MONDO

Venezuela: da dove nasce la forza del chavismo?

Un’analisi degli ultimi risultati elettorali, segnati dall’enesima vittoria del movimento storico della sinistra .
Domenica scorsa in Venezuela, si è votato per il rinnovo di 22 governatorati. Nonostante le “previsioni” dei mezzi di comunicazione, della destra e le campagne degli attori internazionali coinvolti nella crisi del Paese, il chavismo ha vinto di nuovo. Dimostrando di avere ancora forza per combattere.

Alcune analisi di destra e di sinistra coincidono su un punto: il chavismo non avrebbe più forza per la battaglia. Il movimento storico sarebbe un’immagine scolorita di quello che fu, con la capacità di dare gli ultimi schiaffi al cielo in una rissa perduta, sul punto di cadere per un knockout furioso o per sovraccumulazione di colpi. Così ripetono da vari anni, ogni volta più sicuri, e da questa certezza traggono conclusioni che scrivono in articoli o proiettano in piani per il definitivo ritorno al potere politico.

La realtà, al contrario, nelle elezioni, toglie loro ragione e capacità politica: il chavismo non solo ha forza, ma ottiene vittorie elettorali immense. Questa domenica [15 ottobre, ndt] è stata una nuova prova di ciò, dal momento che sono rimasti nelle sue mani 17 dei 22 governatorati in gioco, mentre uno è ancora da assegnare. Un risultato contrario ai pronostici ripetuti da un’opposizione trionfalista, dai mezzi di comunicazione dominanti che avevano fatto il vuoto intorno alla competizione e adesso non sanno come spiegare quello che è successo, se non con la – prevedibile e insosteniibile – denuncia di brogli o il non riconoscimento dei voti fino al riconteggio. Diranno che ci sono stati brogli lì dove hanno perso e riconosceranno i risultati dove hanno vinto?

Il chavismo ha vinto, quindi. L’iniziativa politica sta dalla sua parte: mantiene in carica l’Assemblea Costituente Nazionale, con la legittimità iniziale di più di otto milioni di voti e una mappa di governatorati dalla sua parte. La destra, da parte sua, è rimasta fortemente colpita. Da un lato, l’ala insurrezionale/armata, soprattutto Voluntad Popular (VP) e Primero Justicia (PJ), ha aggiunto la sua sconfitta di ieri a quella di luglio. VP rimane senza governatorati e PJ ha perso Miranda, lo stato governato dal suo dirigente più importante, Capriles Radonski. Per quanto riguarda Acción Democrática, più propenso a una strategia elettorale, il partito è rimasto con quattro governatorati, senza diventare un’alternativa/minaccia al chavismo.

Significa che la destra ha sofferto due sconfitte consecutive in tre mesi, le sue due ali sono rimaste molto ferite e i suoi leader hanno dimostrato di non avere leadership. La sua dipendenza verso Stati Uniti e alleati, come l’Unione Europea, diventa quindi maggiore. In questo senso, i segnali si sono messi in marcia ancora prima di domenica – anticipavano il risultato? – con l’installazione dell’illegale Tribunale Supremo di Giustizia nella sede dell’Organizzazione degli Stati Americani. È una certezza: il chavismo combatte contro gli Stati Uniti. Se fosse soltanto una questione nazionale l’avversario politico sarebbe piccolo, quasi senza possibilità.

Questo non significa sovrastimare le possibili reazioni che possono innsecarsi da dentro il Venezuela, in maniera articolata con il livello internazionale. La mappa dei governatorati mostra che la destra è rimasta con zone strategiche: di frontiera e petrolifere. In uno schema di logoramento e assalti, in cui gli attacchi si alternano tra economia e violenza politica, questo può indicare che in quei territori e nodi economici potrebbero essere sferrati alcuni dei colpi più forti. È sicuro che torneranno ad attaccare, il conflitto si muove tra le sue forme, non si interrompe mai.

Il chavismo, da parte sua, rimane con la ratificazione dell’iniziativa politica nelle sue mani e con l’urgenza di risolvere la guerra/crisi economica. Il risultato di ieri ha mostrato che il tempo della politica può imporsi sl tempo dell’economia nell’ora di votare, ma quel logoramento economico rappresenta un’erosione permanente nella vita delle persone oneste, nelle soggettività, nella battaglia culturale. E così come la direzione ha ratificato la capacità di risolvere il conflitto politico e portarlo ai voti e non alla morte, ha anche dato segnali della sua grande difficoltà di risolvere quelle necessità economiche. È un problema di modello, di corruzione, di attacchi internazionali? Un miscuglio di tutto questo?

È lì che bisogna mettere la forza, la correzione interna e le alleanze internazionali (quest’ultimo sembra più avanzato, in particolare le alleanze russe/cinesi/indiane). La maggioranza della popolazione, così dicono i voti, vuole che sia questo governo, questo progetto storico, a risolvere i problemi con cui si scontra il Paese. La destra continua a non potersi definire come un’alternativa sostenibile, come una proposta di Paese credibile, una soluzione alle difficoltà, prodotto della sua stessa incapacità politica di leggere la società venezuelana, di capire le ragioni del chavismo, i territori e le passioni da cui si riproduce e si rinnova questo movimento storico.

Se si misura in scadenze elettorali non resta molto tempo. Le elezioni dei sindaci dovrebbero essere tra poco e le presidenziali in un anno. Se i risultati dei governatorati sono indicativi, significa che il chavismo ha possibilità di mantenersi – l’economia sarà la chiave – e la destra ha davanti più incertezze che sicurezze. Questo potrebbe tradursi nel tentativo di accelerare le azioni, per tentare di nuovo una via d’uscita con la forza o per acutizzare il logoramento della popolazione, il caos nella vita quotidiana. Uno dei piani della destra è peggiorare il quadro generale per arrivare alle contese elettorali con il maggior logoramento possibile e tradurre il malcontento in voti. Fino a questo momento ha funzionato soltanto nelle elezioni legislative del 2015, sebbene non sia l’unica spiegazione di quei risultati.

Si sa che le elezioni sono solo uno dei momenti del progetto bolivariano, che si pone l’obiettivo di costruire il socialismo del XXI secolo, un orizzonte confuso in questa fase. Ovvero, la rivoluzione è più che le imprescindibili vittorie nelle urne, è soprattutto una costruzione di potere popolare territoriale, economico, di una nuova istituzionalità comune. Lì deve tornare a volgersi lo sguardo e articolarlo insieme al livello economico. Il popolo venezuelano ha dimostrato di avere la capacità di resistere alle provocazioni armate della destra, di fronteggiare il peso dell’economia e fare i primi passi verso la società dell’avvenire.

Contro i pronostici di quelli che scommettono sulla sua caduta, il Venezuela – riprendendo l’immagine scritta da José Martí – è in piedi e ha dato una lezione storica: si può affrontare questa nuova forma di guerra e vincere. Questo rappresenta una vittoria nel soggettivo, un messaggio verso l’esterno, una dimostrazione in più del fatto che l’eredità di Hugo Chavez e il percorso protagonista della rivoluzione hanno attecchito nelle profondità del popolo umile e che da quelle zone sgorga la forza nei momenti più difficili.

* Pubblicato sul blog dell’autore hastaelnocau, traduzione a cura di DINAMOpress

Un’intervista al sociologo e analista Marco Teruggi sull’analisi del voto, realizzata da teleSUR tv