MONDO

Elezioni in Colombia, fra paura di golpe e speranze di cambiamento

Mancano soltanto pochi giorni alle elezioni presidenziali: se ci sarà un numero sufficiente di voti, domenica prossima si saprà se il candidato dell’alleanza Pacto Histórico, Gustavo Petro sarà il nuovo presidente della Colombia

«Per la vita e per il cambiamento», questo è stato il messaggio forte della campagna elettorale della coalizione di centro sinistra che lo scorso 19 maggio è arrivata a Cali in un ambiente estremamente teso, dato che durante tutta la giornata circolava la voce che era pronto un attentato, alla fine rimasto solo una possibilità. Uno scenario questo che in realtà non è per nulla da escludere in una Colombia che sta vivendo giorni estremamente intensi e che esce da un paro armado – sciopero armato – decretato dalla principale organizzazione paramilitare del paese, le AGC – Autodefensas gaitanistas de Colombia – come risposta all’estradizione negli Stati Uniti del suo esponente di maggior spicco, il narcotrafficante alias Otoniel.

Sciopero armato significa obbligo di rimanere in casa, mantenere chiuse le attività economiche, sospendere la mobilità e rispettare rigorosamente gli ordini imposti dal gruppo armato in questione che esercita il controllo territoriale. Significa una prova di forza che si fa sentire soprattutto nelle zone rurali e che a poche settimane dalle elezioni ha tutta l’aria di essere un messaggio diretto alla popolazione e al possibile futuro presidente, come dimostrano le 120 azioni belliche perpetrate fra il 5 e il 10 maggio.

Volti a confronto

Fino a una settimana fa, i principali volti che aspiravano alla presidenza erano Sergio Fajardo, della coalizione di centro destra Centro Esperanza, Federico Gutierrez, di un’altra coalizione di destra, Equipo por Colombia, e infine Gustavo Petro, dell’alleanza di sinistra Pacto Histórico. Negli ultimi 5 giorni, sembrerebbe però che la destra abbia deciso di scommettere su un nuovo candidato, Rodolfo Hernandez, imprenditore settantasettenne ed ex sindaco della città di Bucaramanga fra il 2016 e il 2019.

Benché vi sono altri nomi nella lista dei candidati, già da ora sembra chiaro che si tratterà di un duello in cui gli sfidanti saranno probabilmente Fico (Federico Gutierrez) o Rodolfo Hernandez per la destra e Gustavo Petro per la sinistra, a immagine di un paese segnato da una forte polarizzazione.

I primi due rappresentano la continuità con il governo attuale di Ivan Duque, segnato da una politica economica di stampo neoliberale e da un autoritarismo basato sul principio della sicurezza interna, come si è dimostrato con la feroce repressione della sollevazione popolare che un anno fa ha scosso l’intero paese per quasi tre mesi e che ha lasciato 83 vittime, di cui 44 per mano della polizia. Una destra che fa riferimento alla figura storica di Álvaro Uribe Vélez – già presidente della Colombia fra il 2002 e 2010 – conosciuto per aver propugnato l’investimento economico straniero in Colombia da parte di imprese multinazionali attraverso numerosi trattati di libero commercio, e soprattutto per aver combattuto la guerriglia mediante la cosiddetta guerra sucia – guerra sporca, finanziando e promuovendo il progetto paramilitare a livello nazionale.

Petro, il secondo duellante, ex guerrigliero dell’M19 e già sindaco di Bogotá fra il 2014 e il 2015, è il candidato che i sondaggi vedono in vantaggio, sulla scia del trionfo ottenuto dalla sua coalizione alle elezioni legislative dello scorso 13 marzo, che però non gli garantirebbe una maggioranza alla Camera e al Senato.

Nel suo programma spiccano le tematiche di genere, di energia rinnovabile, di lotta alla povertà e alla disuguaglianza sociale, oltre che la costruzione di un vero Stato di Diritto e infine l’implementazione degli Accordi di Pace per favorire la transizione a una reale fase di post-conflitto.

E poi vi è il suo braccio destro, la candidata alla vicepresidenza Francia Márquez, estremamente popolare fra le basi politicizzate del Pacto Histórico. Afrodiscentente, attivista sociale e ambientale oltre che femminista, ha fatto della lotta contro il razzismo strutturale uno dei pilastri del suo discorso politico.

O ahora o nunca

«È soltanto un gioco, la politica, ma estremamente feroce e pericoloso»; sono le parole del taxista che mi porta alla piazza dove per una delle ultime volte prima delle elezioni, Petro e Francia Márquez parleranno dal palco. Alla domanda più scontata, il taxista aggiunge che non sa ancora per chi voterà, ma una cosa è certa, non sarà per Petro: teme il socialismo e che la Colombia si trasformi in un nuovo Venezuela.

La sua è sicuramente una voce fuori dal coro, però è al contempo indice di una paura generalizzata e al contempo strumentalizzata da parte della destra al potere. Il castro-chavismo, il timore che la guerriglia entri al governo, lo spauracchio del nemico interno, rimangono gli slogan della narrazione ufficiale, la stessa che influenzò l’esito del plebiscito relativo agli Accordi di Pace nel 2016.

Ma se si presta attenzione a quanto circola nell’aria, a quanto si sente per le strade o si legge sui muri – soprattutto nelle geografie popolari e storicamente più colpite dal conflitto interno – sembra che la paura abbia lasciato il posto alla speranza, e per questo Petro e il suo Pacto Histórico per la vita e per il cambiamento sembrano avere grandi possibilità di entrare nel Palazzo del Nariño.

Ahora o nunca – ora o mai più, è la sensazione generale e quanto riferiscono i portavoce del movimento di diritti umani a livello nazionale, precisando che non vi è nessun timore per il voto popolare, bensì per il rischio di frode o di un possibile colpo di Stato nel periodo immediatamente successivo alle elezioni, quando il settore imprenditoriale, l’oligarchia attualmente al potere e le forze armate (ufficiali e paramilitari) potrebbero fare di tutto per impedire a Petro di governare. Lo sciopero armato delle AGC appena terminato, non sarebbe così nient’altro che un piccolo assaggio.

Sono giorni intensi e pieni di emozioni quelli che separano la Colombia dalle elezioni presidenziali. È in gioco, forse, il futuro del paese e soprattutto la possibilità di costruire una pace che sia degna del proprio nome, a dispetto di quanto ha saputo offrire fino ad ora: dagli Accordi di Pace del 2016 a oggi si contano infatti 1287 attivisti sociali e ambientali assassinati, di cui 59 solo nel corso del 2022.

Il tempo e la storia diranno se vi sarà o no il tanto attesto cambio di rotta.

Tutte le immagini da commons.wikimedia.org