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Emergenza climatica: considerazioni sull’ultimo report IPCC

Ad aprile è stata pubblicata la terza parte dell’ultimo Rapporto IPCC: ancora una volta la soluzione più rapida, economica ed efficace si conferma l’uscita dai combustibili fossili e il passaggio a una produzione di energia decentralizzata da fonti rinnovabili. Una analisi da parte di due attivisti di Fridays for Future

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change) è il foro scientifico formato nel 1988 dalle Nazioni Unite che raccoglie la migliore scienza del clima sintetizzata ogni sei anni in un unico Report. Ad aprile è stata pubblicata la terza parte dell’ultimo Rapporto AR6 riguardo alla mitigazione e le soluzioni da adottare, curata da 234 autori provenienti da 65 diversi paesi.

Era noto che la situazione fosse drammatica, come anche la necessità di abbattere velocemente le emissioni. I termini ultimi per limitare l’aumento della temperatura a +1,5°C  indicano un taglio delle emissioni globali del 43% entro il 2030, di metano del 34%, e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ancora una volta la soluzione più rapida, economica ed efficace si conferma l’uscita dai combustibili fossili e il passaggio a una produzione di energia decentralizzata da fonti rinnovabili.

La sezione più interessante della terza parte di AR6 è il capitolo 5. Alcune posizioni che potevano essere viste come ideologiche sono ormai state inglobate dalla scienza per una loro validità misurabile nel rispondere all’emergenza climatica.

Il report spende parole entusiaste verso un’economia basata meno sulla proprietà e più sulla condivisione, specialmente per i paesi a basso reddito; largo spazio agli studi sulla ripianificazione della rete elettrica ed energetica in modo che sia più decentrata e, nuovamente, di gestione condivisa; varie le politiche che riguardano la zootecnia, da una meat Tax alle diete plant based, dato che sono incluse menzioni al potenziale climalterante più elevato del metano rispetto alla CO2 nel breve periodo.

Si chiarisce che la digitalizzazione, l’automazione e l’intelligenza artificiale sono più una minaccia che un’opportunità per la mitigazione del clima [Cap 5 p. 58]. Piuttosto la riduzione delle ore di lavoro è l’approccio da perseguire per migliorare il benessere e ridurre le emissioni [Cap 2 p. 66].

Ma la vera novità esplosiva del capitolo 5 si trova a pagina 57, nella presa di posizione sulle politiche di mitigazione che intervengono sulla domanda attraverso scelte personali, norme sociali, investimenti, istituzioni e cambi infrastrutturali, tracciando un bivio fra «l’economia globale ad alto contenuto di carbonio, di consumo e orientata alla crescita del PIL» e «l’economia a basso contenuto di carbonio, orientata al benessere e all’equità dei servizi energetici».

Affermazione preceduta e supportata dalle seguenti constatazioni:

  • Il 50% più povero della popolazione globale è responsabile solo di circa il 10% totale delle emissioni calcolate sul consumo, mentre il 50% delle emissioni mondiali può essere attribuito al 10% più ricco al mondo
    [Cap 5 p. 25]
  • È possibile ridurre la propria impronta individuale di più di 9 tonnellate di CO2 adottando «opzioni a basse emissioni, come: una vita senza macchina, diete a base vegetale senza o con pochissimi derivati animali, fonti di elettricità e riscaldamento a basse emissioni, vacanze di prossimità»
    [Cap 5 p 17]

Spetta soprattutto a chi è nel 10% più ricco adottare diversi modelli di consumo, specialmente nella mobilità [Cap 5 p. 106]:

Il Report ribadisce che a essere insostenibile è una parte del pianeta ben definita, e che all’inverso garantire alle fasce più povere gli standard di benessere basilari e l’accesso universale ai servizi energetici moderni non comporta problematiche rilevanti ed incide solo marginalmente sulle emissioni di carbonio. [Cap 2 p 54]

Appare chiaro da queste premesse che ciò di cui abbiamo bisogno è un netto cambio di paradigma socio-economico, cambio che l’IPCC indica solo in parte rimanendo ancora in un equilibrio fra varie posizioni.

Permane in particolare una certa ambiguità attorno al tema del disaccoppiamento, ossia la possibilità di scindere crescita del PIL e aumento delle emissioni. Non c’è sbilanciamento verso una posizione netta, tuttavia un recentissimo studio uscito su Lancet (https://t.co/cmcUYU2CT8) dimostra come non sia possibile disaccoppiare la crescita economica dall’uso delle risorse.

Siamo sicuri che arriverà anche il momento in cui si dovrà puntare tutto su scenari di post crescita, ma è proprio il tempo che ci manca.


Se da una parte il Report ha ribadito scenari preoccupanti, dall’altra ha lanciato stimoli molto incoraggianti per una rinnovata fase dell’attivismo climatico, che sarà sempre più impellente ed intersezionale.

Le emissioni continuano ad aumentare, ma grazie alla pressione della società civile sono state adottate in tutto il mondo leggi e politiche climatiche che hanno reso lo scenario di aumento delle temperature a +4/5°C improbabile. E sono degli enormi passi avanti le sottolineature sui limiti sociali della crescita legata ai beni posizionali, a loro volta connessi strettamente all’aumento del reddito ma incapaci di aumentare il benessere reale.

Forti delle basi scientifiche indicate dall’IPCC adesso sta a tutte le parti della società scegliere quali soluzioni implementare. La transizione dovrà essere un processo non solo desiderabile ma anche equo all’insegna della giustizia climatica e sociale, perché i cambiamenti necessari non saranno soltanto infrastrutturali, ma anche politici, sociali e culturali.