerno 1 presso la sede di via Enrico degli Scrovegni a 4 km di distanza nel centro di Padova, non rappresenta che una piccola parte del generale piano di definanziamento della sanità pubblica in favore della privatizzazione.

Che servizi offriva il consultorio che è stato chiuso?

Ginecologhə, psicologə, infermierə, ostetrichə e assistentə sociali erano disponibili per la comunità, offrendo diversi servizi senza costi aggiuntivi e senza necessità di appuntamento. Questi servizi includevano: assistenza durante la gravidanza, corsi di preparazione al parto, promozione dell’allattamento al seno, consulenza sulla contraccezione e sull’interruzione volontaria della gravidanza, supporto per le donne in menopausa, esami ginecologici e senologici, PAP test, consulenza e terapia psicologica, assistenza alle coppie in crisi, educazione sessuale nelle scuole e visite domiciliari alle neo-mamme in difficoltà.

A oggi, le persone che hanno attraversato lo spazio della Consultoria, da abitantə che usufruivano dei servizi a ex-lavoratrici, denunciano una situazione di scollamento tra territorio e servizi sanitari: ritardo nelle visite preventive nell’ambulatorio del centro in cui è stato spostato il servizio, il passaggio a una sanità privata per chi può permetterselo, un lavoro meramente ambulatoriale e non di prossimità nel caso delle ex-lavoratrici.

Il Veneto è una delle regioni con la minore diffusione di consultori per popolazione a livello nazionale: come leggete questa scelta politica?

La Regione Veneto, presieduta da Luca Zaia, è una delle regioni italiane in cui sono stati chiusi più pronto soccorso e l’azienda regionale ULSS è stata capace di definire questi tagli una “spending review virtuosa” sostenendo di non aver abbassato il livello qualitativo del servizio sanitario. La pandemia ha però rivelato come i tagli abbiano inciso pesantemente sulla quantità e sulla qualità dei servizi. A oggi il tema dell’accesso alla sanità, dei costi delle cure e della loro prossimità rispetto alla popolazione viene colpevolmente ignorato e a pagarne le spese è chi non ha i soldi per rivolgersi al privato.

Alcune donne del quartiere, avvicinatesi alla Consultoria in questi giorni, ci hanno raccontato che da quando ha chiuso il consultorio di via Salerno non sono riuscite più a raggiungere i servizi psicologici e ginecologici.

Nello “spostamento” del consultorio non solo sono stati bypassati i bisogni della popolazione del quartiere Sacra Famiglia, uno dei più popolati di Padova, ma è stata completamente elusa la legge. La legge regionale 28/77 prevede che «la distribuzione dei consultori familiari sul territorio regionale dovrà essere corrispondente alle esigenze della popolazione secondo criteri di ampia diffusione del servizio». Ma come dimostra l’ultima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, «con una sede ogni 49.817 residenti il Veneto ha una diffusione dei CF in linea con quanto stabilito dalle Linee guida regionali per il Servizio di CF del 2010 (40.000/50.000 abitanti)». Tale valore colloca il Veneto tra le tre realtà (2 Regioni e 1 PA) con la più bassa diffusione di sedi di CF sul proprio territorio nel panorama nazionale. Non si tratta quindi della sola carenza numerica, ma di una precisa scelta politica nel non aumentare nelle Linee guida il rapporto tra consultori e numero di abitanti.

I consultori sono una realtà nata dai movimenti femministi degli anni 70 e poi istituzionalizzata con la legge 405/1975. Come sono cambiati il ruolo e la funzione dei consultori in questi cinquant’anni?

I consultori sono nati grazie alle lotte femministe e delle donne che hanno portato una visione politica e sessuata della salute: donne che si organizzavano autonomamente per parlare di salute, contraccezione, sessualità, maternità, violenza, relazioni. Una lotta dal basso vissuta aprendo contraddizioni e conflittualità, come avveniva con le autodenunce per aborto clandestino o il caso di Gigliola Pierobon, che hanno reso evidente la contraddizione tra negazione di un diritto e bisogni delle donne.

La legge quadro nazionale n° 405 del 1975 prevedeva che fossero le regioni a disciplinare le funzioni dei consultori. In Veneto la legge 25/1977 riconosce ai consultori “la funzione di diffusione dell’informazione sessuale e la divulgazione delle conoscenze scientifiche e psicosociali sulle problematiche della coppia, del singolo, della famiglia, della genitorialità responsabile e dell’infanzia”, inoltre istituisce un Comitato di partecipazione.

Le finalità del Comitato secondo la legge regionale è quella di indirizzo, controllo e gestione del consultorio, la composizione prevista è di «non più di 15 rappresentanti degli utenti e delle organizzazioni sociali e sindacali presenti nella zona con particolare riferimento agli organismi di decentramento comunale, ai movimenti femminili, agli organi collegiali della scuola, ai consigli di fabbrica e agli operatori del servizio».

Oggi i consultori non solo sono insufficienti, ma non svolgono più molte delle funzioni per le quali sono nati. Da quella che all’epoca è stata una grande innovazione con l’introduzione del paradigma bio-psico-sociale in sanità, si sta tornando a dare spazio al solo paradigma bio-medico. Infatti, anche i consultori attualmente aperti, sono stati svuotati della loro funzione politica quali punti di riferimento e spazi di organizzazione e di confronto per le donne, per diventare, quando va bene, poco più che ambulatori. Questo ha una diretta ricaduta sulle donne e sulla popolazione che perde servizi di prossimità fondamentali, ma ricade anche sulle spalle di chi all’interno di queste strutture lavora con sempre meno riconoscimento e maggiori difficoltà.

NUDM ha sempre insistito sull’importanza della salute in chiave transfemminista. Già nel Piano Femminista un intero capitolo era dedicato a questo tema, declinando la risignificazione dei consultori «come spazi politici, culturali e sociali oltre che come servizi socio-sanitari, valorizzando la loro storia in luoghi delle donne per le donne». Cosa significa? Come declinerete questa rivendicazione nel vostro spazio? Cosa significa per voi “salute” in chiave transfemminista?

Significa che la salute non è semplice assenza di malattia, ma poter contare su una rete di relazioni, supporto e sorellanza. In una settimana di occupazione sono centinaia le persone (abitanti del quartiere, lavoratrici, studentesse, pensionate) che hanno partecipato alle assemblee, ai laboratori sulla salute sessuale, ai momenti di socialità, persone che hanno trovato nella Consultoria una casa e un luogo accogliente dove costruire e coltivare legami di solidarietà. In questo senso la Consultoria è un presidio antiviolenza, perché come donne e libere soggettività troviamo uno spazio per parlarci, incontrarci, organizzarci contro le forme di ricatto, violenza, solitudine, sfruttamento di cui si alimenta il sistema patriarcale.  Inoltre, l’apertura della Consultoria sta (inaspettatamente) generando e sostenendo un’attivazione politica da parte di singole lavoratrici della cura (psicologhe, ginecologhe, ostetriche, mediche di base…) che si sono messe a disposizione sia per organizzare momenti di confronto tra lavoratrici rispetto alle proprie condizioni di lavoro nell’attuale sistema sanitario (e, in particolare, all’interno dei consultori pubblici), sia per condividere il proprio sapere medico in contesti di gruppo in ottica di costruire potere e autodeterminazione delle donne e delle libere soggettività sul proprio corpo.

L’analisi femminista e transfemminista mette a critica l’identificazione della salute sessuale con la riproduzione poiché da questo tipo di concezione (patriarcale) discendono una serie di violenze sul corpo delle donne e delle libere soggettività: ostacolare l’aborto, dare per scontato il desiderio di maternità o l’orientamento sessuale di una paziente durante una visita, praticare la rettificazione neonatale dei genitali per le persone intersex. Al contrario, in un consultorio transfemminista (e nel percorso della Consultoria), vogliamo promuovere un’idea di salute e di salute sessuale che tenga conto delle differenze, che non dia per scontato destini di vita, che metta al centro il tema del piacere e del consenso delle relazioni, che sia un luogo dove ricevere e condividere informazioni sul proprio corpo per autodeterminarsi.

L’approccio femminista e transfemminista alla salute ci porta a desiderare la riapertura dei consultori non solo come ambulatori. Per questo non ci limitiamo a opporci ai tagli al welfare e alla privatizzazione della sanità pubblica, ma vogliamo ripensare gli attuali consultori e dare risposta a nuove esigenze, per questo crediamo nell’incontro, nello scambio di esperienze, nel racconto condiviso.

Quali sono i progetti che avete previsto di realizzare? Come vi organizzate? Quali altre realtà o soggettività hanno partecipato a questo percorso e faranno vivere la consultoria?

Per il momento, e in continuità con il percorso della Consultoria itinerante, stiamo attivando uno sportello informativo sull’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) ed in particolare all’aborto farmacologico, laboratori periodici di educazione sessuale e affettiva, momenti di confronto e scambio di esperienze per costruire guide di autodifesa alla violenza ginecologica e ostetrica e per contrastare le molestie sui luoghi di lavoro, gruppi di confronto sulla genitorialià, incontri sul dolore mestruale e sul dolore sessuale, sulle malattie invisibili, uno sportello di primo ascolto psicologico, una mappatura di professioniste disponibili in caso di violenza di genere, una raccolta di contatti di supporto per l’autodifesa legale, un laboratorio di autodifesa femminista autogestito, per riconoscere tutti gli aspetti della violenza di genere, ma soprattutto per imparare a contrastarla e prevenirla collettivamente e individualmente. Oltre a questo è iniziato un gruppo di studio sulla storia dei consultori per costruire vertenzialità in questo ambito.

La Consultoria è anche uno spazio di elaborazione e organizzazione transfemminista, per questo ogni mercoledì ospita le assemblee settimanali di Non una di meno: è questo lo spazio politico di confronto e decisione sulla progettualità politica sullo spazio. Insieme all’assemblea di Non una di meno, organizziamo le assemblee di gestione della Consultoria dove raccogliamo le proposte di iniziative e percorsi da attivare all’interno dello spazio.

La Consultoria è aperta alla partecipazione sia di singole sia di realtà femministe e transfemministe con cui condividiamo la lotta per la riapertura dei consultori, per l’esistenza di spazi per le donne e le libere soggettività e, in generale, la lotta per mettere fine alla violenza di genere e patriarcale. Sia realtà più istituzionali come la Casa delle donne di Padova, con cui sperimentiamo uno scambio politico tra generazioni diverse di donnx in lotta, sia collettivi che stanno supportando e partecipando attivamente al percorso.

Avete in corso un’interlocuzione con le istituzioni locali (Comune, assessorati, Regione, ULSS, ATER)? Credete che riuscirete a ottenere un’assegnazione?

Siamo disponibili ad aprire un’interlocuzione con le istituzioni locali e ci stiamo attivando in questa direzione, ma l’assegnazione non è sufficiente. Le nostre rivendicazioni sono chiare: vogliamo che il consultorio di via Salerno riapra, e riapra come consultorio femminista e transfemminista, che i consultori tornino a essere luoghi aperti, accessibili, partecipati e presenti in ogni quartiere, che ATER smetta di svendere e speculare sull’edilizia pubblica e al contempo lasci immobili sfitti all’abbandono sottraendoli alla collettività, che Comune e Regione si assumano la responsabilità politica del mancato accesso alle cure per donne e libere soggettività. Le responsabilità politiche della chiusura dei consultori come del numero inaccettabile di femminicidi nella nostra regione sono diffuse, dall’ULSS alla Regione, dal Comune all’ATER. Resteremo e faremo vivere la Consultoria finché non avremo risposte e un impegno concreto nel contrasto alla violenza di genere.

Le immagini sono di Non Una Di Meno Padova