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“The Revolution won’t be televised”. Intervista a Mosireen_soursar

Abbiamo intervistato Mosireen_soursar, membro del Collettivo Mosireen. Egiziano, del Cairo, ci racconta l’esperienza di costruzione di un archivio online nel contesto del regime militare e della repressione dopo le rivolte del 2011-2013. Mosireen_soursar sarà a Roma giovedì nel dibattito ‘The Revolution won’t be televised’

Qual è oggi la situazione in Egitto sette anni dopo la rivoluzione?

La situazione oggi è peggiore di quella che avevamo nel 2011, fondamentalmente perché abbiamo lo stesso regime al potere che c’era nel 2011 ed è stato al potere sin dal golpe del 1952, cioè da quando i militari sono arrivati al potere in Egitto. La ragione per cui possiamo considerare la situazione peggiore è che – dopo le rivolte del 2011 e del 2013 – le autorità in questo momento stanno tentando di reimporre il loro potere, quindi la repressione è ancora maggiore di prima.

Nel passato esisteva qualche piccolo spazio per protestare, che è quasi del tutto sparito, oggi non si può camminare per strada con un cartello, nessuno può esprimere una qualsiasi tipo di critica o opposizione al governo, a qualunque delle sue politiche, e la stessa situazione vige anche nel settore private. Le prigioni sono piene. E mentre il governo rivendica di essere arrivato al potere grazie alla rivoluzione del 25 gennaio (la rivoluzione egiziana del 2011), la realtà è completamente opposta. Se una persona ha qualsiasi tipo di connessione con la rivoluzione è immediatamente punita per questo.

Per chiarire la situazione possiamo usare un esempio di quello che è accaduto appena dieci giorni fa. I prezzi dei biglietti della metro sono aumentati in maniera molto significativa, fino al 350%. Il giorno dell’aumento dei prezzi le persone hanno cominciato a protestare nelle stazioni della metro e sono state arrestate in maniera casuale. Le Forze di Sicurezze sono state schierate nelle stazioni e oggi sono ancora lì. Ogni forma di protesta è immediatamente stroncata. Potrei andare avanti, ma credo che questo esempio renda bene l’idea della situazione generale.

 

Come vedi la situazione dell’Egitto, in relazione alla situazione generale del Medio Oriente e del Nord Africa?

Le situazioni sono diverse e non possono essere facilmente paragonate. Si pensi allo Yemen, alla Siria, alla Libia, o alla Tunisia. Ma in generale, tutti questi regimi stanno reprimendo la loro popolazione solo perché esiste una possibilità di rivolta e questo sta avvenendo in paesi differenti. Le modalità e l’intensità della violenza sono ovviamente differenti e anche le alleanze con i partner internazionali sono diverse. Ma una cosa chiara è che nessuno di questi regimi vuole le persone nelle strade a protestare contro le loro condizioni di vita, lo stato di polizia in cui vivono o la repressione delle dittature.

 

Andiamo più nel dettaglio del tuo lavoro come filmmaker e parte del Collettivo Mosireen che lavora sulla costruzione di un archivio online della rivoluzione. Perché state organizzando questo archivio online e basato su licenza creative common sulla rivoluzione egiziana, qual è il suo significato politico e il suo uso?

Prima di tutto, per noi è molto importante che questo non sia semplicemente un archivio della rivoluzione egiziana, non vogliamo limitare il periodo e il contenuto dell’archivio. Attualmente la maggior parte delle immagini che abbiamo raccolto coprono il periodo che va dal 2011 al 2013 e la maggior parte dei video provengono dall’Egitto, e dal Cairo. Ma la nostra intenzione è di andare oltre, sia dal punto di vista geografico che cronologico, per questo stiamo cominciando a entrare in contatto con persone oltre i confini egiziani e vorremmo dare la possibilità di caricare metraggi precedenti al 2011 o più recenti.

Una delle cose per cui questo lavoro è importante oggi è che il regime non è solamente repressivo nelle strade, ma sta anche provando a cancellare la memoria degli eventi accaduti in quel periodo di rivolta. Lo stanno facendo in vari modi, come per esempio attraverso i programmi scolastici per le giovani generazioni o colpendo gli archivi dei programmi tv – relativamente progressisti – che venivano trasmessi durante il periodo della rivoluzione. Alcuni di questi archivi sono in alcuni casi scomparsi da youtube. In generale, stiamo affrontando una processo di riscrittura della storia. Come dicevo, l’attuale regime rivendica di essere arrivato al potere grazie alle rivolte popolari, questa è la loro storia. E sono in grado di riscriverla perché sono al potere, controllano le stazioni TV, sia pubbliche che private, e controllano in larga parte anche l’attività su Internet.

Questa è l’atmosfera in cui lanciamo questo archivio online, un archivio che non solo ospita video di quel periodo ma permette agli utente di modificarli. Infatti, è possibile descrivere i video, trascrivere cosa sta venendo detto, o aggiungere commenti e ricordi di quel periodo. Per noi, la costruzione di questo archivio è una forma per scrivere una narrazione, non è solo una collezione di immagini.

 

La rivoluzione e tutti gli eventi a essa correlati avvenuti tra il 2011 e il 2013 sono contestati, cioè esiste quella che potremmo definire una memoria contesa. Qual è il ruolo delle immagini nella costruzione di questa memoria e come si può intervenire nel processo di ricostruzione di riscrittura di questa memoria?

Credo che alcune volte diamo troppa enfasi alle immagini, come fossero custodi di una qualche memoria oggettiva o documentazione di un evento. Non credo in questa interpretazioni, le immagini sono estremamente soggettive a seconda di chi le filma, di chi le monta, eccetera.

L’importanza di questo archivio non riguarda solo le immagini, ma il fatto che queste immagini sono in grado di far riaffiorare determinati ricordi, anche ricordi soggettivi dei diversi utenti. Agiscono come una sorta di traccia di un evento che è accaduto, in certi casi queste immagini causano una sorta di oblio, nel senso che permettono di ricordare alcune cose e dimenticarne delle altre.

Quindi le immagini non hanno un valore oggettivo, ma agiscono come una sorta di medium o ponte verso la memoria possibile di ciò che è successo. Una delle cose importanti per noi è che le immagini che sono raccolte in questo archivio siano in grado di provocare ricordi, specialmente nei contesti collettivi. Se tu hai cinque, sette, o otto persone sedute assieme che guardano determinate immagini questo genera ricordi o emozioni, ed è molto importante che avvenga. Stiamo attraversando un periodo talmente difficile che molti preferiscono tenere sepolti i propri ricordi e le proprie emozioni, non le vogliono rivivere perché è molto doloroso. Per questo per il nostro collettivo è molto importante affrontare questa esperienza come un esercizio politico. E l’archivio può aiutarci in questo, grazie alla possibilità di commentare le immagini, di combinare immagini e testo. Questa è una conversazione che è necessario avere con se stessi e con i propri pari, così come con le nuove generazioni piuttosto che con persone che non hanno vissuto tutto questo.

 

Credi che questo archivio possa essere usato in modo sbagliato o diverso da quello che avete pensato, dato che le immagini sono online e aperte?

Assolutamente, molte delle immagini che si trovano in questo archivio si possono trovare anche da altre parti su youtube o altri siti. Queste immagini sono state costantemente utilizzate in modi differenti da differenti gruppi, e non si tratta soltanto delle autorità, ma anche di partiti politici dell’opposizione. È molto semplice costruire la tua narrazione a partire dalle immagino per questo non vogliamo assegnare alcun valore oggettivo alle immagini stesse. Ognuno le potrà usare liberamente, ma in modo che ognuno possa usarle liberamente. Siamo coscienti che questo è uno dei rischi che si corrono rendendo queste immagini accessibili al pubblico, ma se ci preoccupassimo troppo dei rischi che corriamo, finiremmo semplicemente per nascondere un archivio e non abbiamo nessun interesse a farlo.

 

Il filmaker Philip Rizk, filmaker del collettivo “Collettivo Mosireen” sarà presente giovedì 24 alle 18 a Esc Atelier al dibattito “The Revolution won’t be televised