cult

CULT

Il poeta Leonard Cohen

È morto il 7 novembre Leonard Cohen poeta, cantautore, narratore di un’epoca.

“I più grandi brani di poesia vanno accostati solamente a una certa distanza, a quel modo che talvolta cerchiamo di notte le stelle, non fissandole direttamente, ma spostando lo sguardo da una parte”. (Walt Whitman)

Alla memoria di Leonard Cohen, la cui notizia della morte si è appresa solo ieri 11 novembre. (Montréal, 21 settembre 1934– Los Angeles, 7 novembre 2016)

La poesia, la letteratura hanno plasmato l’adolescenza di Cohen, i cui idoli erano Yeats, Whitman, Federico García Lorca (chiamerà sua figlia, in seguito Lorca). E poi Tolstoj, Proust, Eliot, Joyce, Henry Miller… La poesia (dal greco ποίησις, poiesis, con il significato di “creazione”) una forma d’arte che crea, con la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. La poesia contiene già intrinsecamente alcune qualità della musica riuscendo ad arrivare in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa, dove le parole non sottostanno alla metrica.

Poesia e musica. Cohen ha amato i maestri del blues. Da Keats e Shelley al lirismo di Robert Johnson, il più grande poeta-cantante della storia del delta-blues, l’archetipo dell’artista maudit (morto a 27 anni nel 1938), talmente bravo (“the most powerful cry that I think you can find in the human voice” secondo Eric Clapton) che si diceva avesse stretto un patto col Diavolo, e poi Sonny Boy Williamson, Bessie Smith, e i narratori-cantanti francesi come Édith Piaf e Jacques Brel.

Le prime lezioni di chitarra informali a vent’anni da uno spagnolo incontrato vicino ad un campo da tennis locale che i toglierà la vita poco tempo dopo. “Era quelle sei corde, è stato quel modello di chitarra, che è stata la base di tutte le mie canzoni, e tutta la mia musica”. Cohen è stato in trentadue anni, un poeta e romanziere. Negli anni ’60 è figura marginale nella folla variegata della “Factory” di Andy Warhol. Ascolta Nico e rimane affascinato dal suo stile, dal suo magnetismo scenico – come riportò lo stesso Warhol. Patty Smith, Lou Reed (che ammirava il romanzo di Cohen “Beautiful Losers”), Jimi Hendrix, one night stand con Janis Joplin – a cui dedicherà Chelsea Hotel #2 . Incontri di arte, vita, suoni,

Alla scena musicale, Cohen si avvicina grazie alla cantante e amica Judy Collins che lo incoraggia ad esibirsi rompendo la sua paura del palcoscenico, chiedendogli di suonare alla Town Hall, a New York, in un evento contro la guerra in Vietnam. Suzanne del 1966 ne decreta il successo universale, racconto sfuggente, biblico “Jesus was a sailor” e intessuto di immagini sognanti: il desiderio. “Io non desidero una donna, io desidero anche il “paesaggio” che è contenuto in quella donna, un paesaggio che forse neanche conosco, ma che intuisco, e finché non ho sviluppato questo paesaggio che l’avviluppa io non sarò contento, cioè il mio desiderio non sarà compiuto, resterà insoddisfatto. Un desiderio è costruire”. [1]

L’ incontro con John Hammond, una delle figure più importanti della musica del XX secolo, colui che “scoprì” Billie Holiday, Pete Seeger, Aretha Franklin, Bob Dylan e in seguito anche Springsteen. Fu proprio Hammond che per primo disse: “Watch out, Dylan!” Il link di Cohen e Dylan erano evidenti, la matrice ebraica, letteraria, una fascinazione per il simbolismo biblico, ma Dylan con il suo tratto più surrealista, Cohen più liturgico, la loro opera è stata divergente. Due grandi artisti. “Quando la gente parla di Leonard Cohen” – disse Bob Dylan – “si dimentica di ricordare le sue melodie che, secondo me, insieme alle parole che scrive, sono il suo tratto più geniale”. In certi pezzi di Cohen sembra che il canto, la linea melodica, arrivi ancora prima delle parole che sembrano plasmarsi quasi da sole.

Da qui nasce la maestosa semplicità di Hallelujah, 1984, esito di un processo compositivo lungo e complesso. La prima cover della canzone risale al 1991 e fu incisa da John Cale. Da allora ci sono state oltre 180 reinterpretazioni del brano, e molti altri sono gli artisti che l’hanno ripetutamente eseguito dal vivo nel corso dei loro concerti. “È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale”, ”l’alleluia non è un omaggio a una persona adorata, a un idolo o a Dio, ma è l’alleluia dell’orgasmo. È un’ode alla vita e all’amore”. Da alcune interviste, dal flusso di parole, quasi un omaggio a Nietzsche. Un altro poeta, Jeff Buckley, riesce a emozionare ancora e a renderla sua, consacrandola nel 1994 all’interno dell’ unico album Grace.

Cohen come ben dimostra in Sisters of Mercy, è regista del suono, che tesse abilmente i fili della melodia, traghettando l’ ascoltatore in un imprevedibile viaggio musicale. Come a ragione riporta un lungo articolo del New Yorker, è probabilmente l’unico cantautore nella storia moderna che può essere paragonato in parte a Irving Berlin, ed entrambi non avevano alcuna formazione di musica classica.

So Long Marianne, e la fine di una relazione, le abitudini, gli sguardi, le parole che abitano e si frantumano nella mente, nella casa. Per Cohen, le donne non sono un universo da esplorare, da studiare, da possedere, esistono e questo basta per amarle. Perché tutt* siamo “solo” esseri umani sul palcoscenico della vita e nella performatività della musica. “Datemi una maschera e vi dirò la verità”. [2]

“If you want a lover / I’ll do anything you ask me to / And if you want another kind of love/ I’ll wear a mask for you”. La voce potente di I’m your man tra Tom Waits e Van Morrison, contaminazioni continue.

Nel 1970 dopo la rivolta studentesca nella Kent State University in Ohio e la morte dei quattro studenti uccisi dalla polizia, The Partisan, che parla della Resistenza, quella senza epoca. Tutto è in costante movimento…

Negli anni ’90 MTV rivoluziona il mondo della musica, il suo accesso, trascinandosi dietro di tutto, la “macdonalizzazione” si estende a livello planetario, i media amplificano la violenza, l’alienazione negli slurbs, la sua canzone The Future accompagna il viaggio on the road distruttivo di Mickey e Mallory Knox – in Natural Born Killers– che non sono gli hippies sognatori di un nuovo mondo come Peter Fonda e Dennis Hopper in Easy Ryder che finiscono ammazzati lungo la strada per la Florida, e nemmeno i romantici Bonnie and Clyde della Grande Depressione, ma il prodotto della televisione e dei media che imbracciano il fucile per uccidere l’American Dream o trasformarlo in un reality show… “Viviamo in un mondo, in una vita quotidiana, così ambigua, ambigua con noi, con le nostre mogli, i nostri mariti, i nostri amori, le nostre famiglie, i nostri amici, il nostro lavoro. Questa ambiguità è diventata intollerabile. Non siamo più fuori dal problema. Non esiste più la distanza. Non esiste più una collina dalla quale guardare tutto questo, ci siamo dentro”.

La giustizia sociale spesso si presenta come tema fondamentale nel suo lavoro. Dalla bellissima rivisitazione di Solidarity Forever (The Union Makes Us Strong), inno dell’ Industrial Workers of the World (IWW) a Democracy 1992. Un testo attuale anche oggi con la consueta ironia che contraddistingue l’autore. Eccola “La Democrazia in America”:

“Dalle guerre contro il disordine/ dalle sirene notte e giorno/ dai fuochi dei senzatetto/ dalle ceneri dei gay/ la democrazia sta arrivando negli USA. Sta arrivando dal dolore nelle strade/ i sacri luoghi dove le razze s’incontrano/ dalle baruffe omicide/ che hanno luogo in ogni cucina/ per determinare chi serve e mangia. Veleggia, veleggia/ o possente Nave dello Stato!/ Sta arrivando prima in America/ culla del meglio e del peggio. È qui che hanno tutto e il suo contrario”.

Joe Cocker l’ha resa famosa, ma First we take Manhattan è sua, “Prima prendiamo Manhattan, poi prendiamo Berlino”. Donald Trump, vomitato dai salotti di Park Avenue formalmente se l’era già presa l’isola, e ora il continente USA, vedremo l’Europa dove andrà… Ha osservato in Tower of Song che, “i ricchi hanno i loro canali nelle camere da letto dei poveri”. In The Land of Plenty stigmatizza gli Stati Uniti – se non l’intero Occidente. E poi l’antimilitarismo di Lover Lover Lover in cui si può scegliere se usare il proprio corpo come un’arma o “per far sorridere una donna”, oppure Story of the Street, la vita nella metropoli sotto il cielo stellato.

Cohen e i soggiorni nelle isole della Grecia, a Cuba, in perenne viaggio, tra la folla e il suo eremo, un “ricercatore spirituale”. “Qualsiasi cosa, cattolicesimo, buddismo, LSD, I’m for anything that works” – ha detto una volta. La vitalità artistica, la sua curiosità, non sono riuscite a salvaguardarlo dalla depressione, una nemesi per tutta la vita fin dalla adolescenza. Leonard Cohen ha continuato a danzare su di noi fino alla fine, continuando a mandarci i suoi Anthem, ci stiamo già preparando al futuro. “Ci saranno spettri/ ci saranno fuochi nella strada e l’uomo bianco danzante/ ma l’amore è il solo motore della sopravvivenza”. E sappiamo che tipo di amore intendesse.

Consigliamo l’ascolto di questa bellissima versione di Dance me to the end of love di Madeleine Peyroux (2004).

[1] Cit. da “L’Abécédaire de Gilles Deleuze”. “D come desiderio”

[2] Cit. di Oscar Wilde

La foto di copertina è tratta da qui