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MONDO

Dentro e oltre la razza: la politica radicale di Black Lives Matter

Nato nel 2014 per protestare contro gli omicidi di adolescenti neri disarmati da parte della polizia, Black Lives Matter è oggi considerato come un catalizzatore della rinascita della sinistra americana. Partendo dalla denuncia delle politiche razziste, il movimento si è fatto portatore di una visione contro-egemonica capace di tenere insieme “politica delle identità” e “lotta di classe”

Black Lives Matter nasceva nel 2014. Alcuni forse ricorderanno le immagini brutali delle strade di Ferguson, Baltimora e Baton Rouge, le cariche della polizia contro i manifestanti, le pietre lanciate contro i seven-eleven e la disperazione negli occhi di chi, con il pugno chiuso scagliato contro il cielo urlava: «I can’t breathe». Black Lives Matter, ultima istanza di un attivismo, quello afro-americano, che ha storicamente visto combaciare visioni avanguardiste e scontri viscerali, ha attraversato una rapida fase di vivo interesse sfociata ed esauritasi (apparentemente) nella controffensiva conservatrice rappresentata dall’elezione di Donald Trump. Forse per questo parlare di Black Lives Matter oggi parrebbe anacronistico, altro non fosse che il movimento sopravvive oggi, a soli quattro anni dalla sua nascita, come forma di resistenza americana ad ampio raggio, un intrecciarsi di pratiche di coalizione e solidarietà che attraversano tutto lo spettro delle cosiddette “politiche identitarie”: dalla rinascita femminista della Women’s March, alle contro-proteste in risposta ai suprematisti bianchi di Charlottesville, alla March for Our Lives, fino ad arrivare alle recenti proteste contro l’ICE e la nuova politica interna di Trump, segnata da deportazioni coatte e dall’incarceramento di migliaia di persone. Gli Stati Uniti sembrano aver abbandonato, almeno per ora, il primato del dibattito razziale a favore della costruzione di un fronte compatto, quello della resistenza anti-Trump.

Di contro, l’Europa, l’Italia, della “emergenza immigrazione” si trovano a far fronte alla necessità di affrontare conversazioni scomode, in cui la razza diventa questione centrale nel vissuto quotidiano, problema endogeno, impigliato nel tessuto sociale, non più spettro lontano della colonizzazione, ma concreto manifestarsi di rinnovate (mai abbandonate) pratiche biopolitiche di organizzazione ed esclusione sociale. Gli eventi degli ultimi mesi hanno infatti dimostrato come l’Italia, l’Europa, abbiano tradotto la biopolitica razziale in politica di confine, simultaneo rigetto e ultra-esposizione di corpi neri: dalla questione delle ONG agli omicidi di Macerata e Firenze, dalla vicenda della nave Aquarius all’uccisione del sindacalista Soumayla Sacko (che ha fatto riemergere la vecchia e sempre viva questione del caporalato fatto sulla pelle dei migranti), fino alla quotidiana, e sempre crescente, emergenza di episodi razzisti e xenofobi. I canali mainstream d’attualità sembrano non parlare d’altro. L’Altro, lo Straniero, è nero ed è ovunque.

Come si inserisce in tutto questo Black Lives Matter (#BLM)?

#BLM è un movimento sociale complesso, che ha unito e diviso diversi gruppi attivi negli Stati Uniti, ma è anche una subcultura, uno slogan da social media, un fenomeno socio-culturale co-optato dall’industria dell’intrattenimento, e molte altre cose. Soprattutto, è un fenomeno che ha avuto un impatto importante su due fronti: da un lato, ha avuto il merito di riportare la “questione razziale” al centro del dibattito sociale, culturale e politico negli Stati Uniti, dopo decenni di colorblindness. Dall’altro, è un progetto di resistenza contro-egemonica ad ampio raggio, che partendo da un’analisi socio-politica lucidissima che interseca razza, classe e genere, può forse illuminare sulla possibilità di immergersi nella razza per superarla. Black Lives Matter è infatti un movimento sociale impregnato di contenuto razziale, ma molto più complesso di questa prima lettura. Fondato da tre donne afro-americane e omosessuali, #BLM è soprattutto una rete di attiviste/i immerse in realtà locali che vedono intrecciarsi pubblico e privato, e che vedono queste stesse attiviste impegnate su fronti che spaziano dalla denuncia della brutalità della polizia alla lotta per i diritti dei neri LGBTQ. In questo contesto, non sorprende che #BLM sia stato considerato come un catalizzatore del rinascimento della sinistra americana, poiché la sua denuncia delle politiche razziali e razziste americane è confluita in una più ampia denuncia del sistema ideologico, politico e sociale (quello del neoliberalismo) che ha sì colpito ferocemente le classi lavoratrici di colore, ma la cui denuncia non è mai stata appannaggio esclusivo delle stesse, come dimostrato dalle proteste di Occupy Wall Street nel 2011, o dalla più recente campagna presidenziale di Bernie Sanders. In questo senso, la questione della razza in Black Lives Matter è da leggersi in due modi: da un lato, un fattore che esiste in sé e per sé, una questione identitaria che è anche una rivendicazione politica e uno strumento di soggettivazione individuale e collettiva, Black and Proud; dall’altro, la determinante esistenziale di una condizione economica e politica di svantaggio sociale e, quindi, il punto di partenza per una denuncia sistematica e strutturale a una condizione di perenne (finora) soggiogamento.

Per questo motivo, parlare di Black Lives Matter oggi in Italia è importante, perché getta luce sul fatto che “la questione razziale” non può più essere relegata al sensazionalismo della retorica dell’emergenza, al populismo che vede nei “corpi neri” agenti esterni di temporaneo disagio. Basti pensare come meno di un anno fa il dibattito sullo Ius Soli infuocava i palinsesti televisivi come oggi accade per le ONG. La quotidianità del Diverso sostituiva l’emergenza nel rivelare il livore e le contraddizioni della coscienza italiana nel momento in cui il diritto di legalità e cittadinanza diventava materia da “corpi neri”, non più invisibile substrato nello spazio pubblico ma soggettività politiche, venute per restare. Ora, senza incappare nell’errore di facili parallelismi – la lotta afro-americana negli Stati Uniti non può essere equiparata alla lenta trasmutazione sociale dell’immigrazione italiana in “multiculturalismo” –, affrontare e capire Black Lives Matter illumina sulle modalità con cui decostruire quei paradigmi egemonici che ci vogliono divisi, antagonisti ed estranei. Concetti come “white supremacy” e “anti-blackness”, che negli Stati Uniti pesano addosso come colate di cemento, emergono, si adattano, alla nostra quotidianità quando si traducono in esclusione sociale, percezione distorta e stereotipata, e indifferenza alla sofferenza. In questo senso, la questione razziale, sopita e mai risolta, si snoda oggi davanti ai nostri occhi come l’eterno problema e, forse, la soluzione, la chiave di lettura per leggere alcune tra le più grandi disuguaglianze sociali, nazionali e globali.

 

 

«The fire this time»: la nascita di Black Lives Matter 

La frase “Black Lives Matter” non nasce dal nulla. Dietro vi sono tre personalità ben distinte. Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, tre attiviste che prima e durante Black Lives Matter lavorano rispettivamente per i diritti delle lavoratrici domestiche, per la riforma del sistema carcerario, e per i diritti di immigrati e richiedenti asilo. Nelle parole di Alicia Garza:

 

Black Lives Matter è l’intervento ideologico e politico in un mondo in cui le vite dei neri sono sistematicamente e intenzionalmente colpite a morte. È un’attestazione del contributo portato dalle genti nere a questa società, all’ umanità, e alla nostra resilienza di fronte all’oppressione mortale. (1)

 

Continua dicendo:

 

Black Lives Matter afferma le vite dei neri queer e transessuali, le vite dei disabili, degli immigrati illegali, dei neri schedati, delle donne e di tutte le vite nere che attraversano lo spettro del genere sessuale. BLM si incentra su tutti coloro che sono stati marginalizzati negli stessi movimenti per la liberazione nera. Quando diciamo che le vite dei neri sono importanti parliamo del modo in cui i neri sono deprivati dei diritti umani fondamentali e della dignità. È un riconoscimento del fatto che la povertà e il genocidio dei neri sono atti di violenza statale. È un riconoscimento del fatto che 1 milione di neri incarcerati – metà della popolazione carceraria­ – è un atto di violenza statale. È un riconoscimento del fatto che le donne nere continuano a portate il fardello del costante assalto ai nostri figli e alle nostre famiglie, e questo è un atto di violenza statale. Che i neri queer e transessuali portano un fardello unico in una società etero-patriarcale che ci usa come spazzatura e allo stesso tempo ci feticizza e guadagna sui nostri corpi, e questo è un atto di violenza statale. Il fatto che 500.000 persone nere negli USA siano immigrati “illegali” e siano lasciati nell’ombra è un atto di violenza statale, il fatto che bambine e ragazze nere siano usate come merce di scambio in tempo di guerra e conflitto è un atto di violenza statale. Persone nere con disabilità portano il peso di esperimenti darwiniani sponsorizzati dal governo che vogliono schiacciarci in etichette di normalità definite dalla supremazia bianca è un atto di violenza statale. E il fatto che le vite dei neri – e non le vite di TUTTI – esistano entro queste condizioni è una conseguenza della violenza statale. (2)

 

In quello che può essere considerato il manifesto del movimento, Garza spiega i motivi per cui è stato necessario creare il network di attivisti che poi prenderà forma in Black Lives Matter. Contrariamente alla percezione comune del movimento infatti, la miccia di Black Lives Matter si innesca sì in seguito agli omicidi di adolescenti neri disarmati da parte della polizia, Tryvon Martin nel 2013 e Michael Brown nel 2014, ma traspare dalle parole di Alicia Garza la volontà di costruire una organizzazione che sia consapevole delle problematiche che attanagliano le comunità di colore e afro-americane in particolar modo, e che sia inclusiva di tutte le identità nel suo progetto di liberazione nera.

Da Ferguson nel 2014 a Baton Rouge nel 2016, infatti, molte città negli Stati Uniti vengono coinvolte in un’ondata di proteste che la stampa e i media etichetteranno come le proteste “Black Lives Matter.” Lo slogan è ovunque, svettante su cartelloni e magliette, striscioni e stickers. Le tre parole diventano la risposta più ovvia delle comunità nere a una serie di omicidi e soprusi da parte di polizia e vigilantes. Le cose si complicano però nel momento in cui il nome “Black Lives Matter” finisce per indicare una risposta sociale spontanea, eterogenea e molto frammentaria, piuttosto che la volontà e la visione dell’organizzazione vera e propria. Le organizzazioni e i collettivi neri attivi negli Stati Uniti sono infatti moltissimi, ognuno con un’identità e obiettivi propri, e sono tutti coinvolti nell’organizzazione delle proteste. Allo stesso tempo, migliaia di singoli cittadini vengono mossi dagli scandali degli omicidi e decidono di andare per strada, protestare, documentare e discutere sui social media, coinvolgere familiari e amici, risollevare il problema della discriminazione nelle proprie esistenze. Ma un conto sono i momenti di eruzione spontanea, che scatenano la frenesia momentanea, che divampano e scemano lasciandosi dietro quello che si trovano davanti, e un altro è il lavoro difficilissimo che sta dietro alla nascita e lo sviluppo di un movimento, un lavoro che vede l’eterogeneità dei singoli costituenti trasformarsi in un corpo collettivo, unito da una visione comune e dalla volontà di cambiare le cose. Senza voler sminuire l’inevitabilità e la necessità dell’ondata, la principale domanda che sorge tra le attiviste agli albori di Black Lives Matter è proprio questa: «Come trasformare questo momento in un movimento?».

Alicia Garza reitera spesso il concetto che Black Lives Matter è soprattutto un intervento, una strategia, per ricostruire il movimento di liberazione nera a misura delle frange più marginalizzate, coloro che sono stati storicamente esclusi persino dagli stessi movimenti per la liberazione nera: le donne, i poveri, persone omosessuali e transessuali, i disabili, i non-rispettabili. Black Lives Matter nasce in un momento di esasperazione, in comunità vessate dalla piaga dell’incarcerazione di massa, della segregazione urbana, del ristagno economico e generazionale, comunità che non hanno accesso alla sanità pubblica e a un educazione degna, che sono uscite dalla crisi del 2008 impoverite più del doppio rispetto al capitale bianco, che non hanno diritto di voto a causa di politiche elettorali vessatorie, e che ogni giorno vivono discriminazioni e rapporti burrascosi con polizia e organi istituzionali. La questione della brutalità della polizia emerge allora come la punta dell’iceberg, il fenomeno evidente di celato disegno politico razziale che ha macinato e lavorato nell’ombra negli ultimi cinquant’anni. In seguito alla risposta conservatrice del All Lives Matter, che ha definito Black Lives Matter come razzismo inverso, Garza ha scritto:

 

#BlackLivesMatter non significa che la tua vita non è importante. Significa che le vite nere, che sono considerate senza valore dalla supremazia bianca, sono importanti per la tua liberazione. Dato l’impatto sproporzionato che la violenza statale ha sulle vite nere, noi comprendiamo che quando le persone nere in questo paese raggiungono la libertà, i benefici saranno estesi e trasformativi per la società nella sua interezza. Quando riusciremo a porre fine alla povertà, al controllo e alla sorveglianza delle persone nere, qualsiasi persona in questo mondo avrà una possibilità maggiore di diventare e essere libero/a. Quando i neri raggiungono la libertà, tutti raggiungono la libertà. Per questo chiediamo ai neri e i nostri alleati di abbracciare la chiamata al fatto che le vite nere sono importanti. Non stiamo dicendo che le vite nere sono più importanti delle altre, o che altre vite non sono criminalizzate e oppresse in svariati modi. Siamo in solidarietà attiva con tutte le genti oppresse che lottano per la loro liberazione, e sappiamo che i nostri destini sono intrecciati. (3)

 

Le parole di Alicia Garza risuonano con quanto affermato nell’ultimo lavoro di Michael Hardt e Antonio Negri, Assembly (2016), in cui Black Lives Matter viene presentato come un movimento che ha avuto la capacità di articolare le proprie istanze partendo da una premessa fondamentale: mettere al centro la vita e la sua crescente precarizzazione in relazione al funzionamento biopolitico del Potere, non solo nell’uso della forza, ma in ogni aspetto dell’organizzazione sociale. Black Lives Matter interroga e decostruisce non solo la vulnerabilità dell’esistenza afro-americana, ma il modo in cui essa si intreccia alla vulnerabilità dell’esistenza di tutti: lavoratori precari, donne, omosessuali, immigrati senza documenti e molti altri ancora. In questo senso, l’approccio del movimento rientra in quello che la storica Barbara Ransby ha definito come «umanesimo democratico radicale», l’idea cioè che l’energia trasformativa di un movimento risieda nella sovversione totale delle logiche che categorizzano gli esseri umani, gerarchizzando e limitando il diritto di alcuni alla libertà e alla dignità. Il desiderio di inclusività e condivisione non è allora mera strategia, ma la conseguenza di un progetto che vuole mettere al centro la dignità umana, la pulsione vitale e creativa, il desiderio e la libertà per tutti come moto propulsore e obiettivo del cambiamento sociale. Questa visione profondamente inclusiva parte però da una premessa fondamentale; quella dell’afro-centrismo, inteso non come identità ma come paradigma politico. Vediamo come.

 

 

Afro-centrismo vs. Anti-Blackness: Il rovesciamento di un paradigma politico nel movimento nero

L’intellettuale postcolonialista Franz Fanon scriveva: «Sono schiavo della mia apparenza. Arranco. Lo sguardo bianco, l’unico legittimo, mi sta già vivisezionando. Sono fissato in un’immagine».

In “Pelle Nera, Maschere Bianche”, opera che indaga i risvolti psicologici, sociali e ontologici del soggetto nero socializzato in una società bianca, Fanon descrive il processo attraverso cui il nero come individuo viene svuotato di umanità e di senso, fissato eternamente nell’immagine della sua nerezza, un velo di stereotipato significato razziale. Cosa significa essere neri oggi? Come accade che tale significato sociale si manifesti e si trasformi in egemonia culturale e poi sociale? Quella che negli Stati Uniti viene definita come «teoria critica della razza» indaga precisamente la dimensione discorsiva nella produzione egemonica di significato razziale, un’analisi di come il razzismo e l’anti-nerezza possano essere interpretate come “campi discorsivi”, fenomeni i cui meccanismi e logiche di dominazione si manifestano nel pensiero e nel discorso, prima di diventare fenomeni sociali, culturali e politici. Il razzismo manifesto nella produzione discorsiva è il più intangibile e pernicioso, una forma di alienazione dell’altro che viene letteralmente cucita addosso ai corpi neri: codificati, gerarchizzati e poi posizionati socialmente, politicamente ed economicamente. L’anti-nerezza, il razzismo strutturale e instituzionale, sono termini che nascono negli Stati Uniti per indicare delle forme di esclusione sociale che sono radicate nelle istituzioni, nelle stesse legislazioni, statali e federali. Black Lives Matter nasce dunque come contro-strategia in seno a dinamiche sociali puramente statunitensi, che vedono la presenza politica afro-americana al centro di controversie e continue negoziazioni sin dall’abolizione della schiavitù. Ma è interessante studiare cosa è accaduto con Black Lives Matter, il modo in cui il movimento ha utilizzato l’afrocentrismo non solo per una questione identitaria, non del tutto perlomeno, ma soprattutto come strategia per ricostruire un’opposizione politica forte e di sinistra, capace di superare la dicotomia novecentesca della lotta di classe, colpevole, negli Stati Uniti, di aver storicamente tagliato fuori settori in cui sono state impiegate in larga parte minoranze etniche, soprattutto le donne di colore.

La strategia politica di Black Lives Matter funziona come una piramide rovesciata, una serie di cerchi concentrici che mettendo al centro le fasce più marginalizzate sono riuscite a ottenere vittorie importanti nel campo dei diritti dei lavoratori. Black Lives Matter l’ha fatto adottando come ideologica politica l’integrazione tra identity politics e class struggle, quello che oggi viene definito “intersezionalità”, l’idea cioè che il soggetto sia un essere multidimensionale, e che fattori quali classe, genere, razza (ma anche orientamento sessuale, credo religioso, stato di cittadinanza, ecc..) determinino l’esperienza di vita di una persona, ma soprattutto l’accesso o la marginalizzazione politica, economica, sociale e culturale. In questo senso, l’influenza politica di Black Lives Matter riprende il lavoro di storici collettivi femministi neri, uno fra tutti il Combahee River Collective e, più in generale, una lunga tradizione di attivismo politico di donne nere che dalla lotta per i diritti civili fino alla contemporaneità sono state il centro pulsante dei movimenti per la liberazione nera, pur rimanendo alla periferia delle narrative storiche.

Le attiviste di Black Lives Matter hanno più volte reiterato la necessità del movimento di rimanere ancorato al suo afrocentrismo, alla sua vocazione nera, a discapito dell’appetibilità nei confronti di un pubblico bianco, a costo di vedere il movimento tacciato di razzismo inverso ed estremismo radicale, sia dai conservatori che dai democratici. Secondo le fondatrici infatti, queste critiche sono superficiali e fuorvianti, poichè si basano sulla premessa che la visibilità e la rappresentazione equivalgano al potere politico. Quel che invece sostiene Alicia Garza è la necessità di mettere al centro, sia in termini di agenda politica sia in termini di leadership, coloro che più di ogni altro subiscono l’impatto dell’oppressione, intesa come inter-relazione tra sessismo, razzismo ed esclusione economica. Questo non per competere su chi sia più oppresso, o per rispettare la vuotezza dell’incasellamento di mal celate identity politics, ma perchè le frange più radicali dei movimenti per la liberazione nera hanno da tempo capito che la vessazione politica, sociale ed economico-finanziaria è prima di tutto disegno strutturale biopolitico di contenimento e gerarchizzazione; cioè la volontà di accumulare capitale a discapito di, e soprattutto grazie a, lo sfruttamento del lavoro di determinati corpi. Tale disegno non si preannuncia come legge assoluta, piuttosto aiuta a spiegare il carattere strutturale di organizzazione del lavoro che sembra in effetti seguire modelli circoscritti alla storia razziale statunitense. Come recita il manifesto del Combahee River Collective del 1977: «è necessario articolare il conflitto di classe per persone che non sono semplici lavoratrici prive di sesso e/o razza, ma per cui l’oppressione razziale e sessuale sono fattori significativi nel determinare le vite lavorative e la situazione economica».

In questo senso, il progetto di Black Lives Matter riprende il lavoro di uno storico marxista eterodosso il cui lavoro è stato largamente ignorato fino a pochi anni, quello di Cedric Robinson.

 

 

Capitalismo razziale, radicalismo nero e giustizia economica

«Capitalismo razziale» è un termine che Cedric Robinson conia nel suo lavoro del 1983, Marxismo nero: la creazione della tradizione radicale nera, in cui si addentra in un’analisi storiografica del Capitale di Karl Marx sostenendo che egli, seppur abbia colto gli snodi cruciali dello sviluppo del capitale e delle società occidentali, abbia tralasciato un fattore determinante, ossia la natura razziale dell’organizzazione socio-economica occidentale moderna. Contrariamente all’opinione comune infatti, Robinson afferma che il razzismo non è nato come premessa e conseguenza del colonialismo europeo; piuttosto, che forme di organizzazione etnico-razziali erano già insite nei sistemi economico-giuridici moderni e pre-industriali europei. Robinson parte da questa importante premessa per spiegare come la resistenza contro-egemonica nera non possa e non debba in effetti poggiare le sue basi teoriche solamente sull’analisi marxista, come accaduto per i movimenti operai europei e in generale gli storici progetti di resistenza avvenuti in contesti nazionali e razzialmente omogenei. Robinson fa questo per inserire la tradizione radicale nera in un disegno a raggio più ampio, connettendo lo sforzo per la redistribuzione economica globale ai movimenti decoloniali, alle storiche coalizioni internazionaliste, ai movimenti femministi postcoloniali, e via dicendo.

Cosa ha a che fare tutto questo con Black Lives Matter? Attivisti come Angela Davis e Robin Kelley in recenti interviste hanno sostenuto la correlazione tra il concetto di “capitalismo razziale” e lo sforzo di un movimento quale Black Lives Matter.  Nell’agosto 2016 infatti, The Movement for Black Lives, una coalizione di 50 organizzazioni cui Black Lives Matter ha aderito, ha rilasciato un documento che indica una serie di richieste per migliorare le vite degli afro-americani (4). Il documento copre un vasto numero di problemi e relative richieste: fine del complesso carcerario-industriale, risarcimento economico, ridistribuzione dell’investimento pubblico, giustizia economica, controllo delle proprie comunità e potere politico. Il punto di partenza è lo stato di estrema precarietà in cui le comunità afro-americane e di colore vivono, e in questo senso, il documento rintraccia nel razzismo istituzionale la matrice della violenza statale. Lo sforzo condiviso delle diverse organizzazioni porta alla luce l’interrelazionalità e il carattere endemico dell’oppressione nera che esiste tra varie forme di ingiustizia sociale: incarcerazione di massa ed esclusione dal diritto di voto per motivi penali, disoccupazione e occupazione sottopagata, segregazione urbana e discriminazione abitativa, disinvestimento dell’educazione pubblica in favore di quella privata, erosione del capitale nero, brutalità della polizia, profiling razziale… Questi esempi, tra molti altri, fanno emergere un progetto istituzionale di marginalizzazione che non può essere ignorato. Contrariamente all’opinione comune americana infatti, che vuole attribuire la povertà nera a un imprinting quasi genetico, Black Lives Matter fornisce spiegazioni e soluzioni che guardano al carattere strutturale della povertà, piuttosto che colpevolizzare le vittime per il colore della loro pelle. Proprio per questo #BlackLivesMatter offre una contro-narrativa che inscrive la povertà nera all’interno del fenomeno globale del capitalismo razziale, un impianto teorico e linguistico che Angela Davis definisce “transnazionale” per la sua potenzialità in senso globale e internazionalista (5).

 

 

Black Lives Matter è stato considerato come un nuovo motore propulsivo nella Sinistra americana, poiché il suo focalizzarsi sulla giustizia razziale, di genere ed economica deriva da un tipo d’analisi di classe, genere e razza che mancava da molto tempo nel pensiero progressista mainstream americano. In effetti, se da un lato Black Lives Matter appartiene necessariamente al contesto dei movimenti per la liberazione nera, dall’altro è anche vero che BLM ha ampliato il suo raggio d’analisi in un modo che rende necessario la sua comparazione nel contesto più ampio delle mobilitazioni progressiste. Sono stati tracciati molti paragoni tra Black Lives Matter e Occupy Wall Street, ad esempio, sia in termini di contenuti sia di modalità partecipativa e modello di leadership. Tuttavia, l’esperienza di molti afro-americani all’interno di Occupy ha sottolineato l’incapacità di quest’ultimo di affrontare nello specifico le dinamiche di razza e genere in seno all’ingiustizia economica e alla violenza statale (6). In questo senso, la risposta più ovvia sarebbe screditare Occupy per il modo in cui esso ha marginalizzato le persone di colore come la Nuova Sinistra aveva fatto negli anni ’60 e ’70, anche se attiviste come Keeanga-Yamahtta Taylor e la stessa Garza, problematizzano questa posizione sostenendo che Occupy al tempo avesse fatto considerazioni apprezzabili in termini di conflitto di classe e razzismo. Tuttavia, sempre la stessa Taylor puntualizza come la “bianchezza” del movimento Occupy avesse scoraggiato la sostanziale partecipazione degli afro-americani, e questo non per antagonismo alla bianchezza di per sé, ma perché la mancanza di analisi intersezionale aveva portato il movimento a negare ottusamente l’esperienza di persone che non rientrano nella dicotomia dello sfruttamento di classe. Come ha fatto notare Angela Davis, l’incapacità di comprendere queste dinamiche è deleterio per un qualsiasi movimento sociale, poiché prescinde l’aspetto razziale del capitalismo, la sua portata globale e le potenziali coalizioni a livello transnazionale (7).

L’esclusione razziale è una critica che è stata mossa anche a Black Lives Matter, poiché la sua attenzione per gli afro-americani è stata interpretata come «eccessiva attenzione» a una minoranza della popolazione; uno sforzo che porta alla paradossale esclusione della maggioranza marginalizzata: altre minoranze di colore e la working-class bianca. Parte della sfida di Black Lives Matter è stata proprio quella di resistere alla retorica del considerare i problemi dei neri solamente come “problemi dei neri”, poiché le battaglie sociali di Black Lives Matter hanno comprovato questa interpretazione come erronea. La campagna #BlackWorkMatter, conosciuta anche come #FightFor$15, era iniziata con l’intenzione di «portare l’attenzione al numero sproporzionato di giovani neri che lavorano in settori sottopagati» (come catene di fast-food e ipermercati). Non ci è voluto molto per realizzare che una campagna organizzata nell’interesse della classe lavoratrice nera convogliava in realtà le necessità di un’intera categoria sociale. La testa della campagna, l’organizzazione Black Youth Project 100, ha coordinato lavoratori di molti stati in proteste e scioperi contro multinazionali quali Walmart, McDonald e Burger King, chiedendo il diritto di sindacalizzarsi e un minimo salariale. La campagna ha portato l’attenzione sulle difficili condizioni in cui vivono moltissime persone, a dispetto dello stigma sociale che attanaglia i lavoratori del settore. Si parla qui della categoria dei “lavoratori poveri”: famiglie, universitari, persone molto giovani; gente impiegata in 2, 3 lavori che comunque non riesce a superare la soglia di povertà. Nonostante il problema del minimo salariale sia condiviso da molte categorie dello spettro sociale, il tasso di povertà nera è più del doppio rispetto a quello bianco e gli afro-americani rappresentano il segmento in crescita più alto dei lavoratori poveri. Ma il gap economico non è solo una questione di quantità. Come puntualizza Ta-Nehisi Coates, «la povertà nera non è la povertà bianca»; c’è una differenza sostanziale nella povertà nera, che rimanda al lavoro schiavista, alla segregazione, alle politiche discriminatorie che hanno reso la privazione economica condensata e intra-generazionale. Ciò non può essere sradicato semplicemente ampliando il discorso sulla giustizia economica. In questo senso, Coates è critico di progetti politici che appiattiscono la differenza tra capitalismo deregolato e anti-nerezza, e lo fa sostenendo che il razzismo è una causa piuttosto che una conseguenza dell’ineguaglianza. Coates non cita esplicitamente Black Lives Matter ma, suggerendo che la fine della supremazia bianca possa avvenire solo nel momento in cui si sradica l’anti-nerezza, implica che il cambiamento sociale negli Stati Uniti può avvenire solo attraverso la profonda comprensione delle premesse della liberazione nera, poiché l’umanizzazione nera implicherebbe la creazione di un sistema che rovescia le logiche di chi e cosa costituisce “l’Umano” negli Stati Uniti. In altre parole, per riprendere la storica Barbara Ransby:

Focalizzarsi sui poveri neri non significa ignorare altri che comunque soffrono delle conseguenze dell’inuguaglianza economica. Le voci portanti di Black Lives Matter hanno insistito sul fatto che se liberiamo i neri poveri, o lasciamo che si liberino, solleveremo tutti coloro che sono stati lasciati indietro. In altre parole, qualsiasi analisi seria del capitalismo razziale deve riconoscere che battersi attivamente per la liberazione dei neri significa anche destabilizzare l’inuguaglianza negli Stati Uniti nel suo complesso, e creare possibilità per tutti coloro che vivono qui. (8)

 

Il progetto di Black Lives Matter è ancora tutto in divenire.

 

(1) Alicia Garza, A Herstory of Black Lives Matter, 2014. https://blacklivesmatter.com/about/herstory/

(2) Ibid.

(3) Ibid.

(4) https://m4bl.net/

(5) Intervista ad Angela Davis, 2016.

(6) Tasbee Herwees su Alicia Garza, https://www.good.is/features/black-lives-matter-feminism-history

(7) Vedi nota 5.

(8) Barbara Ransby, “The Class Politics of Black Lives Matter”, in Dissent Magazine.