EUROPA
Guerra civile nel cuore d’Europa

A Parigi nella notte 128 morti in diversi attentati, il presidente Hollande dichiara lo stato d’emergenza. In Europa esplode una guerra civile; impossibile risolverla senza affrontare la continuità dei rapporti coloniali e senza contrastare agli effetti sociali del neo-liberalismo
Stanotte Parigi non ha dormito. I fatti di cronaca sono noti a tutti. Una serie di commando hanno assaltato diversi luoghi pubblici: due esplosioni nei pressi dello Stade de France, in banlieue, durante una partita amichevole fra le nazionali di Francia e Germania alla presenza del Presidente Hollande, precipitosamente evacuato.
Ancora: alla pizzeria Casa Nostra di rue de la Fontaine-au-Roi a Belleville (sul canale Saint-Martin le mitragliate sono arrivate sulla gente seduta nei bar), al ritrovo La belle Equipe in rue de Charonne, dentro un implausibile ristorante cambogiano del X arrondissement. L’attacco con presa e macello di ostaggi al Bataclan, mitico spazio musicale sul boulevard Voltaire, è stato il più grave di tutti. Quasi cento persone uccise con un’esecuzione a freddo mentre ascoltavano un concerto rock. Un’offensiva senza precedenti nel cuore dell’Europa per coordinamento, radicamento, efferatezza ed orrore.
Il presidente Hollande ieri notte, nei suoi tre minuti di discorso. ha dichiarato l’état d’urgence, che prevede perquisizioni senza mandato, blocco del traffico e dei locali pubblici e scuole, e varie misure straordinarie compreso il controllo sulla stampa e il divieto di riunione, nonché l’intervento dell’esercito, stato di emergenza approvato nel 1955 per la guerra d’Algeria e aggiornato nel 2005 per le sommosse delle banlieues, e la chiusura di tutte le frontiere sospendendo Schengen. Oggi le dichiarazioni presidenziali parlano di atto di guerra commesso da un’armata terrorista. Una guerra a cui la “sua” Francia risponderà con l’intensificazione della guerra. Indubbio che di guerra si tratti. Però in un senso diverso da quello voluto da un Hollande o da un Sarkozy, che gli fa eco nelle dichiarazioni, o Le Pen che le estremizza.
La guerra è ben visibile, anche se lontana, in Siria da cinque anni. Continua sui confini tra Turchia e cantoni curdi del Rojava. È quotidiana, cruenta, spietata, senza esclusioni di colpi. Due giorni fa in Libano, un attentato dell’Isis ha provocato una strage nel quartiere sciita di Bourj al-Barajne, nella periferia sud di Beirut, zona commervciale di un quartiere roccaforte degli Hezbollah, in cui sono morte 40 persone. Si tratta di una guerra civile prolungata che si sovrappone a una guerra dello stato con i cittadini (vedi il caso di Erdoğan), una guerra civile giunta fin nel cuore dell’Europa.
È accaduto a Parigi ciò che accade quotidianamente in Siria, ai confini della Turchia, in Afghanistan. Si colpiscono luoghi di attraversamento comune. Gli attentatori non hanno scelto un luogo “simbolico”, non hanno neppure mirato agli “ebrei”, ma hanno sparato nel mucchio: una sala concerti, lo Stade de France, il canale St. Martin, che se fossimo a Roma potrebbero essere i quartieri di Pigneto o San Lorenzo.
In questo senso è una guerra e non “solo” un attacco terroristico. Il primo kamikaze identificato è forse di origine francese, perché questo tipo di guerra “civile”, appunto, si sta dando in uno dei paesi in cui la tradizione colonialista continua a vivere nei rapporti sociali e politici concreti, in termini di disparità di trattamento, di ipocrisia, di fallimento feroce della cosiddetta “integrazione”. Una guerra che è difficile chiudere con la sola repressione poliziesca interna (oltre tutto, inasprendo la crisi della democrazia che è una delle sue cause) come mettendo gli stivali sui territori del Califfato, ma che si potrebbe, con fatica e in tempi lunghi, risolvere solo con una revisione complessiva di tutti i rapporti post-coloniali e riducendo gli effetti sociali nefasti del neo-liberalismo. Che, fra l’altro, il Daesh ha preso disinvoltamente in franchising, adottando metodi biopolitici di sfruttamento e strumenti mediatici, oltre ad acquistare le armi profittevolmente vendute anche dalle nostre aziende. La battaglia di Parigi riguarda direttamente anche noi, quanto quella di Aleppo o dello Yemen.