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MONDO

Contraddizioni e diseguaglianze. Note su un viaggio in Cina

Auto elettriche ed estrazione di carbone, pagamenti digitali e controllo statale, turismo di massa e nuova memoria, intelligenza artificiale e riconoscimento facciale, urbanizzazione e crisi edilizia, sviluppo economico e diseguaglianze. Il continente cinese è un luogo di contraddizioni ma è urgente visitarlo per capire il processo in corso

L’orientalismo e gli appunti di viaggio. Basta un mese per raccontare la Cina?

«In Cina!? Cosa vai a fare in Cina?» Devo ammettere che è stato divertente guardare le facce stupite dei miei amici e conoscenti quando annunciavo il mio viaggio nel triangolo tra Pechino, Xi’an e Shanghai. Il grande paese dell’Oriente è al centro delle nostre discussioni, ogni giorno se ne parla sui giornali, nei dibattiti televisivi, sui social. Ma pochi ne conoscono la storia, la letteratura, l’arte e ancora meno persone la visitano. A differenza di altre mete della stessa area geografica come il Giappone, il Vietnam, la Thailandia, non è tra le destinazioni del turismo occidentale. Le principali attrazioni turistiche sono affollate e i biglietti spesso introvabili, da tutto il Continente Cinese accorrono per ammirare le sinuose strutture in legno della Città Proibita. Nella folla dei visitatori è raro sentire persone parlare inglese, francese o spagnolo, talmente insolito che sono i cinesi ad avvicinarsi incuriositi per conoscere gli stranieri. Il paradosso cinese è tutto qui, ne parliamo ogni giorno ma ne sappiamo poco. Un paese sconosciuto che si presta facilmente a essere additato come il grande nemico agli occhi dell’opinione pubblica.

Girando un mese per le città cinesi l’attenzione ricade su molti aspetti, ma cosa si apprende? Il punto di vista del turista e del viaggiatore è sempre influenzato dalle sue lenti interpretative politiche e culturali.

Come insegna Said l’alterità irriducibile dell’Oriente è stata costruita anche tramite i resoconti degli avventori, le descrizioni dei primi viaggi privilegiavano la rappresentazione di paesaggi esotici e lontani. Le popolazioni che abitavano questi luoghi, a seconda dell’indole dello scrittore, potevano essere viste con indulgenza o con disprezzo. Nel primo caso si narrava di selvaggi dal carattere buono, nell’altro si descrivevano come diavoli incorreggibili. I viaggiatori erano parte di un complesso culturale che doveva mostrare la superiorità del progresso occidentale, uno schema che si serviva di alcuni modelli discorsivi allo scopo di inferiorizzare le altre popolazioni e sottometterle all’Occidente. Si possono dunque riportare gli appunti di viaggio sulla Cina senza fare affidamento, anche inconsciamente, su stereotipi e cliché occidentali? Per rispondere a questa domanda è necessario ridiscutere il rapporto attuale della Cina con il resto del mondo.

La critica di Said si orientava a partire dalla costruzione di discorso dall’alterità dell’Islam rispetto al cristianesimo e da come le potenze colonizzatrici di Francia e Inghilterra hanno agito nel Medio Oriente. Negli ultimi venti anni la crescente interdipendenza economica e l’ascesa di alcune economie hanno cambiato parzialmente questo rapporto. Le relazioni della Cina con i paesi del blocco occidentale, e in particolare gli Usa, sono ricche di contraddizioni e non possono essere interpretate in maniera univoca.

Da un punto di vista politico, la Cina si sta affermando come il polo alternativo all’egemonia Usa, il paese/continente che vuole porre fine al “secolo americano”. Se si volge lo sguardo agli aspetti economici e sociali questa considerazione è molto più complessa. A partire dall’apertura dei mercati il governo di Pechino si è mosso con disinvoltura nell’applicare parte degli strumenti di sviluppo neoliberali sotto la direzione centralizzata del partito.

Il processo ha segnato un punto decisivo con l’adesione al Wto nel 2001 dopo un negoziato durato 15 lunghi anni. La vorticosa espansione economica degli ultimi 30 anni è stata vista dai principali paesi occidentali come un’occasione per ampliare i mercati, far crescere l’export e ridurre il costo del lavoro. Riprendendo la tesi di Arrighi, il successo economico cinese sta realizzando l’intuizione di Adam Smith di una “società del mercato globale” basata sull’equità tra le diverse aree del pianeta senza l’egemonia o il dominio di una potenza che detta e impone le regole. In questo quadro non si può più interpretare la Cina come un “altro” diverso da “noi”. Anzi per molti aspetti – come nota Friedman, noto editorialista del «New York Times» – la società cinese potrebbe rappresentare il nostro futuro. Per questo è urgente osservarla e comprenderla per capire il processo in corso.

L’osservazione della Cina è stata influenzata anche dalle letture che mi hanno accompagnato nel corso del viaggio, segnalo in particolare: il libro La nuova Cina di Simone Pieranni (e i preziosi podcast de L’altro Oriente); i testi di Arrighi Adam Smith a Pechino e Caos e governo del mondo, scritto insieme a Beverly Silver. Inoltre il romanzo Cina Pieghevole di Hao Jingfang, che fa parte di un genere letterario molto in voga nel continente cinese, l’ultra-irrealismo (chaohuan), ossia una sorta di sci-fi applicato alla realtà.

Si può vivere senza WeChat? Lo sdoppiamento tecnologico cinese

Mi sono sentito davvero in Cina solo dopo tre giorni il mio arrivo, fino a qual momento la sensazione di disorientamento era massima. Il terzo giorno infatti sono riuscito finalmente a collegare, con il decisivo supporto di alcuni ragazzi cinesi, la mia carta europea all’app di pagamenti digitali Alipay. Prima di allora le possibilità di agire autonomamente erano molto limitate, non potevo svolgere le attività quotidiane in maniera indipendente: era molto complicato effettuare pagamenti negli alberghi, nei ristoranti, nei supermercati o semplicemente comprare un biglietto della metropolitana. Alipay infatti è l’unica app a consentire di collegare una carta non affiliata a una banca cinese al sistema di pagamenti digitale. Si tratta di un’azienda che fa parte del colosso Alibaba che ha il suo principale business nell’e-commerce tramite il sito web di acquisti online Taobao. L’imprenditore a capo del gruppo è Jack Ma, negli scorsi mesi il suo nome è diventato noto anche per i giornali italiani, dopo molti mesi di oscuramento pubblico, infatti, era riapparso in un convegno.

La Cina è quasi un paese cashless, la possibilità di pagare in contanti rimane ma è estremamente marginale. Quando si estraggono le banconote dal portafogli si affronta il disagio del commerciante e di solito si deve accettare l’eventualità di non ricevere il resto.

Le app di pagamenti digitali consentono di pagare generando un Qr code senza la necessità di un conto in banca permette sia di pagare sia di ricevere denaro. L’azienda più grande del settore è WeChat Pay che, insieme ad AliPay, controllano quasi il 90% del mercato. WeChat è nata come un’applicazione di messaggistica istantanea molto simile a WhatsApp, con il tempo è divenuta molto altro e fornisce una molteplicità di funzioni, alcune importanti come la diffusione delle informazioni e la condivisione di notizie, altre secondarie come prenotare i biglietti dei musei, leggere i menù dei ristoranti. Per chi proviene da fuori la Cina è difficile riuscire a usufruire di tutte quelle funzioni che necessitano un pagamento, WeChatPay infatti accetta solo carte di credito o di debito che fanno riferimento al circuito cinese, ciò che rende complesse molte delle attività quotidiane. La svolta digitale, però, non ha lasciato fuori l’economia informale, è normale, infatti, trovare un QR code tra la frutta esposta su un marciapiede oppure su un cappello per le richieste dei pochi mendicanti.

L’enorme diffusione dei pagamenti digitali è solo un esempio del rapido sviluppo tecnologico della società cinese, l’ascesa avviene così velocemente da mettere in discussione il dominio Usa nel settore. La concorrenza cinese preoccupa da anni i governi degli Stati Uniti.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la conseguente posizione geopolitica della Cina hanno fornito una ragione in più per portare avanti il cosiddetto “sdoppiamento” commerciale. Il perno di questi interventi è intralciare lo sviluppo tecnologico cinese, per raggiungere questo obiettivo si prevede di vietare la vendita di microchip alle aziende cinesi, di ostacolare il trasferimento di competenze e infine impedire alle aziende made in China di costruire infrastrutture digitali nei paesi occidentali.

Tuttavia, la Cina da anni insegue una sua indipendenza dal punto di vista dei social e delle piattaforme, i servizi di Google, Facebook, Instagram e Amazon non funzionano e anche le migliori Reti Private Virtuali (VPN) impattano con il grande firewall cinese che rende difficile connettersi con il mondo occidentale. Questa sorta di bando non è per tutte le aziende tecnologiche, i negozi della Apple sono molto diffusi e le app di proprietà di Microsoft come Bing sono permesse. I contrasti del governo di Pechino non sono solo esterni verso Washington, ma come ha mostrato il caso di Jack Ma sono anche interni verso le aziende cinesi. In particolare si manifestano problemi con le BigTech che maneggiano dati e possono orientare la diffusione di informazioni, queste infatti potrebbero mettere a rischio il consenso del Partito Comunista e il suo controllo sulla società. La supremazia nel campo tecnologico sembra essere dunque il campo di battaglia dei prossimi anni, il risultato non sembra scontato soprattutto per le conseguenze del bando ai microchip che metterà a dura prova la corsa della Cina.

La “verde” Pechino e la “nera” PingYao. Fronte e retro della transizione ecologica cinese

Pechino non sembra una città di quasi 20 milioni di persone, le strade a quattro corsie per senso di marcia sono trafficate ma senza ingorghi. Per chi vive a Roma sembra di stare in una cittadina di provincia, dove il traffico scorre tranquillo per le vie senza il caos tipico della capitale d’Italia. Le auto passano silenziose, il rumore dei motori a benzina sembra un ricordo del passato. Per le strade pechinesi circolano solo macchine elettriche o ibride, anche gli scooter sono quasi tutti con motori elettrici. L’immagine che ha attratto la mia curiosità è stata quella dei vecchi carretti a tre ruote: veicoli spesso arrugginiti e utilizzati per piccoli trasporti, con l’aggiunta di una batteria, erano stati trasformati anch’essi in elettrici. La Cina dal 2016 ha investito notevolmente nella svolta elettrica, sono stati stanziati enormi finanziamenti per incentivare l’acquisto di nuove macchine senza emissioni. L’impatto a occhio nudo è notevole, il parco macchine di Pechino è quasi tutto di recente fabbricazione e nell’aria non si respira più quello smog per cui la città nel passato era famosa. Le auto a zero emissioni sono solo un aspetto della trasformazione dei trasporti cinesi, in ogni angolo della città si possono prendere in noleggio le bike-sharing, con 1,5 yuan (circa 18 centesimi di euro) si può girare per le numerose piste ciclabili urbane, stando attenti a evitare le serpentine degli scooter che sfrecciano suonando il clacson. In alternativa ai mezzi di superficie c’è una rete di metropolitana molto estesa che copre una parte importante della città a costi molto contenuti, nella prima fascia il biglietto costa 3 yuan (40 cent) e nella successiva 5 (60 cent.).

La svolta “green” ha riguardato soprattutto gli enormi agglomerati urbani, secondo il già citato Friedman, nella sola Shanghai, nel 2021, sono stati costruiti 55 nuovi parchi e attualmente se ne contano nel complesso 406. Inoltre, la rete dei treni ad alta velocità è stata enormemente estesa, solo negli ultimi tre anni sono state collegate 900 tra città e metropoli rendendo facile ed economico il trasporto su rotaie. Eccola la Cina che punta al futuro e si prospetta come la guida verso la transizione ecologica.

Pingyao è un nugolo di case dall’architettura storica, la cui bellezza è riconosciuta anche dall’Unesco. La cinta muraria in gran parte originaria è la maggiore attrazione di questa antica capitale dell’impero cinese durante la dinastia Qing. La città si sta rapidamente ammodernando per rispondere alle esigenze delle migliaia di turisti che ne affollano le vie principali all’interno delle mura. Nei vicoli secondari al posto dei visitatori ci sono squadre di operai impegnati nei lavori di pavimentazione delle strade, nella ristrutturazione delle case, nella ricostruzione degli impianti di distribuzione dell’acqua, della luce e del gas. Probabilmente tra meno di cinque anni la città avrà le infrastrutture necessarie per diventare una delle mete più ambite del turismo cinese. Le alte e spesse mura separano l’attrazione turistica dal resto della città, ma l’impressione è che creino un’isola felice nel nero paesaggio circostante. Basta allontanarsi di qualche chilometro verso il monte Mian per osservare l’intenso traffico di camion, colonne di autocarri tutte dal colore rosso, con un telo nero a coprire il carico nel retro. Altri se ne vedono fermi nei numerosi meccanici ai bordi delle strade, oppure nelle lunghe file agli ingressi dei grandi stabilimenti industriali.

Una spessa coltre scura ricopre i bordi delle strade e si posa anche sulle macchine in transito. Il nostro autista che ripete più volte Méitàn, la voce metallica del traduttore restituisce in italiano la parola carbone. Nel mentre al di fuori del finestrino sfila una lunga serie di centrali per la produzione di energia elettrica, solo dopo capiamo di trovarci in una delle principali regioni di estrazione del carbone.

Pingyao si trova nello Shanxi dove viene riportato in superficie circa il 30% di tutto il carbone che contribuisce in maniera consistente alla produzione elettrica del paese. La Cina dell’inquinamento e la Cina della transizione ecologica sono simbolicamente separate da alte mura ma rappresentano lo stesso progetto di rapida corsa verso lo sviluppo.

Il turismo di massa e il ruolo della memoria

La bandiera rossa con la grande stella gialla e le quattro minori sull’angolo destro sventola su tutti i palazzi del Bund di Shanghai: l’antico quartiere delle Concessioni Britanniche non è più un corpo estraneo alla Cina. La confluenza tra il fiume Suzhou e lo Huangpu scelto a metà ‘800 dai Britannici come avamposto strategico per il controllo del commercio in Cina non è più la sede delle rappresentanze straniere, adesso ospita le sedi delle principali banche del paese e gli hotel di lusso. Sulla sponda opposta c’è il quartiere di Pudong dove si innalzano i grattacieli firmati dalle archistar: i colossi di ferro e di acciaio sono stati costruiti con l’intento di rappresentare la nuova Cina potenza del mercato globale. Migliaia di turisti cinesi affollano il lungofiume e scattano le foto sul panorama delle due rive dello Huangpu, una foto che rappresenta bene l’ascesa economica della Cina degli ultimi 35 anni e la fine del «secolo delle umiliazioni».

A giudicare dalle presenze nei principali luoghi di attrazione, il turismo pare ormai divenuto un’attività di massa. È difficile trovare un biglietto per visitare la Città proibita, le prenotazioni sulla piattaforma di WeChat hanno un tempo di attesa di una settimana. L’antica residenza dell’imperatore e della sua corte hanno una capienza massima di 60 mila biglietti giornalieri, un limite che nel periodo di luglio e agosto viene quasi sempre raggiunto.

Un’altra meta del turismo storico cinese è Xi’an, come dice un mio amico cinese è come se fosse la Roma di Cina. La città è stata la prima capitale del paese quando l’esercito guidato dall’imperatore Qin Shi Huang intorno al 200 a.C. ha sconfitto gli altri sette regni e ha unificato per la prima volta gran parte del territorio dell’odierna Cina. Fu il sovrano che volle essere seppellito con una riproduzione in terracotta del suo esercito, i resti di quella grandiosa opera sono visitabili sotto tre enormi capannoni. Anche in questo caso i 150 mila biglietti disponibili finiscono presto. Nel centro di Xi’an intorno alla torre della campana che fa da rotonda a quattro strade dalle molte corsie, si affollano centinaia di persone con un seguito di fotografi. Sono in particolare donne che visitano i luoghi storici della Cina e realizzano book fotografici con acconciature e abiti tradizionali.

La crescita del turismo interno cinese ci indica molte strade, una è sicuramente l’avanzare di un ceto medio che manifesta un certo grado di benessere e intende accedere a un nuovo tipo di beni. Questo avviene anche attraverso una riscoperta e rilettura del passato, in particolare della storia imperiale.

Il rapporto con il proprio passato e con il proprio patrimonio artistico è sempre stato tormentato, in particolare durante la Rivoluzione culturale i giovani maoisti distruggevano molti reperti storici e religiosi considerati superstiziosi. I templi e le dimore del passato imperiale erano utilizzati come magazzini o dormitori. In un articolo pubblicato dal “Guardian”, il giornalista Ian Johnson racconta un aneddoto della sua prima visita nel 1984 in Cina. Seguendo le indicazioni di una guida pubblicata in Europa nel 1968, cercava una famosa pagoda di Pechino. La trovò nel retro di una fabbrica: ciò che rimaneva erano piastrelle cadute, iscrizioni e decorazioni distrutte per terra. Al suo ritorno dopo molti anni, la fabbrica non c’era più e al suo posto vi era un parco con il tempio completamente rinnovato come se non fosse mai successo niente. L’importanza della rivalutazione del passato della Cina passa anche dalla linea politica di Xi Jinping e dal suo “chinese dream”, il progetto di futura egemonia basato sull’identità e su una rilettura in chiave nazionalista connessa ai valori e alle virtù tradizionali. La Cina ancora una volta si mostra al centro di un paradosso, tra la continua proiezione verso un futuro politico e tecnologico e una sorta di nuovo culto del passato.

Le città pieghevoli

Le città cinesi vivono un continuo cambiamento, la velocità della crescita economica degli ultimi decenni ha implicato una repentina trasformazione dello spazio e dell’architettura. Le stesse guide turistiche fanno fatica a seguire i mutamenti urbani, alcune volte il posto che indicano è stato sostituito da un altro. Girando per Shanghai ero alla ricerca di alcuni mercatini segnalati sulle mappe che avevo comprato prima di partire. Una volta arrivato nelle vie del quartiere antico di Nanshi la situazione era ben diversa, davanti a me c’erano edifici a due piani completamente murati con gli ingressi sbarrati. Altre zone della parte storica erano nella stessa situazione, interi isolati sgomberati con pareti al posto degli ingressi e cartelli ad avvisare. In alcuni si vedevano degli operai intenti a portare avanti dei lavori di ristrutturazione, in altre parti la demolizione era già avvenuta e iniziava la ricostruzione.

Le città si trasformano velocemente sotto la duplice spinta di un processo di crescente benessere e di rapido inurbamento. Nel 2018 i cinesi che vivevano in campagna erano solo il 40%, una percentuale che ci dice poco ma per la storia rurale della Cina si tratta di un cambiamento epocale. Le migrazioni di massa verso le città hanno rapidamente accresciuto il bisogno di alloggi, ne è conseguito che gli indici e i valori del mercato immobiliare si sono impennati.

Il settore delle costruzioni nel suo complesso è stato uno dei più importati per il boom dell’economia cinese: secondo alcuni analisti pesa per circa il 30% sull’intero Pil della Cina. Gli effetti sulla geografia urbana si notano a vista d’occhio, per chi proviene dall’Europa fa una certa impressione osservare il paesaggio che sembra molto simile tra le città. Dal finestrino di un treno il diradarsi degli edifici a torre di circa 30 piani segna la fine della città, come di nuovo il loro infittirsi è il segnale che si sta arrivando nella stazione successiva. Tuttavia il mercato immobiliare ha mostrato nell’ultimo anno le sue crepe per gli eccessivi debiti accumulati dai due colossi privati Evergrande e Country Garden, la crisi è dovuta in particolare all’enorme invenduto soprattutto nelle città medie e piccole. A causa del peculiare collegamento tra il mercato immobiliare e le casse degli enti locali, la crisi potrebbe rappresentare una minaccia sulla futura crescita dell’economia cinese.

Secondo alcuni report, attualmente in Cina ci sono più di 100 città che superano il milione di abitanti. I centri urbani si caratterizzano per uno spostamento intenso di persone al loro interno, la cui gestione avviene sempre più in modalità smart.

La Cina sta testando in molte città forme di intelligenza artificiale capaci di prevedere eventuali situazioni di traffico ed evitarle. Tuttavia queste forme di gestione dei flussi hanno il loro lato negativo, l’intelligenza artificiale si nutre di dati che provengono per lo più dalle telecamere poste lungo la strada. Molte di queste non servono solo a gestire il traffico ma rilevano anche dati biometrici e dunque possono essere utilizzati per tracciare i movimenti degli individui e creare un database a uso discrezionale della polizia. L’utilizzo delle telecamere per il riconoscimento facciale è molto diffuso sia nello spazio pubblico che in quello privato. Le stazioni dei treni hanno un sistema di ingresso simile a quello degli aeroporti in Italia, all’entrata si controlla il contenuto dei bagagli e si passa sotto un metal detector. Tuttavia la vera novità è che il biglietto del treno consiste nella propria faccia e nella carta di identità: dopo aver passato i primi controlli e aver atteso il treno in una sala, si passa attraverso un ulteriore check-in per scendere ai binari. Qui il sistema elettronico consiste nello scanner del documento di identità e in una telecamera che riconosce il tuo viso. Il sistema è presente anche negli hotel, nell’albergo dove alloggiavo il check-in per i cittadini cinesi avveniva tramite il riconoscimento facciale. I controlli sono diffusi anche nel tessuto urbano, ad esempio per prendere la metro è necessario passare attraverso un metal detector e il controllo ai raggi X dei bagagli.

Nel suo libro di racconti più noto, Pechino Pieghevole, Hao Jingfang si immagina la Pechino del futuro divisa in tre mondi infilati uno dentro l’altro. Dopo un certo numero di ore il meccanismo iniziava a ruotare e una città si sostituiva all’altra come una sorta di pop-up. Gli abitanti delle tre Pechino appartenevano a ceti sociali estremamente differenti, nel primo i lavoratori della discarica, nel secondo il ceto medio e nel terzo i ricchi dirigenti di partito e delle aziende. La scrittrice racconta una Cina sconosciuta a molti, quella delle diseguaglianze enormemente aumentate dopo l’apertura del paese al mercato. Girando per le città principali si possono solo intuire le differenze, si vedono i Suv con i marchi occidentali che mostrano sul cruscotto le due bandiere rosse incrociate, una con la falce e il martello, l’altra con le cinque stelle cinesi, il partito e lo stato. Per strada è difficile trovare un homeless, più spesso si incontrano delle persone che sono intente a raccogliere le bottiglie di plastica e i cartoni per strada, successivamente in cambio di pochi yuan, li consegnano ai centri di raccolta sparsi per le città. E chissà dove sono gli operai di Xu Lizhi, quelli che lavorano nelle fabbriche esternalizzate dall’occidente, quelli che ingoiano una luna fatta d’acciaio mentre la gola rigurgita la loro stessa vita.

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