Diren Türkye, resisti Turchia!

Ancora un manifestante ucciso ad Istanbul, la protesta si sposta a Kadikoy.

Istanbul, 16.09.2013

E’ ormai da più di una settimana che la Turchia è tornata ad essere teatro quotidiano di protesta e scontri violenti con le forze di polizia. In termini numerici non si è ai livelli oceanici di mobilitazione scatenati dagli alberi di Gezi Park, ma la tolleranza zero messa in campo dal Governo ha già un bilancio grave: due morti in pochi giorni. I metodi sono sempre i soliti: uso indiscriminato e pesantissimo di lacrimogeni, gas urticanti e cannoni ad acqua, fermi ed arresti; fino ad ora gli unici strumenti con cui il premier Erdogan affronta un dissenso che non si placa.

Ad Istanbul in questi giorni il baricentro della protesta sembra essersi spostato a Kadikoy, vivace e tollerante municipalità appoggiata sulla sponda asiatica della città. Kadikoy è molto diversa da Taksim: al posto dello scintillio di grattaceli e lussuosi hotel, dei continui clacson dei taxi e del vorticare di turisti, c’è il luccichio delle acque del Bosforo che si uniscono a quelle del Mar di Marmara, lo sbuffare dei traghetti in arrivo e partenza e il brulicare della vita ordinaria quotidiana. Kadikoy è un tradizionale feudo dell’opposizione al governo di Erdogan e fino a pochi giorni fa fucina di proteste esenti da fronteggiamenti violenti. Ma anche questo tabù sembra essere caduto.

Dopo che la centralissima, e per alcuni versi ormai proibitiva zona di Taksim è stata messa a ferro e fuoco nella notte di martedi 10 settembre, le agitazioni per la morte di un manifestante di 22 anni avvenuta nella notte di lunedi ad Antakia, hanno scavalcato il Bosforo e mercoledì sono scoppiate a Kadikoy, dove per la prima volta si sono proposti gli stessi scenari di Taksim: manifestanti e passanti inermi investiti dai gas e dai cannoni idranti, barricate, fuochi, cariche, scontri pesanti: da “Diren (resisti) Taksim” a “Diren Kadikoy” è diventato il grido per tutta Istanbul. Il pomeriggio di domenica un grosso evento organizzato dai Forum di Istanbul, i luoghi di discussione sorti nei parchi dopo l’ondata di mobilitazione di giugno e che sono proseguiti per tutta l’estate, porta a Kadikoy decine di migliaia di persone; oltre ad omaggiare le vittime della repressione, la carrellata di concerti ed interventi dal palco serve a far sapere al Governo che un’opposizione ampia e trasversale esiste e ragiona su come dare una svolta al paese. I cartelli esposti chiedono democrazia e giustizia, dal palco si fanno commossi i nomi di tutte le vittime della repressione (“Burda”, “è qui”), da uno dei palazzi spicca, investito dal riverbero del sole per tutto il pomeriggio lo striscione con i volti e i nomi dei 6 giovanissimi che hanno perso la vita in due mesi di protesta, si canta “Bella Ciao” che per i Turchi è simbolo internazionale di Resistenza. Come al solito la composizione dei partecipanti è eterogenea e il coinvolgimento emotivo deborda dall’evento, serpeggia per le strade, fra i tavoli dei bar e dei ristoranti di tutto il quartiere, rimbomba nei canti e nei cori, echeggia dai traghetti in arrivo. E supera anche l’orario consentito. Dopo le 9 di sera in tanti se e vanno ma in tanti anche rimangono, rabbia e desiderio non gli consentono di tornarsene a casa. Partono i cortei per le strade del quartiere, e partono anche le cariche. Violentissime, non c’è nessuna intenzione di lasciare fluire la protesta un minuto di più. Kadikoy è di nuovo in fiamme, le nuvole dei lacrimogeni sono visibili fin dall’altra sponda, per tutta la notte. Un nuovo bilancio di feriti e arrestati, fra cui anche un giornalista.

Un ulteriore segnale di tensione a cui questo Governo si dimostra cieco. Ora anche troppo impegnato a mostrare i muscoli ad Assad, attitudine antidoto per tutti i deficit di democrazia. E buon pretesto, fra le altre cose, per ridimensionare le richieste del Popolo Kurdo all’interno di un processo da lui stesso avviato più vicino al fallimento che a una soluzione vera.