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Il governo reprime la Minga indigena: morti e feriti in Colombia

Migliaia di indigeni protestano contro il governo, si riuniscono nel Cauca e chiedono un incontro al presidente: ma il governo reprime le proteste, e una granata lanciata contro la Guardia Indigena causa 9 morti e diversi feriti. Il racconto delle ragioni della grandissima mobilitazione indigena che sta crescendo a livello nazionale.

La Minga è una pratica ancestrale dei popoli delle Ande, che si convoca nelle occasioni che richiedono uno sforzo comunitario per risolvere problemi di tutti/e. È una iniziativa per la difesa del territorio e della dignità dei popoli, che riguarda tutti e di cui nessuno può appropriarsi. Nelle lingue indigene, Minga significa “camminare le parole”, cioè arrivare ad accordi attraverso il dialogo. Significa usare la parola per riconoscere l’altro e le sue verità, senza dare molto importanza a un qualsiasi documento scritto.

La Guardia Indigena, di cui si parla nell’articolo, ha un riconoscimento costituzionale che si fonda sull’autodeterminazione dei popoli indigeni. Il suo compito è quello di difendere i diritti dei popoli, senza armi. Anche se i popoli indigeni si sono mobilitati più e più volte per difendere il loro territorio in modo determinato ma non armato, si conta che la repressione statale e para-statale ha lasciato sul terreno circa 1260 indios assassinati, vari desaparecidos e una vita sotto costante minaccia per i leader delle comunità.

Giovedì 22 marzo, nella zona di Dagua, nel Dipartimento della costa sud ovest del paese, Valle del Cauca, durante una riunione in cui Guardia Indígena stava organizzando la Minga locale, una granata esplosiva ha colpito il luogo dove si svolgeva l’incontro. L’attentato ha causato 9 morti e 4 feriti. Tra le vittime c’era anche un giovane studente dell’Universidad del Valle, Jonatan Landines.

 

 

La Minga per la difesa della Vita, del Territorio, della Democrazia, della Giustizia e della Pace ha avuto un inizio dirompente nel Nord del Cauca. Dopo 12 giorni, almeno sei Dipartimenti del paese [equivalenti delle Regioni italiane – ndt] stanno partecipando a questa mobilitazione. Davanti alla negazione di ogni tipo di dialogo da parte del governo, le proteste cominciano ad estendersi a livello nazionale. Dopo aver affermato che “le manifestazioni sulla via Panamericana non contribuiscono alla creazione d’un clima di fiducia”, il governo ha aumentato il livello di repressione verso le comunità che si stanno mobilitando, in particolare nel Nord del Cauca.

“In questo momento la forza pubblica sta reprimendo i partecipanti alla Minga, utilizzando artefatti non convenzionali, cartucce di candelotti lacrimogeni  ripiene di detriti e pallini di piombo. La situazione attuale è triste e deplorevole, questo trattamento militare che viene imposto alla Minga”, ha affermato un ‘minguero’ sulla via Panamericana, all’altezza di Caldono, dove sono stati confermati due feriti. Alcuni chilometri più a nord, la comunità Nasa che presidia il punto di blocco de La Agustina, ha denunciato che almeno tre persone hanno riportato ferite da arma da fuoco in un assalto della polizia. Si calcola che dall’inizio della minga le azioni del ESMAD, il reparto celere della polizia colombiana, hanno ferito approssimativamente 50 persone.

 

Nonostante la repressione, più di 12mila indigeni, contadini, afrocolombiani e abitanti dei settori popolari, principalmente rurali, continuano ad aspettare che il Presidente arrivi personalmente nel luogo dove gli è stato dato appuntamento fin dallo scorso 12 marzo.

 

L’appuntamento è nella località El Pital, nel Resguardo Indigéna [quadro legale caratterizzato da una giurisdizione semi-autonoma su un territorio popolato da comunità indigene – ndt] de Las Mercedes, a Caldono, Cauca. Le comunità esigono la cura, la protezione e la difesa della “nostra Madre Tierra”, vogliono garanzie per la vita e per il rispetto dei diritti umani, lo smantellamento del paramilitarismo e del ESMAD. È centrale fermare la guerra come imperativo etico e politico e come unica possibilità per il futuro della Colombia, così come la messa in opera degli accordi firmati tra lo Stato e le FARC [Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane – ndt]. Ristabilire i dialoghi con l’ELN [Esercito di Liberazione Nazionale – ndt] e riconoscere i collettivi contadini come soggetto di diritto, queste sono alcune delle principali rivendicazioni delle comunità.

 

 

Aspettando Duque

 

Secondo l’ex-consigliera del Consejo Regional Indigéna del Cauca – CRIC [organizzazione comunitaria che difende i diritti dei popoli indigeni nel Dipartimento di Cauca – ndt] –, Emilse Paz, è allarmante la situazione della “regressione delle leggi dei diritti dei gruppi etnici”. Aggiunge: “È necessario difendere la vita dei popoli, dell’acqua, della natura”.

Óscar Salazar, leader contadino de La Vega, Cauca e portavoce della Marcha Patriottica [movimento politico colombiano fondato nel 2012 e composto da associazioni di contadini e dal Partito Comunista Colombiano – ndt] assicura che: “il tema centrale è contestare le politiche dello Stato e la loro incostituzionalità”. Secondo il contadino, membro della Piattaforma di Unità Popolare del Sud Ovest Colombiano – PUPSOC -, il governo attuale si comporta come una: “testa di ponte delle politiche ‘gringas‘ [nordamericane – ndt] per l’aggressione al Venezuela”, e sta eliminando tutti i “vincoli che impediscono di imporre politiche estrattive, ignorando la carta costituzionale: per esempio, togliendo fondi silenziosamente alle consulte popolari”.

 

Ripercorrendo la memoria della regione, vediamo come ogni due o tre anni la regione del Cauca diventa lo scenario di grandi mobilitazioni sociali, che utilizzano la pratica di lotta dei blocchi stradali.

 

L’ultima, nel 2016 è durata 13 giorni ed è riuscita ad ottenere degli accordi con il governo che ancora non sono stati realizzati. In questa occasione, la forza risiede nella capacità di creare unità, abitualmente impossibile o molto difficile, tra organizzazioni indigene e contadine, di consolidare una fratellanza che ha dato a questa mobilitazione molta più visibilità e legittimità in alcuni settori dell’opinione pubblica. Si prevede che la Organización Nacional Indigéna de Colombia -ONIC [struttura di autogoverno dei popoli indigeni di Colombia – ndt] fisserà a breve una nuova “ora zero” per una Minga Nazionale.

 

 

Dalla ministra alla Panamericana

La strategia del CRIC [Consiglio Regionale Indigeno della Cauca – ndt], organizzazione nata nel 1971, è stata di convocare, fin dal principio e attraverso una lettera firmata da diverse organizzazioni popolari della regione sudoccidentale del paese, il Presidente Duque alla Minga. Nell’esigere la presenza del mandatario, l’obiettivo è in primo luogo lasciare invariate le linee politiche di base della minga in termini di difesa del territorio e della vita. Dall’altro lato, esigere al livello rivendicativo il rispetto degli ormai più di 1.200 accordi inattesi dai governi precedenti, e l’inclusione nel Piano Nazionale per lo Sviluppo -PND-, d’un capitolo etnico con un bilancio proprio. Un PND che le opposizioni hanno chiesto di archiviare perché si basa su un “discorso falso”, su un modello estrattivista (che include metodi come il fracking). In più, disconosce completamente la ‘road map’ tracciata dagli accordi di pace, ma anche una qualsiasi visione di genere e le politiche specifiche per le popolazioni etniche.

All’appuntamento di martedì 12 marzo, si è presentata una delegazione del governo capeggiata della Ministra dell’Interno, Nancy Patricia Gutiérrez. Le comunità riunite a Caldono [comune del Dipartimento di Cauca – ndt] hanno rifiutato il dialogo con questa delegazione e hanno preteso la presenza di Duque. Pochi minuti dopo che la ministra ha affermato che: “Secondo la sua agenda, è impossibile che venga”, sono stati posizionati i primi tronchi e le prime pietre in mezzo all’autostrada Panamericana.

 

Alcune persone pensano che il blocco potrebbe durare anche un mese, tenendo conto dell’assenza di volontà politica di dialogo da parte del governo.

 

Nei sui primi riferimenti fatti alla Minga, Duque ha assicurato che «non ci sarà dialogo finché le mobilitazioni continueranno». Da Caldono, la risposta è stata chiara per bocca del Consigliere Maggiore del CRIC, Neis Lame: “Riceveremo il presidente con le strade bloccate”. Nelle sue dichiarazioni, Duque ha scaricato sul governo precedente di Juan Manuel Santos la responsabilità di “aver stretto accordi impossibili da realizzare”.

 

 

10 giorni di resistenza

Durante il primo giorno di blocco stradale, si sono registrati scontri tra le comunità indigene e l’ESMAD, con un bilancio di 20 persone ferite a causa di lanci di candelotti lacrimogeni e proiettili. Uno di questi ha ferito un membro del Consejo Regional Indígena de Caldas (CRIDEC) [Consiglio Regionale Indigeno di Caldas – dipartimento nel centro della Colombia – ndt], che si trova ricoverato a Popayán con una diagnosi molto grave. Giovedì e venerdì le comunità hanno giocato a calcio e partecipato a incontri culturali sull’autostrada occupata. Il sabato, nel municipio di Cajibío [comune del Dipartimento di Cauca – ndt], la repressione statale ha colpito l’accampamento dove si trovavano le comunità contadine di El Cairo [comune del Dipartimento di Valle del Cauca – ndt].

Con un video diventato rapidamente virale, il contadino portavoce della Marcia Patriottica, Jhonatan Centeno, ha denunciato che: “nonostante ci trovassimo almeno a più di 2 chilometri dalla strada, riuniti in assemblea, organizzando i nostri esercizi pedagogici, l’ESMAD è venuto a distruggere il nostro accampamento e le vettovaglie”.

 

La forza bruta della polizia ha lasciato a Cajibío altri 19 feriti. Nelle zone dell’accampamento di Caldono, dove si trovano approssimativamente 6.000 indigeni tra adulti, bambini e anziane, è stata dichiarata una situazione di emergenza e si vive in massima allerta da domenica 17 marzo perché si teme un nuovo sgombero.

 

 

Intanto, a Popayán e nei dipartimenti di Nariño e Putumayo, al sud del Cauca, già si parla d’un aumento dei prezzi dei prodotti essenziali. Si limita la vendita di benzina solo a veicoli ufficiali e si prevede una penuria importante nei prossimi giorni, condizioni che aiutano a stigmatizzare la mobilitazione sociale nella popolazione urbana. Associazioni di imprese, allevatori di bestiame e commercianti hanno inviato una lettera al presidente sollecitandolo ad aprire un tavolo di dialogo evitando che finiscano «con la firma di nuovi accordi che continuino a trascinarci, storicamente, verso inadempienze e denunce allo Stato colombiano”.

Anche vari parlamentari dell’opposizione hanno scritto una lettera a Duque sollecitandolo a «prendere in considerazione in maniera prioritaria la richiesta di dialogo avanzata dai popoli”. Nella società civile è circolata la convocazione per il 20 marzo in piazza Bólivar a Bogotá con lo slogan, “Duque incontri i ‘mingueros’ del Cauca”.

È difficile vedere all’orizzonte una soluzione facile della situazione, di fronte a tante contraddizioni. Le richieste della Minga contrastano in modo eccessivo con le politiche e le intenzioni di un governo che durante la sua campagna presidenziale ha affermato che avrebbe “fatto a pezzi” gli accordi di pace [con le FARC – ndt]. Che relega la questione etnica negli emendamenti del Piano Nazionale per lo Sviluppo e che, dall’inizio del 2019 è stato un testimone passivo degli almeno 30 leader sociali e difensori dei diritti umani assassinati.

L’ultima grande polemica è nata con le obiezioni mosse dal Presidente alla Jurisdicción Especial para la Paz [Giurisdizione Speciale per la Pace, sistema di giustizia transitiva messo in campo con gli accordi di pace – ndt]. “Smontare le fondamenta che riuscivano a far avanzare gli accordi di pace, da parte di una casta politico-economica che usa qualsiasi mezzo per raggiungere i loro obbiettivi, questo sì che è un crimine di lesa umanità, una perfidia statale”, ha dichiarato il leader contadino de La Vega, Oscar Salazar.

Pubblicato il 21 marzo su Colombia Informa.

Traduzione in italiano a cura di DINAMOpress.