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Il diario cinese di Simone Pieranni

Dopo “Red Mirror” Pieranni ci offre con “La Cina nuova” un’altra esplorazione delle mille facce di un’esperienza che incalza la nostra quotidianità nelle forme di vita più tecnologiche ma anche in un’inquietante tendenza al controllo autoritario

Dopo Red Mirror continua il percorso di Simone Pieranni fra le molte e contraddittorie figure del puzzle cinese.  Con La Cina nuova (Laterza, Bari-Roma 2021) l’autore, che scrive dopo lo scoppio della pandemia (che ha interrotto la possibilità di accesso diretto) e l’acuirsi delle tensioni con gli Usa, affronta altri capitoli che definiscono una realtà complessa offrendone un quadro sfaccettato e multiprospettico: memoria/futuro, mercato, meritocrazia, città/campagna, pubblico/privato, ecologia, lavoro, fantascienza, punk, ordine, ecc.

Il termine stesso “Cina” è problematico e quando si parla di “passato” non ci si riferisce a uno stato-nazione in senso europeo quanto a un impero che è il centro del mondo e la cui memoria è oggetto di molteplici ricostruzioni almeno quanto sono incessantemente rifatti gli edifici “storici” e “costruita” in buona parte la stessa archeologia. La storia del Partico comunista non sfugge, del resto, a questa regola, è più “interpretazione” che “fatto” per dirla in termini nicciani. La stessa Rivoluzione Culturale è una delle infinite demolizioni del passato che la Cina ha conosciuto – e non parliamo della pratica della damnatio memoriae… Controllo e riscrittura del passato sono una prerogativa del potere e Xi Jinping lo sta dimostrando con lampante chiarezza.

Per contrappasso, il futuro e il no-future restano disponibili – di qui la fioritura di una letteratura e videogiochistica di fantascienza e cyberpunk che può sorprendere e a cui si accompagnano sia grandi investimenti sulle tecnologie di controllo e sulla IA, sia le pratiche di crioconservazione, l’incipiente diffusione di posizioni transumanistiche che puntano all’immortalità bionica, sia infine le più concrete esperienze di manipolazione del Dna umano e virale.

Malgrado il precoce interesse a inizio Novecento di Lu Xun, la fantascienza si afferma solo alla fine del secolo, in piena era Deng, quando al micidiale esame di maturità, il gaokao, viene proposto come tema il trapianto di memoria, stesso tipo di soggetto di alcuni racconti appena usciti. Poco dopo Liu Cixin vince il Nobel della fantascienza, il premio Hugo, con il famoso Problema dei tre corpi, e di seguito si moltiplicano gli autori e i temi, spesso con caratteri o timori distopici, cui prontamente il Partito ha risposto pubblicando alcune linee guida per stabilire un canone della f-s – vaste programme, dato il genere per eccellenza sfuggente, ma interessante per il nesso fra invenzione letteraria e sviluppo dell’AI, centrale nelle prospettive tecnologiche cinesi.

Il capitolo Socialismo/mercato – pur soffrendo di una certa esitazione o prudenza nell’analizzare la natura sociale della Cina – contiene notazioni importanti sulla ripresa di tendenze egualitarie e perfino neomaoiste, in parte collegate a istanze di lotta di classe in parte sollecitate e controllate dalla dirigenza stessa del Partito come fattore di riequilibrio interno. Mao del resto è stato “interpretato” come padre della patria e rappresentante dell’egemonia del Partito più che rinnegato, ciò che ha consentito la sua periodica e più o meno strumentale riabilitazione e perfino il fatto che essere maoista possa essere cool, figo (purché in gruppi limitati).

L’assunzione dello Xi-pensiero come nuova dottrina ufficiale olistica è un tentativo di ricentralizzazione (Xi come erede del Primo Imperatore e dello stesso Mao, a scapito dei protagonisti delle fasi intermedie) ed esegeta ufficiale del marxismo. A scapito dello stesso Confucio, che era stato il nume tutelare della restaurazione “liberale” di Deng e successori.

«In questo senso i neomaoisti hanno giocato in difesa proiettando verso il futuro la costruzione minuziosa di una vera e propria galassia di relazioni, case editrici, siti Internet, capace di trovare delle sponde politiche tanto nel mondo dei funzionari più altolocati del Partito comunista, quanto all’interno della società civile. Il Pcc, a sua volta, ha cercato di utilizzare a proprio vantaggio l’esistenza di queste sacche di resistenza: dalla nascita dello Youth Study Group, propulsore del movimento neomaoista, fino al sito Utopia, spento e acceso a seconda della convenienza, ci troviamo di fronte a una danza continua: in alcuni momenti storici il Partito comunista ha utilizzato i neomaoisti per inserire all’interno del proprio corpus politico le parole chiave della «sinistra»; di fronte a un Partito composto sempre più da miliardari, la dirigenza cinese sfruttava i neomaoisti per apparire comunque in grado di occuparsi dei problemi degli ultimi. Questa spinta da sinistra – inoltre –, puntando su elementi anche iper-nazionalisti, ha finito per essere utile al Partito comunista in diverse occasioni» (pp. 37-38).

Ciò non toglie che, quando il neomaoismo si è dato una struttura e un punto di riferimento – Bo Xilai –  il centro del Partito, con il segretario di allora, Wen Jiabao, intervenne pesantemente nel 2013 destituendo e arrestandolo in nome della “lotta alla corruzione” (l’altra risorsa penale e propagandistica del regime), aprendo la strada all’ascesa di Xi. Il rispuntare di correnti neomaoiste a partire dal 2019 è invece usato per la lotta di Xi contro la corruzione e per spuntare le unghie ai grandi magnati privati nel commercio, web e finanza ristabilendo il primato dello Stato e del Partito.

Alla voce “Mercato” Pieranni ricorda che il Partito usi il malcontento popolare per le diseguaglianze per stringere i controlli statali sopra i grandi miliardari – ennesima puntata del millenario conflitto fra Impero e mercanti – o per rilanciare il controllo pubblico sul commercio marittimo e su larga scala (così viene letta la “via della seta”).

Viene poi delineata la tipologia dell’imprenditore amato dal Partito e in particolare da Xi: uno che garantisca non solo fedeltà al Partito ma anche coesione al Paese, coltivando la filantropia e l’indipendenza economica cinese. Arricchirsi è glorioso, ma solo entro certi limiti.

Lo stesso vale per la piaga della corruzione, tollerata nella forma tradizionale del guanxi, la mazzetta o la coltivazione di utili amicizie per bypassare la rete burocratica, presa a pretesto per periodiche campagne di delegittimazione politica (il citato caso Boi Xilai) o di intimidazione verso eccessi speculativi. Secondo Yuen Yuen Ang, che ha studiato le carriere di 331 segretari cittadini del Pcc, «la corruzione è più una caratteristica del sistema che un bug: il Pcc controlla risorse preziose – dalla terra e dai finanziamenti ai contratti di appalto – e i singoli leader del Partito possono esercitare un immenso potere personale. Pertanto, i leader del Pcc si trovano costantemente inondati di richieste di favori, molte delle quali sono accompagnate da mazzette». E questo la dice lunga anche sul mito cinese della meritocrazia…

Altre pagine importanti sono dedicate allo scempio urbano delle grandi città, con cui (a eccezione forse di Shanghai) è stata in fretta cancellata gran parte della storia – intendo del tessuto abitativo, isolando o rifacendo solo i monumenti salienti –, alla progettazione delle smart city, sotto le cui benevolente tecnologia sai nasconde un feroce sistema di controllo degli abitanti, che passa dalle telecamere a riconoscimento facciale agli algoritmi per estrarre i dati individuali. Il miglioramento della qualità di vita e dei salari nelle campagne favorito dalla diffusione capillare di internet e da uno sviluppato sistema di treni veloci ha consentito un certo ritorno alla terra – conseguenza dalla crescita dell’automazione di fabbrica, quindi dal minor ricorso alla manodopera migrante, e dall’esigenza di prestare le cure necessarie agli anziani che non avevano seguito i figli nel trasferimento in città.

È interessante inoltre notare che il concetto di privacy, inizialmente considerato dai cinesi equivalente a celare segreti vergognosi, ha ottenuto una forte rivalutazione per effetto della dilagante sorveglianza urbana delle telecamere e della completa tracciabilità dell’organizzazione del lavoro e degli scambi monetari, con molte proteste in primo luogo contro le tecniche di riconoscimento facciale e i sistemi olistici delle smart city, in assenza di qualsiasi garanzia su raccolta e uso dei dati personali.

In generale, «possiamo dire che l’economia in via di sviluppo porta ricchezza e la globalizzazione porta le conoscenze più recenti: in questo modo le persone iniziano a essere consapevoli dei propri diritti e incoraggiate al rispetto dei diritti e degli interessi degli altri. In parallelo cresce la consapevolezza che è necessario rispettare lo spazio altrui. Infine, l’economia di mercato richiede un ambiente libero e stabile per svilupparsi» (p. 113).

Tuttavia il governo non è certo propenso a rinunciare a procurarsi big data in ogni modo, solo che preferisce evitare che tale estrazione vada a incrementare la potenza di gruppi privati quali Alibaba. Intervenendo periodicamente contro le piattaforme il Pcc centralizza il potere sui data e dà sfogo alle proteste popolari. Comunque nell’aprile 2021 è stata anche emanata usa sentenza contro l’uso arbitrario del riconoscimento facciale, che è un significativo precedente.

Ultimo tassello del quadro è la nascita di una coscienza ecologica, che già negli anni Dieci si esprimeva con il popolare allarme per l’inquinamento atmosferico – l’Airpocalypse – e con conseguente proteste e campagne che hanno via via condizionate le politiche ambientali governative a livello locale e entrale. A un certo punto è apparso chiaro che le proteste ecologiche su situazioni concrete erano consentite, a differenza da contestazioni di portata complessiva, e anzi contribuivano a definire l’esistenza di una società civile e di una middle class, oltre a migliorare l’immagine della Cina all’estero. Le vicende censorie del documentario Under the Dome illustrano bene la politica a corrente alternata che si innesta appena il discorso si generalizza o tocca il nodo della decarbonizzazione, cruciale per l’intero sviluppo economica del Paese, mentre un altro più circoscritto documentario, Beijing Besieged by Waste, non solo è stato bene accolto ma ha contribuito all’eliminazione di molte discariche intorno alla capitale.

In uno sguardo d’assieme sull’economia. Pieranni osserva che la “nuova era” di Xi richiede un paese meno dipendente dalle esportazioni e più dinamico sui servizi e il mercato interno. Quindi più qualità, più robotica, automazione, Intelligenza artificiale, aumento della produzione di semiconduttori e minore dipendenza dall’importazione di tecnologia dall’estero.

Alla “fabbrica del mondo” subentra una Cina leader nell’alta tecnologia. Già oggi la proporzione di robot rispetto ai lavoratori è aumentata più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo: da 25 unità per 10.000 dipendenti nel 2013 a 140 unità per 10.000 dipendenti nel 2018, fino ad arrivare a 187 unità nel 2019 (p. 161) – ciò che implica dequalificazione del lavoro e maggiore difficoltà per i lavoratori di rivendicare diritti.

Sul piano politico Xi eredita un concetto di prevalenza dell’ordine sul caos che si collega alla denuncia denghista della Rivoluzione Culturale come caos (luan) e all’esigenza di «ricostruire l’ordine» (p. 184). Al di là delle suggestioni storiche taoiste e confuciane (che pure sono state richiamate anche da studiosi occidentali) il ruolo dello Stato come titolare dell’ordine e della protezione sociale è un tratto sociale post-neoliberista e post-pandemico piuttosto diffuso e che in Cina suona particolarmente autoritario, anche per la forte personalizzazione di Xi- Primo Imperatore sul piano dell’accentramento e adesso anche dell’ideologia – maoismo incluso e non proprio negli aspetti più rivoluzionari e creativi.

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