ROMA

Expo 2030: la salvezza in 17 voti

Il rush finale del Sindaco Gualtieri e del presidente del comitato promotore Massolo a Parigi non è bastato a portare l’Esposizione Universale a Roma. Il “modello di convivenza urbana del futuro” che l’evento avrebbe dovuto sviluppare, saremo noi a costruirlo attraverso le pratiche che saremo in grado di attivare. Roma non ha bisogno di grandi eventi, ma di investimenti destinati alla costruzione di un nuovo welfare, capace di garantire a tutti e tutte una città più giusta e inclusiva

Sarà la capitale dell’Arabia Saudita a ospitare l’Esposizione Universale del 2030 e noi tiriamo un sospiro di sollievo al trionfo di Riyad.  Abbiamo temuto che un altro “grande evento” si abbattesse sulla città, già alle prese con la preparazione del Giubileo del 2025. Invece il progetto presentato da Roma, “Persone e Territori: Rigenerazione, Inclusione e Innovazione” non ha raccolto il consenso necessario a superare le altre candidate. Che disfatta per il pool di progettisti, coordinati dell’architetto Matteo Gatto, per le Università romane e per le istituzioni locali e nazionali che consideravano l’Expo «un’occasione unica e irripetibile per mettere al centro dell’attenzione l’uomo e la sua capacità di reinventare il proprio “habitat”, la città, bilanciando sviluppo e sostenibilità ambientale».

Roma non ha mai ospitato l’Esposizione Universale, doveva farlo nel 1942 e negli anni ’30 erano iniziati i lavori per la costruzione della sede nella zona delle Tre Fontane. Furono interrotti con l’inizio della guerra e il quartiere EUR fu completato negli anni successivi. Non abbiamo dunque esperienza diretta di cosa significhi ospitare questo evento, ma abbiamo visto come è andata a Milano nel 2015. Anche allora si decantava il grande guadagno che la città avrebbe ricavato da quell’avvenimento, ma il consuntivo ci racconta ben altro. A fronte di un investimento pubblico di più di due miliardi di euro, gestiti dalla società Expo 2015 spa, ci sono stati ricavi per 834 milioni, con un disavanzo di 1.500 milioni. Il danno maggiore però è stata l’insostenibilità sociale, economica e ambientale, del modello di sviluppo  che era dietro alla narrazione di Expo 2015.

«Il meccanismo di censura e propaganda costruito durante Expo 2015, e da allora mantenuto in vita e anzi potenziato, ha mostrato alla politica che anche in un regime formalmente democratico con un po’ di soldi era possibile trasformare un palese fallimento in un successo, semplicemente affermando il falso», scrive Lucia Tozzi e continua: «Se si era riusciti a far passare per sostenibile una fiera sul cibo sponsorizzata da Coca Cola e McDonald’s, promuovere la forestazione urbana a suon di grattacieli, risolvere il lavoro povero con l’innovazione delle start up, occuparsi del disagio abitativo realizzando case e uffici di lusso diventava un gioco da ragazzi». 

Da non dimenticare gli investimenti eccessivi, le spese non rispettate, i debiti accumulati per aver ospitato i Mondiali di calcio del ’90. Una spesa complessiva di opere pubbliche di 7230 miliardi delle vecchie lire, somma che per diversi anni ha avuto un impatto consistente nel bilancio dello Stato. 

Poi a Roma sono arrivati i Mondiali di nuoto del 2009. La Vela di Calatrava ne è il simbolo. Era stata progettata per realizzare un palasport da 8mila posti, un palanuoto da 4mila più una piscina olimpionica esterna con tribune fisse per 3mila posti oltre a una pista di atletica. La Vianini Lavori, del Gruppo Caltagirone era stata incaricata di eseguire i lavori nell’area di Tor Vergata per un costo complessivo di 240 milioni di euro, cifra che è lievitata nel tempo. Oggi la Vela è uno dei tanti ruderi urbani che popolano la città di Roma. Per non parlare dei due poli natatori, uno a Ostia e l’altro a Valco San Paolo, inaugurati in corso d’opera senza realmente essere ultimati e abbandonati subito dopo. Sono stati buttati 42 milioni di euro di finanziamenti pubblici. Le piscine si facevano intanto nei circoli privati, con abusi edilizi e giro di soldi connessi: Tevere Remo, Acqua Aniene, Flaminio Sporting Club e tanti altri. Il più noto è il Salaria Sport Village, reso famoso dagli scandali legati ai nomi di Diego Anemone e Guido Bertolaso. 

Non possiamo dimenticare che Roma ogni venticinque anni ospita il Giubileo e spesso si sono aggiunti Giubilei straordinari. L’ultimo è stato nel 2015, indetto da Papa Francesco per il 50° anniversario del Concilio Vaticano II. Il prossimo Anno Santo si avvicina, nel 2025 sarà aperta ancora una volta la porta santa della Basilica di San Pietro. Intanto gli abitanti di Roma sono alle prese con cantieri aperti ovunque, traffico impazzito e paura di cosa avverrà con l’arrivo dei 32 milioni di pellegrini e turisti attesi. Roma si è già modellata sul turismo di massa che l’ha interessata in forma sempre più massiccia «trasformando il centro in un parco giochi a tema storico- archeologico, tanto da svuotarlo di abitanti e funzioni. I voli low cost e la diffusione di piattaforme come Airbnb hanno accelerato un processo che era già in corso da tempo», come scrive Sarah Gainsforth.

A Roma si vive male, ce lo dicono le condizioni concrete della vita urbana. Pensiamo ai tempi e ai costi delle distanze, alla qualità e quantità dei servizi, alla mancanza strutturale di case per le fasce più povere della popolazione, all’assenza totale di manutenzione degli spazi pubblici. Roma è una città che accumula edifici abbandonati, ruderi urbani inutilizzati in attesa che vengano presi in considerazione per la loro valorizzazione finanziaria, attraverso operazioni immobiliari. Il panorama è costellato di questi fantasmi. Cantieri iniziati e non finiti, manufatti industriali dismessi, case vuote, spazi lasciati all’incuria.

E poi il problema della casa. Roma, ma non solo, è caratterizzata da un disagio abitativo particolarmente pesante e un sistema di politiche abitative particolarmente debole. Roma resta una città piena di case e di cittadini che una casa non possono averla. Una contraddizione che si porta  dietro da quando è diventata Capitale d’Italia.

Si parla di recupero, riuso, rigenerazione. Non si intende un grande progetto che capovolga le scelte insediative fin qui portate avanti, avendo come unico parametro il valore di mercato e gli interessi della finanza. Si pensa piuttosto a operazioni di gentrificazione che produrranno esclusione. Si ha in mente una continua turistificazione dei quartieri, che trasformerà lo spazio urbano cacciando gli abitanti, le funzioni produttive, artigianali, i servizi, il commercio di prossimità.

Non è affidandoci ai “grandi eventi” che risolveremo i mali della città, piuttosto dovremo reinventare le modalità di insediamento e costruire una città che fa del vivere comune il proprio grande evento. Intanto rallegriamoci per lo scampato pericolo!

Immagine di copertina da Flickr di Raselased