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Fees must fall: decolonizzazione in Sudafrica

Più di un mese e mezzo fa iniziava lo “shut down” nell’Università di Capetown (UCT), seguito da quello di molti altri atenei nel resto del paese. Negli ultimi due anni è andato crescendo il malcontento all’interno degli ambienti universitari , risultato di anni di politiche cieche da parte del governo sudafricano che sembrano non essere state in grado di annullare il divario sociale ed economico tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, ma anzi di averlo favorito.

Sono passati 22 anni dalla fine dell’apartheid ma la “nazione arcobaleno” sembra trovarsi ad affrontare ancora le stesse problematiche di integrazione. La transizione da colonialismo a democrazia è un processo lungo e complesso in cui ancora si sente l’eco di una forte tensione razziale ed una grande disparità economica tra bianchi e neri.

La prima volta in cui la popolazione si mobilitò contro il predominio dell’istruzione colonizzata fu nel giugno 1976, a Soweto; in quei giorni, durante gli scontri con la polizia morirono tra le 200 e le 700 persone.

Da più di un anno gli studenti sudafricani si mobilitano chiedendo un’istruzione più equa, gratuita e decolonizzata. Il 9 marzo del 2015 può essere considerato la nascita del “Rhodes Must Fall Movement”: gli studenti dell’UCT si sono riuniti intorno alla statua di Cecil Rhodes (primo ministro della Colonia del Capo, emblema del passato coloniale del paese) chiedendo la sua rimozione perché simbolo di un razzismo istituzionale.

Nell’ottobre dello stesso anno presso l’Università di Johannesburg (Witwatersrand – WITS) nacque il “Fees must fall Movement” in seguito alla proposta del governo di innalzare le tasse universitarie del 10.5%; va sottolineato che l’aumento delle tasse universitarie è un problema cruciale soprattutto per gli studenti neri e coloured, che ancora oggi fanno parte della fascia più povera della popolazione. Molti di loro provengono dalle townships che si trovano ai margini delle città e per alcuni è molto difficile anche solo potersi permettere un posto letto nei pressi del campus. Alcuni aspetti che a noi sembrano scontati, come ad esempio una connessione internet o anche solo la possibilità di utilizzare un proprio pc, sono invece problemi di difficile risoluzione, e quindi problematiche molto sentite, per gli studenti più poveri.

Tra le azioni simboliche realizzate dal movimento di Capetown la più eclatante è stata la costruzione di uno shack (baracca) all’interno del campus. Con questa provocazione gli studenti volevano mostrare a tutti gli inconsapevoli qual è la realtà dalla quale proviene la maggioranza degli studenti neri.

La profonda disparità sociale ha fatto sì che la componente nera e coloured all’interno del movimento sia quella predominante; l’eterogeneità di quest’ultimo rispecchia perfettamente il paese e le dinamiche che lo animano. All’interno del movimento sono venuti a confluire studenti appartenenti a culture diverse e parlanti lingue differenti, uniti sia dalla volontà di decolonizzare, e rendere accessibile, l’istruzione che da un inglese imposto come lingua veicolare.

I comrades non sono supportati da tutti e hanno ricevuto molte critiche dall’esterno. Sono stati definiti misogini e per certi aspetti anti-bianchi. Anche molti studenti neri hanno dichiarato di non essere completamente in linea con le azioni del movimento a causa di alcune derive violente durante i mesi dello shut down. Gli studenti LGBTQ hanno espresso perplessità riguardo la loro rappresentanza all’interno del movimento generando un interessante e costruttivo dibattito in costante rinnovamento.

Nonostante le critiche e le difficoltà nel restare uniti, il movimento sembra continuare a lottare, coinvolgendo studenti e lavoratori, e continua a ricevere attenzione costante da parte di tutti i media del paese.

Al momento ci si trova davanti ad una situazione di stallo nella quale le lezioni sono sospese; gli studenti non vogliono smettere di lottare ma, allo stesso tempo, c’è il rischio che non completino l’anno accademico. La risposta delle università è stata quella di militarizzare i campus ampliando il numero di forze dell’ordine presenti, arrivando a rivolgersi perfino ad agenzie di sicurezza privata; è infatti in atto un grande dibattito pubblico riguardo l’utilizzo di tali agenzie in seguito a comportamenti estremamente violenti da parte degli agenti.

Per diffondere e far capire le ragioni della loro lotta, alcuni studenti hanno messo in scena uno spettacolo teatrale intitolato “The Fall – All Rhodes lead to Decolonisation”. L’intento della rappresentazione è quello di dare voce al dibattito, non solo nazionale ma anche mondiale, su ingiustizie e iniquità; nello spettacolo vengono affrontate le problematiche che il movimento si è trovato ad affrontare: discriminazioni di razza, classe e genere, il patriarcato e il sessismo. Tematiche che connettono la lotta sudafricana con le altre nel resto del mondo.

Lo scorso 26 ottobre ho preso parte ad una grande manifestazione organizzata dalle Università di Capetown il cui obiettivo era quello di marciare fino al parlamento e portare le ragioni della protesta al presidente Zuma che in quei giorni si trovava in città. La manifestazione è stata pacifica e molto partecipata fino a quando la tensione con le forze dell’ordine è culminata in uno scontro violento, con l’utilizzo, da parte della polizia, di proiettili di gomma, lacrimogeni e granate stordenti.

In antitesi alla violenza istituzionale e securitaria i cortei sono animati dalle canzoni e dalle danze tradizionali di protesta che hanno caratterizzato anche le lotte del passato di questo paese, come ad esempio la danza “toyi-toyi”, in molti casi riadattate alle peculiarità di questa nuova lotta.

Il governo sudafricano dovrà affrontare la presenza sempre più significativa del movimento che, a mio avviso, ha innescato una scintilla che sarà difficile spegnere. “Amandla!” – “Awethu”

Un grazie speciale ad Asile, Doreh Taghavi e Clod.