SPORT

Febbre a 90 – 18a puntata

La rubrica di calcio e dintorni di DinamoPress.

Il turno pasquale di campionato, spostato come da tradizione (solo) italiana al sabato, vede la Juventus ancora saldamente al comando della classifica, dopo la vittoria esterna ai danni dell’Inter che nel girone d’andata era stata la prima squadra in assoluto a violare il nuovo stadio juventino in gare ufficiali.

La squadra di Conte si prende la rivincita, andando ad incassare la posta piena grazie ai gol di Quagliarella (momentaneamente pareggiato da Palacio) e Matri, e mantiene i 9 punti di vantaggio sul Napoli anch’esso corsaro, dopo il pirotecnico 3-5 al Torino e la doppietta di Cavani che lo isola al comando della classifica cannonieri.

Conferma sul podio del campionato anche per il Milan, con la vittoria di misura sul Chievo rivelatasi pesantissima, a seguito delle sconfitte rimediate dalle più immediate inseguitrici, Fiorentina, Roma e Inter.

Mantiene il passo solo la rediviva Lazio che dopo una gara sofferta e combattuta, riesce ad aver ragione dell’ostico Catania di Maran, vera e propria sorpresa del campionato, un 2-1 in rimonta che rilancia le ambizioni della squadra di Petkovic, dopo tre mesi terrificanti, in cui alle pochissime vittorie (e quasi tutte in Europa), si erano spesso avvicendate sonore batoste che avevano vanificato l’ottimo inizio stagione e il secondo posto solitario al giro di boa.

All’Olimpico di Roma, durante il primo tempo, era andata in scena la solita gazzarra neofascista a base di cori antisemiti da parte del gruppo ultras della Curva Nord. Stavolta però, a differenza di altre partite, in cui la disapprovazione da parte del resto dello stadio, pur riscontrabile, non riusciva a lasciare significativa testimonianza di sé, si è assistito ad un vero e proprio moto di rivolta. I fischi sono stati diffusi e potenti, e questo ha spiazzato i responsabili dei cori antisemiti che per tutta risposta li hanno reiterati due, tre, quattro volte, sempre regolarmente rispediti al mittente con progressiva veemenza dal resto dello stadio.

Mai a nostra memoria si era verificata una spaccatura tra tifosi così macroscopica ed evidente: è un momento veramente molto delicato, che si innesta e si sovrappone alle polemiche per le sanzioni Uefa che la Lazio finirà di subire dalla prossima settimana, col secondo e ultimo turno di squalifica del campo in concomitanza con gli importantissimi quarti di finale dell’Europa League.

L’episodio di sabato all’Olimpico è stato seguito a stretto giro da provvedimenti restrittivi (Daspo) a carico di alcuni dei responsabili dei cori antisemiti, segno che si è arrivati al momento del redde rationem, ma calato dall’alto. Una cosa su cui la Curva Nord ha avuto tempo per ragionare, tempo per immaginare i prevedibili esiti e per eventualmente agire di conseguenza. Tempo sprecato, a quanto pare. La Curva dopo un periodo di tangibili progressi, ha voluto ricacciarsi nel proprio vicolo cieco fatto di assoluta autoreferenzialità e soprattutto subalternità alle istanze della destra “antisistema”, sposando definitivamente l’identificazione con il paradigma dell’ultras di estrema destra europeo del XXI secolo.

E perciò esponendosi inesorabilmente al pugno duro della giustizia sportiva.

Ma come detto, a pagare veramente saranno tutti gli altri tifosi, quelli che si recano allo stadio senza altri interessi che non siano la vittoria della propria squadra, strangolati in un meccanismo sfiancante che agisce a tenaglia: da una parte la stucchevole autoreferenzialità ultras che non riesce a pensare e a ripensarsi attraverso altra strategia che non sia quella che porta alla sua stessa fine, vista la stretta repressiva in atto; dall’altra un sistema iniquo basato sul concetto di responsabilità oggettiva che, con le sue sanzioni e squalifiche, tende a punire indiscriminatamente anche chi non c’entra niente.

Un sistema calcio che in Italia non ha saputo fare ancora i conti con i suoi problemi atavici, che non riesce più a riprendere contatto con il senso più genuinamente popolare dello spettacolo, visti gli stadi sempre più vuoti che contrastano clamorosamente con le immagini che ci arrivano dagli spalti di Inghilterra, Germania e Spagna. E che finora non ha neanche prodotto una consapevolezza Ultras capace di rinnovarsi mettendosi in discussione prima di tutto se stessa e poi tutto il resto: le parole d’ordine del movimento durante i tardi anni ’90 che avevano provato a impostare un percorso di critica “antiliberista” ora sembrano vuoti simulacri di uno splendido tentativo abortito sul nascere.

Rimangono così i soli fischi di un Olimpico semi vuoto e disperato nel suo ultimo grido di allarme: una consapevolezza forse solo embrionale, ma da non sottovalutare. I fischi di chi il sistema calcio vuole davvero cercare di rivoluzionarlo facendo l’unica cosa che in fin dei conti sembra plausibile, per uscire da una crisi non solo economica ma anche di valori e consapevolezze diffuse: andare allo stadio, applaudire i propri beniamini, tifare, urlare ai gol ma soprattutto fischiare l’avversario, anzi, tutti gli avversari.

Chiudiamo con la polemica esplosa in Inghilterra, e non solo, a proposito dell’arrivo di Paolo Di Canio sulla panchina del Sunderland, squadra di Premier League impegnata nella lotta per non retrocedere. Il 44enne ex giocatore di Lazio, Napoli e Juventus, noto per le esplicite e rivendicate convinzioni fasciste, ha firmato un contratto di due anni e mezzo, in sostituzione di Martin O’Neill, esonerato dopo la sconfitta per 1-0 contro il Manchester United. Il suo arrivo ha provocato le dimissioni del vicepresidente del club ed ex ministro degli esteri, di fede laburista, David Miliband. La scelta sembra non sia stata gradita anche da tanti tifosi del Sunderland, società che vanta antiche radici operaie e socialiste.

Il caso oggi ha varcato i confini britannici: in Germania la ‘Bild’, risponde alle parole dell’ex calciatore italiano (“Contano i fatti”) per ricordare tutti gli episodi che hanno visto protagonista Di Canio. Il quotidiano tedesco definisce l’allenatore italiano “fascio-trainer” e mette in risalto il saluto romano più volte ripetuto e una multa inflitta dalla Figc. “Tutto questo è stupido e ridicolo”, ha ribattuto Di Canio. “Io non sono razzista. Io non ho problemi con nessuno”. Vecchio espediente, quello di Di Canio, di dividere l’identità fascista – “un’ideale nazionale” – dalla sua concretezza storica fatta di razzismo, dittatura, campi di concentramento. Un giochino che in Inghilterra non si bevono così facilmente come in Italia.