MONDO

Lavrio, campo autogestito dai profughi kurdi

Nei giorni del bombardamento turco di Afrin siamo andate a visitare il campo profughi autogestito dai rifugiati curdi vicino ad Atene

A circa un’ora da Atene si trova il campo dei rifugiati kurdi di Lavrio, il più antico campo della Grecia. Nato nel secondo dopoguerra per mano dei rifugiati fuggiti dall’Unione Sovietica, è a partire dagli anni ‘80 che il campo diventa un luogo che accoglie rifugiati e attivisti politici kurdi provenienti principalmente da Turchia e Siria.

Il giorno della nostra visita al campo di Lavrio il governo turco di Erdogan, con l’appoggio di Russia e Stati Uniti, ha bombardato la regione curda di Arfin in Siria. Mentre scriviamo queste righe, l’attacco prosegue e numerose manifestazioni di protesta si stanno svolgendo ovunque nel mondo per sostenere il popolo curdo.

Abbiamo visitato il campo in occasione del pranzo autogestito organizzato dalla Cucina Solidale El Chef del centro sociale Steki Metanaston, che fa parte della vasta rete di organizzazioni e spazi impegnati nel sostegno sociale e politico a migranti e rifugiati di Atene.

Il campo è composto da due grandi strutture abitative che affacciano su una grande corte interna. Piu di 300 persone vivono attualmente nello spazio, in modo comunitario e autogestito. Questa è infatti uno degli elementi centrali di Lavrio camp, come ci spiega Seddath, davanti a un immancabile tazza di Chai, grazie alla traduzione di Mustafa. A differenza dei campi gestiti dal governo greco e dall’UNHCR, in questo campo ci si autorganizza e si definiscono insieme le regole comuni della convivenza. “A communal life” è l’espressione che ricorre piu spesso nelle parole di Seddath.

 

Le organizzazioni che un tempo frequentavano il campo, come la Croce Rossa, l’hanno abbandonato in seguito alle pressioni del governo greco e di quello turco, entrambi fortemente desiderosi di chiudere il campo. È per questa ragione che nel 2013 la polizia greca ha fatto incursione nel campo con un’operazione anti-terroristica volta a sventare presunte reti di organizzazione politica di diretto supporto economico e politico alle lotte dei kurdi in Turchia.

Seddath ci ripete varie volte che il campo non è, come del resto ci pare evidente, una sede ufficiale di supporto al PKK, il partito kurdo dei lavoratori guidato da Oçalan. Tuttavia la lotta dei popolo kurdo è una sola, in ogni luogo, e anche a Lavrio la si sostiene. Ma il vento che viene dal Kurdistan non fa del campo un luogo di organizzazione della lotta armata, ne fa, sicuramente uno spazio di vita comune improntato ai principi del partito di Oçalan, le cui immagini sono ovunque dentro il centro. Il volto del presidente Oçalan non è l’unico ad affollare la grande biblioteca del campo, dove campeggiano immagini di combattenti kurde.

Quando chiediamo a Seddath di parlarci delle lotte delle donne kurde e della loro vita nel campo ci sorride e ci risponde: «Biji!» – che in curdo è un’espressione di gratitudine che significa “lunga vita a voi” – «La lotta delle donne è la lotta del Kurdistan e anche a Lavrio esiste un comitato di sole donne, del quale tuttavia non posso dire molto, se non esprimere il mio sostegno, perché essendo un uomo, non spetta a me commentare il lavoro delle nostre compagne»

Nel campo è fondamentale la vita sociale, la cultura, l’educazione dei bambini. Sono proprio questi gli elementi su cui Seddath e Mustafa insistono con orgoglio. Il cibo viene distribuito anche nei campi governativi, ma il backgammon, le visite di alcuni residenti solidali per fare due chiacchiere e giocare con i bambini, lo studio collettivo, no.

Mentre ci racconta con entusiasmo la lotta del popolo kurdo, Seddath si ferma un momento a pensare e poi dice «Non voglio dilungarmi su quanto sia complicata e difficile la nostra situazione. Vi posso però dire che qui siamo come tutti gli altri, proviamo ad andare avanti».

Mustafa è arrivato da sole tre settimane, ma non intende restare.

Ci spiega che la maggior parte dei kurdi che arrivano dalla Turchia sono attivisti politici che, viaggiando da soli, rimangono nel campo per pochi mesi. I kurdi che arrivano dalla Siria, invece, scappano dalla guerra, ed essendo in viaggio l’intera famiglia, rimangono nel campo anche fino a due anni. Quasi tutti, da Lavrio, sognano il nord Europa, e lì puntano il loro prossimo viaggio.

Il campo di Lavrio, quindi, è allo stesso tempo un luogo di transito e uno spazio permanente in cui si vive secondo i principi dell’autonomia e dell’autogoverno. Sono proprio queste le caratteristiche che rendono il campo un’esemplare alternativa alla vita nei campi ufficiali, sovraffollati, in cui la carenza di beni, la mancanza di autonomia e le pessime condizioni di vita rendono difficile la convivenza.

Sono molti i centri di questi tipo ad Atene e in tutta la Grecia, dove tuttavia non è consentito agli esterni entrare e da cui giungono notizie sempre piu allarmanti, a cominciare ovviamente dalla situazione negli hotspot situati sulle isole greche, fino ad arrivare al campo sovraffollato di Eleonas, dentro la città di Atene.

Esistono però anche in città esperienze che nascono direttamente dall’opposizione alle condizioni di vita dei centri profughi del governo e che propongono forme di vita comunitaria e un progetto politico comune di lotta alle frontiere e alla marginalizzazione dei/delle migranti. Il noto Hotel City Plaza, di cui recentemente ha scritto tra gli altri anche   “ The Guardian  è uno degli esempi più conosciuti e duraturi.

L’importanza delle esperienze come quella del City Plaza,  del campo kurdo di Lavrio, e tante altre disseminate sul territorio, non viene però riconosciute dal governo greco. Al contrario, proprio in questi giorni circola sui giornali locali una lista apparentemente diffusa dalla stessa polizia greca contenente tutti gli spazi sociali di Atene – con tanto di informazioni dettagliate e indirizzi – il cui sgombero è prossimo. Anche il campo di Lavrio resiste alla costante precarietà e al perenne rischio di uno sgombero.