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Divenire e ripetizione. Su ÜBER Raffiche dei Motus

Uno spettacolo favoloso all’Angelo Mai il 6 e 7 aprile: ÜBER Raffiche (nude expanded version) da Genet traduce e complica il suo intreccio ossessivo di identità e travestimento e tradimento in termini di genere e scelte politiche

Si comincia quasi come nella scrittura originale di Jean Genet, solo che al centro ci sono due cadaveri in un lago di sangue e otto attrici donne chiuse in una stanza che discutono tra loro. ÜBER Raffiche è uno spettacolo che si ripete in loop nel corso di tre ore, per cui si entra in sala e si può cominciare a guardarlo dall’inizio, dal mezzo o dalla conclusione. «Come siamo finite qui?» – è la domanda che ossessiva ricorre nei dialoghi delle protagoniste, la stessa che rimbalza, per così dire, tra il pubblico che si chiede come è finito lì, a che punto dello spettacolo è entrato, in quale luogo della scena che, per quanto semplice, essenziale, scarna, ci getta immediatamente in una situazione ambivalente e in divenire.  

I Motus, tra i più grandi gruppi di teatro sperimentale degli ultimi trent’anni, si erano già misurati nel 2002 con quello strano testo di Genet che è lo Splendid’s, scritto nel 1948 ma mai messo in scena, nonostante le insistenze di Jean-Paul Sartre, amico e fan del drammaturgo-poeta. Nella sceneggiatura originale di Genet (recuperata solo dopo anni dalla sua morte) sette gangster e un poliziotto sono chiusi negli alti piani dell’hotel di lusso Splendid’s, hanno rapito una ragazza per ottenere il riscatto e per errore la uccidono. Ormai circondati dalla polizia e ridotti alla disperazione, per prendere tempo decidono di mettere in pratica un diversivo: uno di loro si traveste, indossa gli abiti da donna e impersona alla finestra la figura dell’ostaggio. Questo processo di travestimento e trasformazione non sarà sufficiente a ingannare la polizia e a evitare l’assalto finale. 

Jacques Derrida aveva detto di Genet che la sua scrittura era politica perché l’idea di rivoluzione non si separa mai dall’evento poetico. In questo ÜBER Raffiche è quanto mai fedele al testo di partenza, perché è uno spettacolo completamente politico.

L’idea di realizzare un remake di Genet con soli personaggi femminili circolava da un po’, ma le leggi internazionali sul copyright avevano impedito di acquisire la sceneggiatura del drammaturgo francese operando un intervento considerato così “pesante” come cambiare il sesso dei personaggi. Per questo il testo, grazie al lavoro di Magdalena Barile e Luca Scarlini, è stato riscritto e poi ambientato a partire dal 2016 in diversi hotel e in occasione della messa in scena all’Angelo Mai all’interno di spazi semivuoti e disadorni. 

Le otto (formidabili) attrici sono “gender hackers”, combattono contro l’eteronormazione  e tutti coloro che vogliono ridurre il sesso a proprietà privata. “Raffiche” – questo il nome del collettivo – aveva iniziato la sua attività politica mettendo in gioco i corpi che ingannano molto meno delle parole («le parole ingannano, usiamo i corpi!») con azioni pacifiche ed eclatanti (le militanti si incatenano, si mettono nude, fanno azioni di boicottaggio, versano lsd nei bicchieri), ma decide di passare progressivamente ad azioni più forti, prima facendo esplodere le case farmaceutiche vuote – considerate responsabili della medicalizzazione e dell’igienizzazione del sesso e del genere– e poi rapendo direttamente una responsabile. Quando entriamo – abbastanza letteralmente – nella scena, l’ostaggio, come in Genet, è già morto. Come in Splendid’s, infatti, si sviluppa tutta una sequenza di dialoghi, battute, riflessioni, moti di gelosia e si conclude con il tradimento, tema che costituiva un vero e proprio assillo per il drammaturgo francese, che arrivò a identificarlo in Captif Amoureux con l’extase per eccellenza. 

Ma la riscrittura e la recitazione (i corpi, appunto) spingono Genet oltre qualsiasi limite, rendendo ÜBER Raffiche non solo strepitoso, appassionante per attrici, sceneggiatura e musica – si va da I want you but I don’t need you di Amanda Palmer a Gangsta di Tune Yards fino al remake di Lesley Gore, You don’t owe me fatto dai Polica –, ma anche politicamente innovativo. Si parla di strategia e tattica, si definisce la fisionomia del nemico, si discute di violenza e lotta armata – impossibile non notare il riferimento alla RAF. Però nella politica si entra in un modo ancora più eclatante arrivando al cuore dei suoi aspetti strutturali: ÜBER Raffiche, infatti, è soprattutto uno spettacolo che parla di ripetizione e trasformazione. 

Cosa ripete il loop nel quale lo spettacolo si ripete? Forse l’asfissia dell’azione politica terroristica, che comincia e finisce sempre allo stesso modo, forse le domande che l’azione politica ciclicamente incontra e (si) pone. La ripetizione si trova ad un bivio risolutivo: annegare nell’identico-esemplare o variarlo impercettibilmente innovando (il “travestimento” più radicale) – sequenza rara, la seconda, che rende in effetti rara la politica in senso forte, come ci hanno “ripetuto” con insistenza e argomentazioni difformi Rancière e Badiou. 

Allo stesso modo, la maschera di Genet che modifica l’identità del personaggio viene completamente radicalizzata, non solo perché il gruppo “Raffiche” combatte la norma eterosessuale e le attrici che sono tutte donne portano nomi maschili e alcune che erano donne sono diventate uomini e altre “puttane” hanno scoperto di essere «lavoratrici biopolitiche», ma perché dell’identità si mette in discussione la «grammatica e la punteggiatura». Qui la sceneggiatura si accosta alle teorie della differenza queer e del gender fluid da Judith Butler a Paul B. Preciado, ma senza alcuna venatura teoretica.

L’inesistenza dei due generi (anzi, la loro esclusiva esistenza in virtù delle regolamentazioni biologizzanti e discorsive) viene così raccontata, performata, mostrata e incontra la politica nella sua esigenza più essenziale: produrre trasformazione, cambiare le regole grammaticali, seguire la fluidità del divenire piuttosto che della divisione binaria del mondo.

Così Jean non vuole essere chiamata con il suo nome di partenza, Virginie, perché nominare identifica, fissa e definisce, tanto quanto le regole grammaticali e la punteggiatura circoscrivono tutta la cornice delle relazioni (eterosessuali) possibili. Si va oltre il “travestimento” che era già tema in Genet, perché la modificazione non è solo contingentata dalla “messa in scena” che il gruppo mette in pratica per ingannare la polizia, ma investe corpi, desideri, linguaggio, e occupa, in un assoluto primo piano, “tutta la scena”. Il loop allora non ripete solo i rischi della militanza (armata e non) e neppure l’eterno ritorno del tempo nel quale si iscrive l’azione politica innovativa, ma ripete il problema originario dell’identità, della differenza e del divenire. 

 

I dettagli dello spettacolo del 7 aprile sono QUI

Per la scheda tecnica dello spettacolo e per tutte le foto, si veda il sito motusoline