MONDO

Erdogan fa arrestare le madri dei desaparecidos turchi

Ancora una dura repressione in Turchia. Questa volta è toccato alla protesta silenziosa portata avanti ogni settimana dalle donne 30 anni fa persero mariti e figli. Scomparsi per sempre dopo l’arresto.

Ricordo quando le vidi la prima volta un sabato a mezzogiorno sulla centralissima via Istiklal a Istanbul: decine di donne inginocchiate davanti al Liceo Galatasaray, silenziose, che esponevano fotografie datate di volti maschili. Impossibile non notare la compostezza di un dolore pietrificato, nonostante la confusione perenne di uno dei luoghi più di passaggio della città. Erano lì quel sabato, come tutti i successivi. Stesso luogo, stessa ora.

Imparai subito che erano le Cumartesi anneleri, le madri del sabato, e che da molti anni in quella piazza, tutte le settimane, si riapriva una delle pagine più buie e sanguinose della Turchia, uno dei tanti traumi mai superati. Le madri del sabato protestano per i loro figli scomparsi più di 30 anni fa. Prima li chiedevano vivi, ora ne reclamano almeno i resti. Una protesta storica e stoica, molto sentita e rispettata nel paese, che nel giorno del suo settecentesimo appuntamento è stata repressa. Le donne sono state trascinate via dalla polizia in tenuta anti sommossa e alcune di loro tratte in arresto.

Nella prima metà degli anni ‘90, in Turchia si consumava la fase più violenta dello scontro fra Stato e gruppi indipendentisti curdi e della sinistra radicale. Era guerra aperta, armi e spargimenti di sangue, in ogni angolo del paese. In quegli anni, oltre alle torture e alle esecuzioni extragiudiziali, era parte della strategia di “lotta al terrorismo” anche far scomparire le persone: furono più di 500 gli uomini prelevati, spesso sotto gli occhi di mogli e figli, detenuti in luoghi segreti e poi desaparecidos. Le operazioni erano portate avanti da un’unità speciale della gendarmeria, la Gidem, la cui esistenza è stata negata per molto tempo.

Inutili le ricerche dei familiari, evase le richieste alle autorità: nessuno ritornò vivo, di pochissimi furono ritrovati i corpi. A dare inizio alle proteste fu la vicenda emblematica di Hasan Ocak, un militante comunista. Fu sequestrato a Istanbul il 21 marzo 1995, i suoi familiari e compagni condussero la campagna per il suo ritrovamento per mesi, mentre qualsiasi istituzione negava l’esistenza del suo nominativo nei loro archivi. Dopo 57 giorni il suo corpo venne ritrovato con segni di tortura e strangolamento in un cimitero per persone non identificate: non indossava la cintura e le stringhe delle scarpe, tipico delle persone poste sotto custodia. Lo Stato era colto in flagrante. Manifestazioni e sit-in di protesta furono organizzati in tutto il Paese, nelle strade e davanti ai tribunali. I sequestri diminuirono, mentre altri corpi, pochi, venivano ritrovati nelle stesse condizioni di Hasan.

La prima iniziativa del sabato, ispirata alle madri argentine di Plaza de Mayo, venne condotta dalla madre di Ocak e dalle madri e mogli di altri attivisti: era il 27 maggio 1995 e da quel momento non si è quasi mai interrotta. Le madri sono tornate a Piazza Galatasaray ogni sabato con le loro foto e i loro garofani, con il sole o con la pioggia, con il caldo o con il freddo. La protesta è diventata molto popolare, sostenuta da artisti e intellettuali. Sulle madri del sabato si sono scritte canzoni, libri, poesie. Non è la prima volta che le madri subiscono l’attacco dello Stato: nel ‘99 desistettero, tornarono quando emerse la relazione fra le sparizioni e la complessa vicenda Ergenekkon, inchiesta contro ex-militari sospettati di attività eversive armate, alcuni di loro facevano parte della Gidem.

Ma anche se divieti, fermi, intimidazioni fanno parte della storia di questa protesta, assistere ancora oggi, dopo più di 20 anni, alla sua repressione, sempre con gli stessi metodi, non solo rimanda a tempi oscuri, ma dà anche l’idea di uno Stato con la coscienza ancora molto sporca.