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Il debito è un patto tra gentiluomini: la risposta patriarcale alla crisi argentina

Di fronte alla fase di profonda instabilità politica ed economica nel pieno dell’anno elettorale, il governo e gli imprenditori hanno lanciato una proposta patriarcale di risoluzione della crisi: pubblichiamo qui una prospettiva critica femminista del patto tra gentiluomini proposto dal governo Macri.

Il ministro delle Finanze, Nicolás Dujovne, ha fatto riferimento all’accordo sui prezzi, presumibilmente raggiunto tra le compagnie monopolistiche e il governo, come “un gentlemen’s agreement”, che consisterebbe nel congelare il prezzo di sessanta prodotti del paniere di base per sei mesi. Con questo, intendeva dire che non ha bisogno di una conferma istituzionale o di un impegno scritto, in quanto si affida al senso di solidarietà maschile tra uomini d’affari e funzionari. Questa formula dell’accordo tra gentiluomini parla di qualcosa di più ampio: una proposta patriarcale per risolvere la crisi. Ma cosa significa concretamente?

1) “risolvere” la crisi affidandosi ai monopoli

La crisi che, come sappiamo, influisce direttamente sulla vita quotidiana – stiamo parlando di “cibi di base” – vuole essere incapsulata in un accordo tra quegli stessi gentiluomini che sono responsabili (come classe politica e imprenditoriale) del massiccio smantellamento della produzione a livello familiare, dello strangolamento di altre forme di economia di minore scala e di conseguenza del libero aumento dei prezzi.

Ciò ha effetti enormi sulla già consolidata finanziarizzazione della fornitura di beni alimentari attraverso l’individualizzazione bancaria compulsiva cominciata un decennio fa con le carte di credito alimentari e l’espansione dell’agrobusiness come modello produttivo, oggi portato all’estremo dall’utilizzo indiscriminato di pesticidi, anche in quelle aree dove sorgono scuole, fino all’orario di inizio delle lezioni; una misura recentemente approvato dalla governatrice Vidal nella provincia di Buenos Aires.

2) “risolvere” la crisi con più indebitamento

Un altro degli annunci per “lalleviare” la crisi è stato un nuovo shock creditizio che sarà concesso attraverso l’ANSES [il corrispettivo dell’INPS in Argentina], ai pensionati e ai beneficiari di AUH [assegno universale per figli minori] e di assegni familiari. L’obiettivo è quello di accrescere lo sfruttamento finanziario sui settori a basso reddito, utilizzando la leva del debito come futuro dispositivo di impoverimento per tutti i nuclei familiari.

 

L’indebitamento delle economie familiari, domestiche e popolari ha un obiettivo politico, perché espandere la rete capillare di obblighi finanziari “contiene” il malcontento, privatizza l’angoscia della crisi e incolpa moralmente i “debitori” per il collasso governativo.

 

Oggi il debito è usato per pagare il cibo, medicine e servizi di base, e anche così non è ancora abbastanza! Ciò che si cerca è proprio una “economia dell’obbedienza” funzionale ai settori a maggiore concentrazione di capitale e alla carità come depoliticizzazione dell’accesso alle risorse.

3) “risolvere” la crisi presentando il problema finanziario come un dibattito tra i tecnici

Questo non è proposto solo dal governo, ma anche da alcuni esponenti dell’opposizione. La narrazione sul debito estero e quello privato cerca di disinnescare i conflitti sociali. La speculazione finanziaria è impensabile senza speculazioni politiche. Entrambe sono un meccanismo di “attesa”, del gioco che si fa con il nostro futuro: ricordiamoci che durante l’ultima “corsa al dollaro” i titolari di Clarín [importante quotidiano argentino di destra] assicurarono che la Banca Centrale “prevede di controllarla vendendo futures“.

 

Il problema finanziario, quando viene narrato come problema tecnico, è delegato a un negoziato tra gentiluomini. La depoliticizzazione è duplice: non si può intervenire “ora” e le conseguenze della finanza sul quotidiano vengono negate.

 

Questo sintetizza un modus operandi che caratterizza non solo il governo; la parola d’ordine è attendere fino a ottobre [quando si svolgeranno le elezioni presidenziali]. La speculazione politica è accompagnata dal ritmo della speculazione finanziaria e la speculazione finanziaria deriva dalla speculazione politica.

…disobbedienza finanziaria!

Dall’esplosione del femminismo, le conseguenze dell’indebitamento hanno toccato ogni ambito in conflitto: da quello domestico, a quello legato al quartiere, a quello contadino e così via. Con il femminismo si è evidenziata la correlazione tra l’indebitamento e il depauperamento delle infrastrutture pubbliche, si è manifestato lo stretto vincolo tra questo e le economie illegali e, soprattutto, il suo legame con la violenza sessista.

In questo modo risulta chiaro come il debito estero abbia un’implicazione diretta con l’indebitamento privato. Non sono circuiti autonomi. Non ci sono speculazioni da parte dei grandi attori della finanza che non prevedano l’utilizzazione di risparmi privati (inclusi i salari) per i loro giochi di prestigio speculativi o per attuare “la bicicletta finanziaria” da parte delle banche (compravendita fasulla sul cambio dollaro-peso argentino).

 

La disobbedienza finanziaria, tuttavia, si sta già attuando in ogni forma di lotta contro i licenziamenti, i tagli alla finanza pubblica, per l’ottenimento di maggiori salari sociali, per tutte le iniziative che sfidano le regole imposte dal patto tra gentiluomini e il FMI.

 

Nei quartieri più in difficoltà, sono le donne che si stanno inventando iniziative popolari per far fronte all’inflazione: dal pasanaku (mutuo senza interessi) alle pentole collettive; da nuove forme di baratto alle organizzazioni di assistenza collettiva. Queste azioni non possono essere considerate dei semplici palliativi (secondo la logica del “miserabilismo“), perché in questo modo si depotenzierebbe la loro forza politica, il loro carattere insubordinato, la loro capacità concreta di non conformarsi giorno dopo giorno alla dittatura della finanza.

Misconoscere e svalorizzare le strategie di disobbedienza finanziaria dal basso all’impoverimento è un grave errore. Fa sì che si parli in linguaggio tecnico e astratto del cosiddetto “sollievo” dalla crisi e che si assolva la aberrante negoziazione del governo con il FMI.

Il problema finanziario deve essere affrontato e discusso all’interno di tutti i settori sociali dove, sulla base della lunga esperienza di mobilitazione e di disobbedienza agli “aggiustamenti”,  vengono ridefiniti, ancora una volta, i tempi della politica.

 

 

Pubblicato su Rivista Crisis. Foto di archivio a cura di Ni Una Menos (azione contro l’indebitamento davanti alla Banca Centrale, 4 marzo 2018).

Traduzione in italiano a cura di Transglobal.