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Il Pigneto si salva con la cultura indipendente

Venerdì 15 e sabato 17 luglio ritorna il festival del Pigneto. Intervista con gli organizzatori dell’iniziativa che vuole salvare il quartiere dalla movida, a colpi di indipendenza e autogestione

Questo fine settimana il Pigneto verrà attraversato dalla sesta edizione del festival “Pigneto Città Aperta”. L’iniziativa, organizzata come ogni anno dal collettivo Trauma Studio, si svolgerà nei parchi e nelle piazze del quartiere. Un festival ricco di appuntamenti nel deserto della produzione mainstream romana. Lorenzo, uno degli organizzatori, ci racconta come nasce l’idea del Festival e perché si svolge proprio al Pigneto.

Lorenzo, come nasce l’idea di Pigneto Città Aperta?

Nasce dalla fusione di intenti e necessità differenti. Noi del Trauma Studio veniamo dal mondo dei centri sociali, della cultura indipendente, dalle occupazioni, ma volevamo costruire qualcosa che fosse in grado di raggiungere le persone che di solito non attraversano questi circuiti. L’idea che sta alla base del festival è quella di portare un insieme di pratiche – le autoproduzioni dal basso, la cooperazione, l’orizzontalità – in territori nuovii. Prendendo spunto dagli atelier ouvert di Parigi, iniziative dove gli artisti e i laboratori culturali aprono le loro sedi al pubblico una o due volte al mese, organizzando mostre ed eventi completamente autofinanziati.

La scelta di farlo al Pigneto non è stata casuale…

Ovviamente no. Quando sono venuto a vivere al Pigneto, quasi dieci anni fa, il quartiere era diverso, meno commerciale, il territorio non era ancora stato divorato dalle pizzerie e dai ristoranti. Poi è cominciato a cambiare, investito dalla gentrification e dalle trasformazioni del tessuto urbano. Un processo che avevo già visto investire San Lorenzo, un quartiere completamente trasformato dalla movida e dalla speculazione immobiliare. Quando con gli altri del Trauma Studio ci siamo resi conto che la stessa cosa stava per succedere anche qui, ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa. Ed è nata l’idea del festival.

Siete arrivati alla sesta edizione, cosa è cambiato da quando avete cominciato?

All’inizio volevamo semplicemente far uscire allo scoperto tutte quelle associzioni culturali, reti, collettivi e singoli artisti che vivono nel quartiere e lo animano con le loro produzioni. Solo che poi ci siamo resi conto che ognuno apriva il suo spazio, il suo atelier e si curava del suo pezzo. Non si generava quell’interazione che noi invece volevamo costruire. Allora quest’anno ci siamo detti: il festival lo facciamo nelle strade e nelle piazze del quartiere e chiediamo alle persone di partecipare. Il modello degli anni passati ci sembrava legittimare l’idea della movida che sta distruggendo il quartiere, in questo modo invece, abbiamo chiesto alle persone che lo vivono ogni giorno di riprendersene un pezzo e di farlo collettivamente. L’idea è quella di fare una festa di quartiere, una festa rionale, a noi piace pensarla così.

Il Pigneto è cambiato tanto in questi anni, ma secondo te quali sono state le cose peggiori?

Senza dubbio la speculazione ha investito il territorio. Basta pensare all’impatto che ha avuto la Metro C, una linea inutile che ha ridisegnato il territorio senza consultare gli abitanti. E poi c’è l’industria del divertimento e della movida, che si è portata dietro un modo di fare, ha cambiato le relazioni tra le persone. E subito dopo sono arrivati gli interessi mafiosi, lo spaccio, la violenza sulle donne. Non che prima non ci fosse, solo che ora la situazione è peggiorata, ci sono state aggressioni, stupri. Cose che poi vengono utilizzate dalle istituzioni per militarizzare il territorio e diffondere paranoie securitarie, che in fondo sono l’altra faccia della movida. Noi cerchiamo di mettere un argine a tutto questo puntando sulla cultura indipendente e su un modo diverso di fare le cose.

A Roma non è un buon momento per la cultura indipendente: tanti centri sociali sono sotto sgombero e anche al Pigneto i vigili chiudono le associazioni culturali. Tu che ne pensi?

Faccio una provocazione. A Roma se vuoi fare la serenata alla tua ragazza devi chiedere l’occupazione di suolo pubblico e pagare i diritti alla SIAE. È chiaro che sto provocando, ma la realtà non è troppo diversa da così. In più aggiungici che in un territorio come il Pigneto ci sono cinque cinema chiusi. Uno, il cinema Preneste, era stato occupato e rivitalizzato dagli attivisti, fino allo sgombero dello scorso anno. Si curano soltanto gli interessi degli speculatori e non quelli delle comunità, delle persone che vivono la città. Guardate l’Auditorium, dovrebbe essere il centro della produzione culturale della città e i biglietti costano 30 euro, nei centri sociali si entra a sottoscrizione libera, si fanno produzioni di qualità e il Comune li vuole chiudere. Noi abbiamo costruito Pigneto Città Aperta come un’iniziativa gratuita, perché la cultura deve essere per tutti.