MONDO

India, dal nazionalismo di Stato allo squadrismo nelle università

Da dove nasce l’aggressione squadrista contro gli studenti dell’università Jnu di Nuova Delhi e perché studenti e docenti sono in mobilitazione

I fatti

Nella giornata di domenica 5 gennaio lo squadrismo della Abvp – Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad – si è presentato nelle residenze della Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi. Decine di militanti dell’organizzazione studentesca di estrema destra, collegata all’organizzazione induista Rashtriya Swayamsevak Sangh hanno fatto irruzione nelle residenze universitarie Sabarmati, Mahi Mandvi e Periyar con bastoni e martelli alla ricerca di studenti e docenti di sinistra, kasmiri e musulmani. Mentre accadeva tutto questo, la presenza della polizia all’esterno delle residenze e dell’università ha fatto da garante alle violenze. Decine di poliziotti schierati fuori dai cancelli sono rimasti muti e accondiscendenti ai pestaggi arbitrari dei militanti della Abvp.

Nel pomeriggio gli studenti della Abvp entrano in università a volto coperto brandendo bastoni di bambù, martelli e oggetti contundenti. Il fine è stato chiaro da subito sia agli studenti che ai docenti: la restaurazione del normale ordine delle cose dev’essere imposta a tutti i costi, le violenze arbitrarie non costituiscono un’eccezione in questo. Gli studenti trovati in corridoio hanno subito violenti pestaggi. Molti si sono barricati nelle proprie camere alla ricerca di riparo e molte porte sono state divelte. 

Da un’inchiesta del giornale India Today Akshat Awasthi, riconosciuto tramite le registrazioni video della sicurezza, ha dichiarato di essere entrato alla residenza Periyar brandendo un bastone nascosto in una bandiera. Alla domanda del reporter «hai picchiato qualcuno?», lui ha risposto: «C’era un uomo con la barba lunga. Sembrava un kashmiri. L’ho picchiato e poi ho rotto il cancello a calci». L’elemento è stato una costante dell’attacco, in molti pestaggi veniva chiesto agli studenti dove fossero le stanze dei kashmiri. In seguito la Abvp ha rivendicato l’estraneità di Awasthi all’organizzazione, ma ciò non costituisce un deterrente per le responsabilità dell’organizzazione.

Molti altri studenti chiusi in camera si sono visti sfondare la porta a calci. Una volta entrati nelle stanze veniva chiesto loro di dimostrare il proprio orientamento politico, così come riporta un altro studente, Rohit Shah, a India Today: «Ho detto [ad uno studente a volto coperto] che è una stanza della ABVP e sono andati via». Il dottorando Rakesh Kumar Arya, invece, si è salvato mostrando un libro sul nazionalismo hindu. In molte altre stanze ci si è dovuti difendere barricando le porte con dei letti o scappando dal balcone. I manifesti politici, che riempiono i muri della Jnu, sono stati strappati via e con essi pezzi della memoria storica di un’università caratterizzata dal motto studiare e lottare

L’attacco alle residenze è stato organizzato utilizzando gruppi WhatsApp dove gli amministratori hanno chiamato all’azione contro gli studenti di sinistra. Dalle indagini giornalistiche s’è scoperto che 10 dei 18 amministratori del gruppo erano collegati direttamente con la Abv. Il loro riconoscimento è stato possibile grazie all’uso dell’applicazione Truecaller – con cui è possibile collegare il numero di telefono alla persona fisica. Negli screenshot dei gruppo chiamati Amici della RSS e Uniti contro la sinistra si vedono messaggi come «entriamo nelle residenze e li picchiamo» o «assolutamente, è tempo di sistemare le cose una volta per tutte. Se non li picchiamo adesso, quando? I comunisti hanno diffuso il sudiciume».

Nei pestaggi più di 40 persone hanno riportato ferite gravi e sono stati finiti in ospedale, fra questi anche Aishe Gosh, leader dell’associazione studentesca di sinistra Jnusu. La sua faccia coperta di sangue ha fatto il giro delle prime pagine dei giornali indiani, nonostante questo la ragazza non s’è fatta intimidire ma continua con determinazione le proteste con studenti e docenti. In un tweet la Jnusu ha denunciato gli avvenimenti in tempo reale «membri dell’ABVP a volto coperto stanno cercando di entrare nella residenza Periyar [..] sono entrati nel campus con lathi, bastoni e martelli».

Le reazioni

Le indagini aperte dalla polizia, sotto richiesta del ministro dell’Interno Amit Shah, in collaborazione con l’amministrazione della Jnu, hanno inserito Gosh e altri studenti appartenenti alle organizzazioni universitarie di sinistra come unici indiziati per le violenze ed i danni. La polizia accondiscendente fuori dai cancelli non era altro che una premessa alla deviazione delle indagini con l’obiettivo di sedare le proteste degli studenti. In ultimo, questi sono stati sospesi dall’Università fino alla chiusura del processo.

Il Partito del Congresso ha preso posizione in merito e indicato nel Bjp, partito popolare indiano espressione dell’etnia induista, e nel governo Modi le responsabilità politiche: l’attacco come rivincita dinanzi a una delle frange di società più combattive al processo di nazionalizzazione e neoliberalizzazione della società. 

Il capo portavoce Randeep Surejewala ha twittato: «Studenti picchiati alla Jnu. Docenti picchiati alla Jnu. Gli assalitori hanno vandalizzato le residenze femminili. Atrocità e pestaggi ripetuti. Non c’era polizia da nessuna parte, non c’era nessuno dell’amministrazione universitaria. È così che Modi esegue la sua rivincita contro giovani e studenti?».

Anche ricercatori e docenti sono stati colpiti in questo attacco. La sera del 5 gennaio, infatti, si stava tenendo un’assemblea per decidere cosa fare per proseguire nelle proteste. La risposta non s’è fatta attendere. La posizione dell’associazione dei docenti è stata ferma e inemendabile. Alla proposta del vice-rettore di convocare una commissione d’indagine sulle violenze composta da cinque membri nominati da lui stesso, la risposta della Jnuta è stata di rifiuto, non collaborazione e richiesta di rimozione di Jagadesh Kumar dalla carica di vice rettore

L’azione squadrista ha tentato di cancellare forza e memoria di studenti decisi a proseguire nella lotta per un’università accessibile ai più, contro i canoni etnici, religiosi, di classe e provenienza scolastica. L’animo di studenti e docenti non è in frantumi come le porte delle residenze. In molti hanno avviato un lavoro di cura encomiabile accertandosi delle condizioni dei propri amici e colleghi subito dopo l’attacco.

Altrettanti hanno affollato le bacheche dei social network con richieste di aiuto in seguito all’attacco subito domenica e nei giorni successivi ci si è sforzati di affrontare collettivamente il trauma. Un trauma violento per chi credeva di vivere in una zona safe, dove coltivare affetti e ampliare conoscenze oltre i programmi di studio.

La solidarietà

Ci sono stati molti appuntamenti di risposta da parte di studenti e docenti della Jnu. In primis, la convergenza di momenti di solidarietà da parte di studenti di atenei dell’India, come la National Law University nel Bangalore, nelle Università di Mumbai, del Kerala, di Calcutta, della Jamia Millia Islamia e della Aligarh Muslim University. La solidarietà di queste ultime due università, attaccate da raid della polizia a metà dicembre in seguito alle proteste per l’approvazione del Citizenship Amendament Act, hanno avuto maggior forza, sia per la vicinanza geografica sia per la potente risposta degli studenti della Jamia che ha dato luogo a un presidio fuori dalla stazione di polizia di Delhi.

Nella giornata successiva le proteste hanno animato l’università e le piazze circostanti. Studenti e docenti hanno protestato dando vita ad una catena umana intorno all’università. Nella giornata del 7 gennaio le piazze della città hanno visto il protagonismo delle donne della Jnu e delle altre università di Nuova Delhi, scese in piazza per il diritto a vivere senza la paura della violenza squadrista dell’estrema destra nazionalista e per un’università accessibile a tutte e tutti. In questo caso la forma di protesta non è un’eccezione in un ateneo che negli ultimi anni ha visto una maggioranza di studentesse.

Nella manifestazione organizzata da Jnusu e Jnuta del 9 gennaio contro le violenze alla Jnu e per la rimozione del vice-rettore, il corteo diretto al ministero dell’Istruzione è stato caricato dalla polizia mentre raggiungeva piazza Rashtrapati Bhawan. Uno studente è stato ferito dalla polizia durante le cariche.

Negli scorsi giorni la Jnutae la Jnusu hanno pubblicato documenti in cui si vede la posizione univoca di rifiuto delle commissioni d’inchiesta imposte dall’amministrazione e la richiesta di rimozione del vice-rettore come precondizione per l’avvio delle indagini. Nel documento dell’associazione dei docenti si pone l’accento su come «il ritorno alla normalità e l’eliminazione del clima di terrore e paura non siano possibili fino a quando il vice-rettore resterà in carica». Nel documento dell’associazione studentesca viene dato invece un report puntuale di come sono andate veramente le cose nei campus della Jnu.

La risposta del ministro degli Interni Amit Shah è arrivata domenica 12 gennaio durante un comizio a Jabalpur. La responsabilità delle azioni viene completamente ribaltata nelle sue parole, ponendo al centro del discorso il concetto di nazione. La colpevolezza degli studenti della Jnu è data quindi dalla presunzione dell’aver intonato cori da lui reputati anti-nazionali e con l’invettiva: «Rahul Baba e Kejriwal [politici indiani appartenenti a partiti dell’opposizione, ndr] hanno detto salvateli, salvateli… Sono forse vostri cugini o fratelli?»

La stretta repressiva sulle Università è sintomo di un timore molto forte nel partito di Governo, capace di manifestarsi con la violenza fisica e istituzionale come unica risposta possibile di un presidente che vuole fare del subcontinente un monolite etnico-religioso.

Da dove vengono le proteste

«Pensate che gli studenti stiano protestando solo per l’aumento delle tasse? Se scavate più a fondo scoprirete che questa è una lotta per un’università accessibile a tutti, per un’istruzione pubblica di qualità e per il mantenimento della tradizionale eterogeneità». Così il Professor Avijit Pathak ha scritto in un suo articolo sulla rivista “Week India” riguardo a quel che sta accadendo alla Jnu.

Se la motivazione degli attacchi alla Jamia Millia Islamia e alla Aligarh Muslim University, avvenuti nel dicembre scorso, è di filiazione diretta, per comprendere quel che è successo e sta succedendo alla Jnu bisogna fare un passo indietro. 

Le proteste alla Jnu non sono nuove, anzi sono un tratto caratteristico di un’università pubblica anomala nel panorama indiano. In primis questo è uno dei pochi atenei pubblici d’eccellenza nel paese. Negli anni precedenti, e soprattutto nel 2019, il vice-rettore Jagadesh Kumar ha avviato una stretta, in sintonia con il governo centrale, sulle tasse e sul costo delle stanze nelle residenze universitarie: da un affitto di 10-20 rupie al mese si è passati a 200-300 rupie. Sebbene un affitto così basso sia del tutto anomalo nelle università pubbliche tale aumento va a intaccare l’anomala composizione sociale di un ateneo in cui poveri, Dalit, donne e studenti provenienti dalla provincia hanno potuto trovare una possibilità d’accesso allo studio. 

«Se le istituzioni pubbliche non sono pensate per soddisfare le aspirazioni dei poveri e degli emarginati, l’idea di democrazia e giustizia sociale non ha alcun significato al di là della retorica», ha scritto il giornalista indiano Prabodhan A. Pol. Inoltre mettendo mano al regolamento delle residenze è stata posta un’ulteriore discriminazione per gli studenti disabili – impossibilitati per condizioni socio-economiche di provenienza a muoversi in città a trovare altre sistemazioni – che hanno visto deregolamentare le stanze loro riservate. Con queste riforme circa il 50% degli studenti rischia di vedere la fine del proprio percorso di studi a causa dell’impossibilità economica di poter continuare a frequentare l’università.

Con le proteste esplose a cavallo fra la fine dell’anno scorso e l’inizio del nuovo, gli studenti hanno preso in mano la situazione rendendo inevitabile lo sciopero. Nella notte fra il 3 ed il 4 gennaio alcuni studenti sono entrati nella sala server spegnendoli. L’atto doveva fare da prologo al lungo sciopero per il nuovo semestre, rendendo così impossibile l’avvio degli esami e dei corsi per il nuovo anno.

Jagadesh Kumar: come la JNU si svende al governo

Fin dall’insediamento del vice-rettore Jagadesh Kumar il clima all’interno dell’università è drasticamente mutato: da una collaborazione fra amministrazione, corpo docente e studentesco si è passati all’impossibilità di dialogare. Temi come l’innalzamento delle tasse non hanno visto il coinvolgimento di alcun corpo intermedio o di soggetti direttamente interessati. Oltre a questo, Jagadesh Kumar ha disposto una stretta sui corsi imponendo in molti casi la frequenza obbligatoria. Questo ha causato un’esclusione di fatto di soggetti poveri o marginali – circa il 40% del corpo studentesco – dall’università. Altro provvedimento è stato il taglio degli orari per le biblioteche. 

La politica repressiva del vice-rettore si può riassumere nella pretesa di voler mantenere le gerarchie esistenti nella società in un’università che ha fatto della distruzione di queste il proprio tratto caratteristico. In un’università in cui sono accettati i Dalit, gli «intoccabili» della quinta casta a cui non viene chiesto l’istituto di provenienza o la classe di appartenenza, il ripristino delle gerarchie costituisce un’impossibilità emotiva e fisica di poter vivere l’università come spazio sicuro.

Il ripristino delle gerarchie fra studenti e insegnanti, in un ateneo in cui spesso i ruoli accademici hanno avuto un’importanza secondaria, non rappresenta un miglioramento della didattica, anzi fa venir meno quel continuo scambio che ha fatto sì che la Jnu diventasse ciò che è ora: un ateneo pubblico d’eccellenza. Il ripristino di gerarchie fra studenti basate sull’identità di genere, casta e religione distrugge inoltre quell’humus sociale in cui emerge un microcosmo che rappresenta le diversità del subcontinente indiano. Dall’inizio degli anni Novanta gli studenti si sono battuti per l’eliminazione dei registri di casta, tribù e istruzione con lotte capaci di travalicare i confini dell’università e abbracciare la città.  Tali lotte hanno prodotto risultati positivi nel contesto universitario ma ora con il cambio di marcia dell’amministrazione l’ordine sociale nazionale deve essere ristabilito in ogni frammento di società.

A questo fanno da contorno l’eliminazione del potere degli organi democraticamente eletti nell’Università, la violazione del Central Educational Institutional Act del 2006 – in cui vengono sanciti principi più egualitari per l’accesso all’istruzione universitaria – e un attacco diretto al corpo delle donne con la cancellazione della politica sulle molestie conquistata dopo anni di lotte.

Il corpo studentesco ha subito un altro colpo dopo il conferimento della carica di vice-rettore a Jagadesh Kumar. Le organizzazioni studentesche che animavano l’università sono state progressivamente criminalizzate. Gli eventi all’interno degli spazi universitari sono stati osteggiati attraverso l’uso di circolari e regolamenti universitari. Insieme a questi sono stati distrutti anche i luoghi di socialità. Dove un tempo vi erano muri costellati di manifesti politici, dove era quasi impossibile vedere spiragli di vernice ora questi diminuiscono sempre più. I Dhabas – bar autogestiti a prezzi popolari all’interno dell’università – vedono la loro ora volgere al termine con l’inserimento di questi all’interno del piano di tagli. Il valore politico di questo atto non sta tanto nella chiusura del bar, quanto nella cancellazione di luoghi dove studenti e docenti fluiscono dopo lezione per discutere, studiare collettivamente e organizzarsi.

A questo segue la desolazione dei docenti mortificati nel proprio ambiente di lavoro. In un’università divenuta scranno di un vice-rettore in sintonia col governo nazionalista di Modi anche le assemblee fra docenti diventano un luogo in cui bisogna ricordare la propria obbedienza a chi ricopre cariche superiori. Questo, insieme alla discrezionalità dei passaggi di cariche all’interno dell’Università e all’istituzione del registro delle presenze per i docenti, ha aumentato all’interno della comunità accademica le dinamiche competitive. Il malessere di questa situazione si percepisce nella sua interezza nelle parole del professore Avijit Pathak: «Come posso dire a un amico di mandare sua figlia a un’università in cui la psicosi della paura e il bombardamento di circolari minacciose invadono ogni sfera di vita?».

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