EUROPA

“Garaldea, tierra de todos”

A Madrid una delle esperienze più interessanti nate dal movimento 15M: ecco cosa è Garaldea, ovvero l’autogestione di un sogno in comune

Alle porte di Madrid sorge una delle esperienze autogestite più innovative che l’onda lunga del movimento #15M abbia prodotto. Sono sufficienti tre quarti d’ora di macchina per arrivare nella sede dell’associazione Garaldea, nell’ex comunità terapeutica “El Batàn”, poco lontano dal pueblo di Chinchòn. La struttura si compone di una grande casa con piscina, in passato destinata agli operatori sociali, due grandi strutture dormitorio e oltre trenta ettari di terreno coltivabile destinato. È qui, nel bel mezzo della campagna che circonda la capitale spagnola che incontriamo il gruppo di attivisti che ha deciso di occuparla quando la Comunità di Madrid ne ha decretato la chiusura.

El Batàn prima di chiudere era una comunità terapeutica per soggetti con problemi di dipendenza dalle droghe, sovvenzionata dalla comunità di Madrid con il contributo di alcuni fondi europei ma gestita da un’impresa privata, Proyecto Hombre. In Spagna, così come in altri paesi europei, i primi capitoli di spesa a venire tagliati a causa della crisi sono proprio i servizi sociali, che stanno conoscendo una riduzione dei finanziamenti impensabile fino a pochi anni fa. Alla fine, dopo mesi di incertezza, nel febbraio del duemiladodici El Batàn chiude, ma non semplicemente per problemi finanziari.

“Questa struttura viene chiusa anche perché le autorità di Madrid cominciano a sostenere che il profilo sociale del consumatore è cambiato, che essa appartiene a strati sociali più elevati del passato, con un livello economico medio-alto, il cui problema maggiore è la dipendenza dalla cocaina, e che spazi come questo non sono più utili perché non rispondono più alle esigenze dei consumatori – ci racconta Paula, una degli occupanti. Il cambiamento nello stile del consumo di sostanze e l’emergere di nuovi profili sociali nel campo delle dipendenze, invece di spingere ad un’innovazione nei modelli di supporto ed assistenza ai consumatori produce però un balzo nel passato se è vero che “in sostituzione viene aperto nel centro di Madrid una clinica psichiatrica in cui il percorso di recupero dalle dipendenze viene gestito tramite l’uso massiccio di farmaci. Persone che sono state in quella struttura ci hanno raccontato che nelle prime due settimane di trattamento l’unica cosa che erano in grado di fare era stare seduti in un angolo e pisciarsi nel pannolone. E stiamo parlando di soggetti perfettamente in grado di condurre una vita autonoma. La medicalizzazione e l’utilizzo massiccio di farmaci in tutti i servizi sociali in Spagna sta diventando un problema fortissimo”.

L’idea di mantenere aperta la comunità, ma cambiandone radicalmente il profilo è venuta, a Paula e agli altri, dopo una prima riunione in uno degli spazi sociali di Madrid in cui si sono ritrovati operatori che lavoravano nelle narcosale di Madrid, altri che lavoravano dentro El Batàn o in altre strutture simili, assieme ad utenti e consumatori che volevano proseguire il loro percorso terapeutico in maniera differente. All’assemblea sono seguite le prime iniziative pubbliche, fino alla decisione di occupare gli spazi il giorno stesso della cessazione delle attività.

“All’inizio dovevamo fermarci solo tre giorni, ma alla prima iniziativa si sono presentate più di cento persone. Quindi abbiamo deciso di rimanere una settimana in più, poi un’altra, un’altra ancora, e alla fine è più di un anno che siamo qui”. D’altronde alla Comunità di Madrid la situazione sembra interessare assai poco, dal momento che all’interno degli edifici sono stati abbandonati i computer, le attrezzature da palestra e quelle da lavoro, in pratica ogni cosa acquistata con i finanziamenti pubblici è rimasta qui, in un area enorme che senza l’occupazione sarebbe stata completamente lasciata a se stessa.

Anche le ripetute richieste di interlocuzione con le autorità locali per ottenere l’assegnazione dello spazio sono cadute nel vuoto. Davìd ci racconta di come abbiano “cercato più volte di contattare le istituzioni locali ma non siamo andati oltre l’interessamento iniziale di qualche sindaco dei paesi vicini. Ciò che vogliamo è semplicemente poter rimanere qui e costruire il nostro progetto, non ci interessano né finanziamenti pubblici, né tantomeno privati”.

Il progetto va ben oltre la tradizionale concezione delle comunità terapeutiche nostrane, l’idea è che qui “ogni persona è, appunto, una persona e non un numero, e come tale ha il diritto di decidere assieme agli altri come vuole vivere e quale deve essere il suo percorso di vita. Qui non ci sono gerarchie interne o differenziazioni tra chi prima faceva l’operatore sociale e chi era un utente, tra chi gestisce il server informatico e chi lavora la terra. Proviamo, tutti assieme, a condividere le nostre esperienze ed i nostri saperi per costruire un modello di vita diverso, orizzontale, in cui tutti possano apprendere cose nuove e dare il loro contributo.”

L’idea di costruire uno spazio aperto a chiunque necessiti di un aiuto o voglia tentare un progetto di vita differente è ben racchiusa nel nome stesso dell’associazione che hanno costituito: Garaldea. Ispirato da una poesia di Mario Benedetti e Rogelio Botanz, sta proprio a significare che questa esperienza è un sogno, e al tempo stesso un patrimonio comune. Un’esperienza che nasce grazie allo spirito del movimento #15M, senza il quale, a detta degli stessi occupanti, non sarebbe stato possibile. Non tanto perché le acampadas siano direttamente state coinvolte nel progetto, quanto per il clima generale che esso ha creato nella società spagnola.

Anche se non è facile, il primo obiettivo da raggiungere è quello di far ripartire la produzione agricola. Per questo gli occupanti si sono rivolti anche ad altri collettivi e organizzazioni della zona, tra cui un gruppo di militanti della CNT, il sindacato anarchico spagnolo, con i quali hanno cominciato a coltivare una parte dei trenta ettari di terreno che fanno parte del complesso, per poi rivenderne i prodotti a scopo di autofinanziamento. In più lo spazio è disponibile per laboratori, seminari, convegni e altre attività. Il tutto ovviamente deciso nell’assemblea plenaria che periodicamente si occupa di definire compiti e priorità del gruppo e di risolvere anche eventuali conflitti interni. D’altronde i problemi relazionali che possono sorgere in uno spazio in cui venti persone vivono in comune non sono pochi, ma anche questi vengono affrontati da un punto di vista politico

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“È chiaro che possono sorgere problemi, ma cerchiamo di risolverli attraverso laboratori di discussione e di risoluzione non violenta dei conflitti, anche se spesso – ci dice Felix ridendo – è piuttosto difficile”.