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Ebru Timtik, ancora una vita spezzata dalla repressione turca

Ebru Timtik, dopo 238 giorni di sciopero della fame, è morta in una stanza dell’ospedale Sadri Konuk Hospital nel distretto di Bakırköy, dove era stata trasportata dal carcere con la forza per l’estremo aggravarsi delle sue condizioni di salute. Perde la vita così, dopo una lotta strenua e drammatica, l’ennesima vittima della repressione turca

In un paese la cui deriva autoritaria è inarrestabile la morte di Ebru si inserisce in una lista ormai lunga che solo negli ultimi mesi ha visto spegnersi nelle stesse condizioni i musicisti del Grup Yorum Helin Bölek, İbrahim Gökçek e l’attivista Mustafa Koçak.

Storie intrecciate dal comune destino di persecuzione da parte del sistema repressivo turco che con processi farsa, basati su fantomatiche accuse di un collaboratore di giustizia, mai realmente verificate in un processo equo, ha condannato a decine di anni di carcere attivisti ed avvocati con l’accusa di appartenenza al Dhkp-c (acronimo turco di Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, cioè Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo), organizzazione marxista-leninista considerata terrorista in Turchia (così come in Ue e Usa).

La vicenda giudiziaria, così come la lotta, di Ebru Timtik è iniziata nel 2017 quando 17 avvocati, tutti membri dell’Associazione degli avvocati progressisti (Çhd), sono stati arrestati con l’accusa di propaganda terrorista esclusivamente sulla base delle dichiarazioni di un testimone e delle visite fatte in carcere ai propri assistiti.

Il 3 febbraio 2020 otto avvocati, che sono attualmente ancora in carcere, hanno iniziato uno sciopero della fame, chiedendo processi equi sia per i loro clienti che per loro stessi. Mentre sei di loro hanno interrotto lo sciopero per motivi di salute, Ebru Timtik ed Aytaç Ünsal hanno deciso di trasformare il loro sciopero della fame in un digiuno ad oltranza il 5 aprile 2020.

Non sono bastati più di 200 giorni di sciopero della fame, appelli, manifestazioni, petizioni per riuscire a ottenere giustizia e salvare la vita ad Ebru. L’apparato giudiziario turco non ha fatto alcun passo indietro, con la Corte Costituzionale che il 14 agosto ha respinto il ricorso decretando di fatto una condanna a morte per gli avvocati in sciopero. La ferocia autoritaria nei confronti di un’avvocata sempre in prima linea nella difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, così come delle militanti e dei militanti dell’opposizione politica e sociale, è emersa plasticamente anche dopo la sua morte. La polizia ha cercato di impedire in tutti i modi il corteo funebre, come accaduto anche ai funerali degli altri attivisti morti in sciopero della fame, con cariche, fermi e lacrimogeni.

 

 

Inoltre, in seguito all’esposizione dal palazzo dalla sede dell’ordine degli avvocati di Istanbul di una foto raffigurante Ebru, si sono scatenate le violente reazioni di esponenti apicali del governo, primo tra tutti il ministro degli interni Suleyman Soylu che ha condannato aspramente il gesto degli avvocati istanbulioti definendo inammissibile e vergognosa l’affissione di un’immagine di un membro di un’organizzazione terroristica. Stesse parole e stessa veemenza usate anche dal ministro della giustizia Abdulhamit Gül. Prese di posizione che rendono evidente quanto il processo nei confronti di Ebru e degli altri avvocati sia stato esclusivamente di natura politica e abbia voluto colpire duramente coloro i quali si sono sempre spesi nella difesa dei diritti di chi lotta contro le politiche governative.

La morte di Ebru Timtik ha scatenato una forte rabbia e commozione in migliaia di persone nel paese, molte delle quali, nonostante la pandemia, sono scese in strada per l’ultimo saluto nel quartiere a maggioranza alevita e storicamente di sinistra di Gazi a Istanbul. Importanti esponenti politici dei principali partiti di opposizione, CHP ed HDP, così come intellettuali, attivisti per i diritti umani ed artisti hanno espresso tutto il loro sdegno nei confronti della repressione di stato ed il cordoglio per la perdita di una persona così preziosa per la Turchia solidale e democratica.

Adesso c’è la corsa contro il tempo per riuscire a salvare la vita del compagno di lotta di Ebru, Aytaç Ünsal, anche lui ormai allo stremo delle forze dopo 210 giorni di sciopero della fame. Ieri si è tenuto un sit-in nei pressi dell’ospedale in cui è ricoverato per chiedere che vengano accolte le sue richieste e che venga immediatamente liberato. Mobilitazione che è continuata anche oggi e che proverà in tutti i modi a mantenere in vita Aytaç e la speranza di un’altra Turchia.

 

Foto di copertina: Buroya Hiqûqê ya Gelî