ITALIA

Autogestione nella pandemia: le e gli studenti si riprendono i loro spazi di solidarietà

Dall’inizio della pandemia il discorso mainstream dipinge le e i “giovani” come indifferenti alle misure di prevenzione anti-contagio, tornando alla solita narrazione di una generazione incapace di prendersi delle responsabilità. Eppure in tutta Italia non mancano esempi che provano il contrario. Da Bologna a Pisa, da Napoli a Torino passando per Roma sono statə infatti proprio le e gli studenti a organizzare la risposta dal basso a molte delle problematiche sorte in questo periodo.

La vita delle e degli universitariə, e l’istruzione in generale, è stata stravolta dall’epidemia di Covid-19. Con la chiusura delle aule studio interne agli atenei mancano i posti per studiare o per seguire le lezioni telematiche. «Avere uno spazio più libero e di autogestione, è stata un’esigenza che ha colpito fin da subito chi studia a Torino, fuorisede e non», racconta Marta, attivista di Manituana, laboratorio culturale autogestito del capoluogo piemontese. Fin dall’inizio di giugno lo spazio ha messo a disposizione un luogo dove studiare durante la sessione estiva mentre le biblioteche e le sale studio dell’università rimanevano chiuse. «Sul momento – prosegue Marta – era forse l’unico posto a disposizione delle e degli studenti in tutta la città». Ora chi frequenta l’aula studio partecipa anche all’autogestione della stessa: «Abbiamo fatto un’assemblea pubblica all’inizio del mese e abbiamo deciso di lasciare alle persone che frequentano lo spazio la sua auto-organizzazione». Come spazio occupato, Manituana non si è dovuta confrontare con l’amministrazione universitaria per aprire l’aula studio.

 

Le cose sono andate diversamente a Exploit, spazio autogestito nei locali dell’università di Pisa: «l’amministrazione dell’UniPi ha fin da subito eliminato ogni possibilità di entrare negli spazi dell’ateneo chiudendo l’accesso a segreterie, aule studio e biblioteche», racconta Cosma, studente di Scienze Politiche e attivista.

 

Nonostante le e gli studenti si siano attivatə per aprire lo spazio in totale sicurezza, allestendo i tavoli della sala per il distanziamento e mettendo a disposizione soluzioni disinfettanti, il rettore minaccia di sgomberarli.

 

Stessa storia a Bologna, dove in questi giorni le ragazze e i ragazzi del collettivo Prometeo, che da anni gestiscono un’aula studio dell’ospedale universitario, stanno protestando contro la chiusura del loro spazio. «A metà settembre abbiamo riaperto con tutte le dovute precauzioni sanitarie – racconta Micol, attivista di Prometeo – e abbiamo addirittura implementato le linee guida che erano state date dall’università. Ma qualche ora dopo la riapertura abbiamo ricevuto varie telefonate da parte dell’amministrazione universitaria che ci ha intimato di chiudere». La motivazione ufficiale di tale atteggiamento è il rischio di diffusione del virus, di cui l’amministrazione non vuole prendersi la responsabilità ma, come dice Micol, «Hanno preso la palla al balzo per metterci la sorveglianza». In altre parole, si tratta di un tentativo di togliere agli e alle studenti la possibilità di autogestirsi, con la scusa della situazione emergenziale.

 

La protesta per l’auletta autogestita Prometeo a Bologna

 

A Bologna, sempre in questi giorni, è in corso l’accesa contestazione dell’inaugurazione dello Student Hotel, «Uno studentato di lusso che evidenzia il tentativo, in atto da tempo, di cambiare il tessuto sociale della città», spiega Davide, attivista del collettivo Saperi Naviganti. Questo processo andava avanti già da prima dell’epidemia di Covid-19, quando gli e le studenti venivano spintə dall’università a cercare alloggi a San Benedetto val di Sambro, paesino vicino a Bologna. Come racconta Davide:

 

«Ci dicevano di andare via mentre per i ricchi c’è spazio, negli studentati di lusso. Noi invece contestiamo questa logica: come in ogni ambito, il settore privato avanza, solo perché il pubblico non funziona. Ma noi non ci stiamo»

 

 

Oltre alla questione abitativa, anche la riduzione delle tasse universitarie ha riacquistato centralità nelle rivendicazioni dei collettivi studenteschi, scontrandosi spesso con la sordità delle amministrazioni. È il caso dell’università di Pisa, dove «Il rettore non solo non è voluto venire incontro alle nostre richieste – racconta Cosma, attivista di Exploit – ma ha anche provveduto all’aumento delle tasse per gli studenti fuoricorso di circa 200 euro a rata, proprio in un periodo in cui diventare fuoricorso è molto più semplice, perché non si può accedere ai laboratori, non si possono fare i tirocini e quindi è tutto più complesso e la condizione di chi studia è molto peggiorata.»

 

Il deterioramento della qualità di vita delle persone che stanno attraversando un periodo di formazione universitaria sembra essere una costante nei diversi atenei della penisola.

 

All’Orientale di Napoli, per esempio, i servizi per le e gli studenti sono stati dimezzati senza nessun tipo di abbassamento delle tasse universitarie, nonostante la crisi economica abbia colpito profondamente chi già sopravviveva con lavori precari. «L’aula studio allo Zero81 – Laboratorio di Mutuo Soccorso è aperta dal 2017», racconta Sofia, studente e attivista. Non è stata certo la pandemia a far accorgere gli e le attivistə della mancanza di spazi universitari adeguati per studiare. L’emergenza in corso, però, ha acuito un problema annoso: «Con tutte le sedi universitarie chiuse – prosegue Sofia – gli e le studenti di Napoli non hanno più posti in cui studiare e sono così costretti a rifugiarsi all’interno dei bar e delle caffetterie».

 

L’auletta autogestita Zero81

 

L’aula autogestita si trova in un locale messo a disposizione dal centro sociale, attivo ormai da anni nel cuore della città. Molte reti di mutualismo e spazi sociali dopo il grande lavoro di solidarietà svolto durante la fase uno, hanno messo a disposizione le loro strutture per gli e le studenti della città che si erano trovati a corto di posti in cui studiare. «Tuttavia quello a cui assistiamo oggi in Campania – continua Sofia – è un attacco feroce al mondo della formazione tutto, l’ultima delibera del Presidente della Regione ne è un chiaro esempio».

 

Le reti di solidarietà che si erano attivate all’inizio dell’emergenza sanitaria si ramificano e assumono forme e percorsi nuovi. Eppure queste esperienze di mutualismo e solidarietà dal basso sono messe all’indice dalle istituzioni.

 

A Roma ne è un esempio l’esperienza degli spazi sociali Esc Atelier e Nuovo Cinema Palazzo: dopo aver organizzato la distribuzione della spesa solidale durante il lockdown hanno messo a disposizione in quest’ultimo periodo i loro spazi per renderli accessibili agli e alle studenti. Ma rischiano lo sgombero. Il Comune di Roma, infatti, non riconosce l’importanza delle attività sociali che vengono svolte in questi spazi, e preme ormai da anni per cancellare queste esperienze.

L’epidemia di Covid-19 ha messo in luce le difficoltà che stanno vivendo le e gli studenti in questa contingenza, le cui radici risiedono in questioni più profonde, strutturali al sistema. Le voci di chi si è attivato per far fronte a questa situazione mostrano una generazione reattiva e  installata nel presente, ben lontana dalla descrizione proposta nel discorso mainstream. Questa narrazione alimenta l’atteggiamento politico delle istituzioni, quasi sempre chiuso repressivo nei confronti di quelle realtà che, in questo periodo di crisi e incertezze, propongono un respiro di vita nel segno della solidarietà e dell’attivismo. E che non hanno certo intenzione di fermarsi.

 

In copertina: Escamotage a Roma