EUROPA

Francia: i Quartiers Populaires prendono la testa del corteo. Intervista a Youcef Brakni

Intervista a Youcef Brakni, portavoce del Comitato verità e giustizia Adama, il giovane ucciso nel luglio 2016 dalla polizia nella banlieue Nord di Parigi. Il comitato, diventato una della realtà più importanti della lotta contro il razzismo in Francia, ha lanciato un importante appello a tutte le realtà in lotta dei quartieri popolari con l’obiettivo di prendere la testa dell’enorme manifestazione di domani 26 maggio a Parigi. Una manifestazione indetta dalla France Insoumise e rilanciata da molte sigle sindacali e settori in lotta contro il governo Marcon e il suo vasto piano di riforme sociali. In questa intervista Youcef Brakni fornisce alcuni elementi essenziali per comprendere le istanze dei movimenti dei quartieri popolari e il loro rapporto con i partiti della sinistra istituzionale e il mondo del sindacato

Non aspettiamo i “grandi partiti di sinistra”, dite: perché?

Abbiamo 30 anni di lotta dell’immigrazione alle nostre spalle: i nostri anziani hanno aperto la strada. Abbiamo visto il ruolo catastrofico della sinistra durante la Marcia per l’uguaglianza e contro il razzismo nel 1983. Abbiamo visto gli incalcolabili tentativi di “convergenza” proposti della sinistra con il Movimento dell’Immigrazione e delle Banlieue (MIB): sono tutti falliti. Quando parlo del movimento sociale e della sinistra, parlo dei suoi capi, non dei militanti di base. Abbiamo visto nel 2003 Tarek Kawtari, uno dei fondatori del MIB, fare un intervento molto bello nel Larzac (durante uno dei meeting internazionali del movimento no-global, quando i contadini di José Bové tessevano alleanze anche con le banlieues in lotta, ndr): già allora, chiedeva alla sinistra di “unirsi” ovunque laddove i quartieri popolari si trovavano a confrontarsi con la violenza dello Stato. Parliamo di morti. I quartieri popolari piangono dei morti – dei giovani, neri e arabi in maggioranza, che muoiono tra le mani della polizia. E nel 90% dei casi, le Procure fanno fronte comune con le forze dell’ordine oppure i sindacati di polizia vengono in rinforzo. È sempre lo stesso metodo oliato. Spesso arrivano dei non-luogo a procedere. Vogliamo chiedere alla sinistra e a tutto il movimento sociale:  «Tutto questo vi interessa? Vi chiama in causa? Non vi disturba che dei giovani dei quartieri popolari subiscano delle violenze più grandi che subisce il movimento sociale?».

Nel 2005 ci sono state tre settimane di rivolte sociali contro l’esclusione: tutti hanno rivolto la loro attenzione ad altro o parlavano di “selvaggi”. Ma perché c’è stata questa rivolta? Due bambini sono morti fulminati. Avevano talmente tanta paura della polizia che hanno preferito rifugiarsi in un trasformatore elettrico! Ecco cosa succedeva. Dal 2005, non è cambiato niente. All’epoca non avrei mai creduto che tutto sarebbe continuato così.

 

Per essere chiari con i lettori: con “sinistra” voi intendete tutta la sinistra, dal Partito Socialista fino a Lutte Ouvrière?

Parlo di tutte le formazioni che si proclamano “di sinistra” ma considerano i quartieri popolari nient’altro che una riserva elettorale. Di queste persone per cui il solo rapporto con i quartieri popolari è la percentuale di voto che possono prendere. Queste sinistre non sono mai uscite dal prisma coloniale: hanno un approccio paternalista, infantilizzante. Quando portano un Nero o un Arabo, è sempre utilizzato come una decorazione. Tutti sanno, oggi, che non si può vincere un’elezione senza i quartieri, persino Macron ha un discorso su questo tema! Ma ci lasciano solo delle briciole, delle sovvenzioni, dei piani urbanistici. Pochissimi tra i movimenti di sinistra si fanno carico delle nostre lotte. Che esistono! Entrando per effrazione nel movimento sociale, il 26 maggio, mostriamo che siamo presenti e che non aspettiamo convocazioni. Non aspettiamo che ci sia dato spazio perché il movimento sociale è il nostro spazio.

 

 

Avete parlato di una doppia invisibilizzazione dei quartieri, durante l’occupazione di Tolbiac, organizzata sia dallo Stato che dalla sinistra.

Esattamente, c’è dualità. In questo, il cortège de tête è uno spazio interessante: instaura un rapporto di forza politico tra il corteo tradizionale dei sindacati e dei partiti, dietro di noi, e lo Stato, davanti a noi. La CGT esiste dal 1895; noi accanto a questo non siamo niente, non abbiamo mezzi, abbiamo ogni genere di difficoltà. È sfiancante. La vicenda di Adama Traoré ha portato 25 giovani in prigione. Il sistema scommette sul nostro esaurimento: spera, reprimendoci, che sulla durata la nostra mobilitazione no reggerà. La Storia però dimostra il contrario. Più ci reprimono, più raddoppieremo gli sforzi. Abbiamo fatto il giro delle università occupate: è andata bene, eravamo con Assa (sorella di Adama Traoré, ndr) è stato bello, era romantico, la applaudivano, abbiamo ricevuto regali… Ma quando si tratta di spostarsi sui nostri territori di lotta – a Beuamont-sur-Oise (la città di origine dei Traoré nella banlieue nord di Parigi dove Adama è morto, ndr) o altrove – non c’è più nessuno! Siamo venuti a sostenere gli studenti, il giorno dello sgombero di Tolbiac; siamo venuti come rinforzi. Ma quando organizziamo un evento in memoria di Adama a Beaumont, il 28 aprile 2018, un pomeriggio con della boxe e dei giochi per bambini, non soltanto non vediamo nessuno del movimento, ma in più viene inviato l’esercito. Due mezzi dell’operazione Sentinella (operazione nazionale anti-terrorismo, ndr) Con la scusa della “sicurezza”. Ma l’operazione Sentinella serve per prevenire i rischi d’attentato. Siamo seri. Il quartiere dell’evento, Boyenval, è accanto a dei campi di grano. Separato da tutto. Volevano soltanto intimidirci. I militari ci hanno inoltre confessato di essere venuti su richiesta dei gendarmi. Allora abbiamo denunciato immediatamente questo spostamento militare. Risultato: operazioni punitive il giorno seguente, controllo di tutti i giovani che sostano di fronte all’immobile della famiglia Traoré.

 

Olivier Besancenot (esponente del NPA, ndr) era presente, ma in effetti era molto solo… Come lo spiegate?

Bisogna porre la questione della centralità. Per il movimento sociale classico, di sinistra, le “vere lotte”, sono quelle dei ferrovieri, degli studenti, del personale ospedaliero… Tutto il resto è secondario. Secondo questa sinistra, bisogna sostenere, certo, ma da lontano; si crede che la lotta “reale” non si giochi qua. Beaumont, Aulnay, Grigny (città della periferia di Parigi, ndr) sono dei territori secondari. Il movimento sociale è autocentrato. Noi chiediamo di decentrarlo. Ero alla Nuit Debout, ho sentito tutti gli appelli alla “convergenza”: non funziona così. Certo, con la Loi Travail i militanti scoprono che i manganelli fanno male, ma per noi è la quotidianità – a volte ci sparano anche. È circolato molto il video dello stupro di Théo ma le umiliazioni sessuali sono permanenti: tutti i ragazzi di quartiere le hanno vissute. Lasciare delle persone completamente nude durante gli arresti senza che ciò serva assolutamente a niente…Quello che diciamo è che nessun movimento sociale può vincere senza i quartieri. È impossibile.

 

Ecco perché il Comitato Adama preferisce parlare di “alleanze” e non di “convergenza”.

Esattamente. “Convergenza”, è una parola che ha marcato la storia delle movimento in Francia: è un appuntamento mancato. È diventata vuota. Quando la sento, sento una truffa. Parliamo di alleanze, sì. Noi siamo degli alleati. Dobbiamo confrontarci con uno stesso nemico. I colpi, li prenderemo insieme. Andiamo assieme al fronte. Ci batteremo insieme. Noi diciamo questo, per il 26 maggio e per quello che verrà dopo. Quello che propone Macron è inaccettabile.

 

Il nemico è “il sistema”. Il movimento sociale lo definisce come “capitalista”…

Noi aggiungiamo che il razzismo strutturale ingloba la questione economica. L’antirazzismo strutturale è anticapitalista. Il capitalismo è stato costruito sui corpi degli schiavi neri: non c’è colonialismo senza capitalismo, come non c’è capitalismo senza colonialismo. Lottare contro il razzismo e lottare contro il capitalismo, sono due fatti indissociabili. E questa è una lotta che va ben oltre Macron, perché è sistemica. I presidenti cambiano ma niente cambia per noi. Chi vede la differenza tra Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron? Le classi medie. Le classi medie bianche. Per i quartieri, c’è la stessa continuità di violenza sociale.

 

Voi scrivete inoltre nell’appello che i quartieri prendono di petto «la distruzione dei servizi pubblici».

Andate a fare una passeggiata nel 93 (dipartimento della Seine-Saint Denis, a nord di Parigi, ndr). Guardate lo stato dei servizi pubblici! In una scuola media di Bagnolet, si mettono i secchi quando piove. È assurdo. Sarebbe pensabile in una scuola di un bel quartiere del centro parigino? Quando ero piccolo, poteva succedere di stare senza un professore anche per molte settimane. Anche un mese. I professori vengono a formarsi in banlieue, “fanno esperienza”, poi ripartono nel Jura o in Borgogna (regioni distanti da Parigi, ndr). Viviamo in territori isolati senza nemmeno i servizi pubblici. Prima di difenderli, bisognerebbe che i servizi fossero dappertutto! Per andare da Bagnolet a Clichy (due comuni del 93esimo dipartimento, ndr) si impiega un’ora e mezza: da anni ci parlano di Grand Paris (grande progetto di ristrutturazione urbana della capitale francese, ndr), della metro, del tram… Tutto viene sempre posticipato. E perché se ne fregano? Perché tutto ciò riguarda delle popolazioni discendenti dall’immigrazione post-coloniale. Il rapporto con lo Stato, per la maggior parte di noi, si limita alla BAC (squadra anticriminalità della polizia, ndr)  in borghese ed alla sua violenza inaudita.

 

Durante Nuit Debout, uno dei vostri membri, Almamy Kanouté, aveva parlato di una «fusione» che potesse «inglobare il mondo rurale». Si parla molto della «congiunzione» Parigi-periferia, ma la Francia rurale è molto spesso dimenticata nel discorso della sinistra radicale.

La France Insoumise forse comincia a parlarne? La nostra richiesta di giustizia ed uguaglianza è valida per tutte le parti del paese, per tutti gli oppressi. Edouard Louis (giovane scrittore francese autore del caso letterario Il caso Eddy Bellegueule, ndr) parla di questa Francia. Bisogna solo rifiutare il discorso della concorrenza delle oppressioni, quello portato ad esempio da Marine Le Pen quando dice che le campagne sono più povere ma non bruciano le macchine. Non bisogna contrapporre le miserie. Ciò che differenzia questi spazi è la gestione della povertà che li tocca, la questione razziale. La Francia rurale ha numerosi problemi specifici ma non vive la caccia quotidiana della polizia.

 

Quando Assa Traoré aveva detto, nel 2016, che ci vuole una «rivoluzione perché tutto questo cambi» e che «bisognerà farla insieme», si tratta di un orizzonte condiviso da tutto il Comitato Adama?

Certo. Siamo rivoluzionari. Non ci accontentiamo di qualche piccola riforma marginale. Ci vuole una rottura. Ad esempio, non vogliamo soltanto che i gendarmi siano condannati: ciò che è successo non deve più ripetersi. Ma per cambiare il sistema ci vuole una mobilitazione larga con tutti quelli che vogliono lottare. I nostri piccoli discorsi non possono cambiare niente: se siamo 10000, alleati, in testa alle manifestazioni, è un’altra cosa… Quando una sindacalista di nome Maryam Pougetoux è attaccata dalla sinistra e dall’estrema sinistra (perché porta il Niqab), quando si urla all’unisono con i lupi, cioè Gérard Collomb (ministro dell’interno)  o Manuel Valls (ex primo ministro, entrambi del Partito Socialista), bisognerebbe porsi delle domande. Dirsi che c’è un problema. Niente vieta a una donna di vestirsi come vuole e di avere delle funzioni sindacali. Da dove esce questa storia? Perché qualcuno si è unito al branco?

 

 

Nel settembre 2017, François Ruffin (parlamentare della France Insoumise, uno tra i principali organizzatori della marcia del 26 maggio, ndr) vi aveva risposto che voleva aspettare i «risultati dell’inchiestaı» prima di investirsi pubblicamente nell’ «affare Adama Traoré». Una dichiarazione che aveva provocato alcune tensioni. C’è stato un chiarimento, da allora?

No. Abbiamo la nostra linea, non corriamo dietro a nessuno. François Ruffin ha portato la t-shirt dell’Olympique Eautcourtois all’Assemblea Nazionale, ha sostenuto la ZAD: bene. Non ha voluto portare la t-shirt “Giustizia per Adama”: è una dichiarazione politica. Perché non ha esitato quando si trattava degli operai di Goodyear e di quelli che sequestrano i loro padroni?

 

Il sociologo Said Bouamama diceva recentemente che «non si abbatte il sistema senza organizzazione». Il cortège de tête è per definizione “autonomo”; come vedete la strutturazione di un largo spazio di resistenza?

Vorremmo creare una grande forza duratura capace di portare le questioni delle violenze poliziesche, della scuola, del diritto all’abitare e del lavoro. Ma non credo nel lancio di una nuova organizzazione. Né di un partito. Onestamente, partecipare al 26 maggio, è un’esperienza anche per noi. Non sono spazi ai quali partecipiamo di solito. Non sappiamo cosa ne uscirà. È nell’esperienza stessa della lotta e lungo le esperienze che potranno forse crearsi naturalmente delle organizzazioni.

 

Articolo apparso sul sito Ballast

Traduzione a cura di DINAMOpress