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Corpo, luogo pubblico e politico: cosa significa parlare di aborto

“L’aborto. Una storia” (Carocci, 2023) di Alessandra Gissi e Paola Stelliferi, un libro su transizioni demografiche, autodeterminazione, salute riproduttiva e accessibilità, corporeità e disciplinamento politico nell’Italia repubblicana

L’aborto. Una storia (Carocci, 2023), scritto dalle storiche Alessandra Gissi e Paola Stelliferi, è un testo che, per la prima volta in maniera così documentata e sistematica, ci racconta una storia nazionale dell’aborto. Nazionale prima che repubblicana, anzitutto perché il testo adotta una prospettiva di più lungo periodo che è utile per interrogare le continuità e i mutamenti sul piano storico-normativo e per osservare un percorso di trasformazioni non lineari nelle norme, nelle pratiche, nella loro diffusione, nell’interpretazione di liceità/illiceità, nelle pene, nella determinazione e percezione di gravità e colpa. Inoltre (e soprattutto) perché questo libro lega imprescindibilmente l’autodeterminazione riproduttivacome campo di tensione all’acquisizione di forza della costruzione di un discorso nazionale/nazionalista. 

La storia delle donne e di genere è uno strumento essenziale per decostruire gli argomenti cattonazionalfamilistici incentrati su distinzione biologica e “naturalità” dei corpi, dei ruoli, della famiglia e degli orientamenti sessuali. La ricerca storica ha svelato come nel corso del tempo, all’interno di contesti radicalmente differenti, le persone abbiano costruito famiglie diverse, fatte di una donna o di un uomo e figli, di più coppie, di persone con legami di sangue e non, di figli non biologici, di relazioni non eterosessuali e via dicendo. Allo stesso modo è stata rilevata l’esistenza di corpi e posture, di estetiche e pratiche non conformi nel lungo periodo: dinamiche che non appartengono solo alla contemporaneità ma che – verrebbe da dire “naturalmente” – hanno attraversato la storia. Una storia dell’aborto si inserisce in questa cornice e diventa a sua volta il mezzo fondamentale per ripensare i corpi come territori di incontro e scontro personale e politico; come necessario spazio di riappropriazione e rivendicazione dei propri bisogni e desideri; come luoghi di resistenza al potere ma, anche come siti contesi per la riproduzione di questo stesso potere. sua riproduzione. Quando si parla di aborto, dunque, non si parla mai “solo” di aborto, ma di culture, processi di soggettivazione, pratiche sociali, storie individuali e collettive, relazioni di potere sociale e istituzionale. 

Manifestazione di Non Una di Meno a Roma, settembre 2022. Foto di Lisa Capasso.

Un’indagine storica che abbia senso oltre il mero eruditismo – come quella alla base di questo libro – deve interrogare il passato con domande che scaturiscano dalle urgenze del presente e, in questo senso, oggi una storia dell’aborto assume una radicale importanza. A livello nazionale il rapporto tra diritto, natalità, interruzione volontaria di gravidanza (IVG), salute sessuale e riproduttiva è emerso come terreno privilegiato del conflitto politico: nei primi tre mesi della XIX Legislatura, sono state presentate quattro proposte di legge su questioni legate alla riproduzione. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha ripresentato un disegno di legge per modificare l’articolo 1 del Codice civile, proponendo di attribuire la capacità giuridica al momento del concepimento anziché al momento della nascita. Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, ha proposto il riconoscimento del concepito come parte del nucleo familiare. Il senatore di Fratelli d’Italia, Roberto Menia, ha suggerito l’attribuzione di soggettività giuridica agli embrioni sin dal momento del concepimento. Infine, un disegno di legge presentato al Senato dal capogruppo di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, e dalla senatrice Isabella Rauti, ha sollecitato l’inserimento della “Giornata della vita nascente”, «per valorizzare l’accoglienza di ogni nuova vita, per incoraggiare e sostenere la scelta di diventare genitori». I cosiddetti movimenti pro vita sono gradualmente cresciuti e, dagli anni Zero, hanno costruito una nuova (e più subdola) retorica, che si appropria dei temi pro aborto e ne ribalta il significato. La libertà di autodeterminazione viene raccontata come “libertà di non abortire”. Questa narrazione non tiene conto della concreta difficoltà per avere accesso a un aborto libero, sicuro e gratuito in Italia. Non considera, inoltre, i rapporti di forza sociale e politica – a favore dei pro vita, emblema di un ordine patriarcale costituito e di una progettualità nazionalfamilistica e ultracattolica – e ragiona solo in termini di scelte individuali, mentre il diritto all’IVG continua a essere sotto attacco, in Italia e non solo. I gruppi pro vita si sono organizzati a livello internazionale e la perfetta rappresentazione di questo neo movimentismo è stato il World Congress of Families tenutosi a Verona nel 2019, che aveva tra gli sponsor: ProVita Onlus, Difendiamo i nostri figli, Generazione famiglia (Le Manif pour tous) e CitizenGo. In prima fila presenziavano Matteo Salvini, Lorenzo Fontana, Luca Zaia, Simone Pillon. Tra gli organizzatori erano stati coinvolti anche lo statunitense Brian Brown, legato a Donald Trump, e Allan Clarson, ideatore del Congresso mondiale delle famiglie ed ex-funzionario dell’amministrazione Reagan. 

Il carattere apparentemente moderato dei toni attualmente utilizzati dai pro vita e compagnia non rende meno minacciosa la pragmaticità delle offensive contro il diritto alla salute sessuale e riproduttiva a livello globale. Il 22 ottobre 2020 il Tribunale costituzionale polacco ha imposto un divieto di aborto quasi assoluto: sono oltre sei le donne morte per aborto negato e incalcolabili i rischi ai quali incorrono le donne costrette alla clandestinità. Oltre oceano il 24 giugno 2022, dopo 49 anni di tutela dell’aborto, la Corte Suprema degli Stati uniti ha ribaltato la sentenza Roe vs Wade permettendo ai vari Stati di legiferare in materia: sono all’incirca dodici gli Stati che hanno già completamente o quasi abolito la possibilità di interrompere la gravidanza. 

Tornando alle correlazioni storiche (oltre che attualissime) tra nazionalismo e disciplinamento dei corpi, nel testo si parte dal tardo Settecento, quando al “non nato” vennero progressivamente assegnati i caratteri di “persona”, cioè di individualità distinta che vive nel grembo materno e alla quale sono ben presto riconosciuti attributi di cittadinanza. In quegli anni il medico legale Johann Peter Frank coniò l’espressione “cittadino non nato” e sostenne un ruolo più attivo dello Stato nella difesa della vita fetale. Nel corso del secolo successivo e a inizio Novecento i ragionamenti politici e cattolici sul controllo delle nascite si fecero più espliciti e stringenti, accompagnandosi a una diffusa valorizzazione pubblica della maternità. In Italia, durante il fascismo questi passaggi diventarono giuridicamente evidenti. Il  nuovo Codice penale Rocco, promulgato nel 1930, statuì che «l’oggetto giuridico del reato d’aborto procurato» diviene esplicitamente «l’interesse dello Stato», secondo il titolo X, dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe.

Contemporaneamente la Chiesa cattolica, con l’enciclica Casti connubii di Pio XI (1930) – che concepiva il matrimonio come diritto primario e naturale ancorato alla dimensione procreativa – portò a termine un’articolazione del discorso in materia di morale coniugale e disciplina della sessualità che ebbe influenza duratura in uno spazio pubblico amplissimo. Le autrici, quindi, hanno cercato di dipanare l’ordine complesso costituito da modelli normativi e ricezioni multiple di pratiche disciplinanti prima dell’avvento repubblicano, per poi addentrarsi nei primi decenni della storia della repubblica e ricostruire, a partire dall’immediato dopoguerra, il tortuoso e contraddittorio percorso che portò all’approvazione della legge 194/978. Infine, hanno riflettuto sul fallito tentativo di abrogazione del 1981, sulla possibilità di obiezione di coscienza per gli operatori sanitari, sull’applicazione e sule declinazioni della legge fino a tempi più recenti. Credo occorra aggiungere qualche elemento sulle criticità di una legge, la 194, che storicamente ha rappresentato il punto di arrivo di un percorso di lotta ma, nondimeno, l’esito di equilibri e compromessi politici.

Si pensi che già in premessa il testo si pone come strumento per riconoscere il valore sociale della maternità e tutelare la vita umana dal suo inizio.

Inoltre, pur essendo consentito l’aborto entro i tre mesi, viene comunque paternalisticamente sottolineata la condizione di «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». Si invitano anche i consultori a contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza e, nel caso non vi sia urgenza per verificato immediato pericolo per il soggetto che vuole abortire, è previsto un invito a soprassedere entro sette giorni. Questa legge era già lacunosa e problematica e lo è a maggior ragione oggi: è impostata in chiave emergenziale e inquadra l’aborto sempre ed esclusivamente come un’eccezione, distinguendolo da tutte le altre forme di controllo delle nascite come la contraccezione. Pertanto, per quanto sul piano teorico dovrebbe garantire l’accesso all’aborto, sul piano pratico lo rende frequentemente assai complesso. È questa stessa legge a prevedere l’obiezione di coscienza, pur negando l’obiezione di struttura sanitaria. Tuttavia, c’è una difficoltà fattuale, per chi voglia abortire, di non intercorrere in un’obiezione di struttura a causa dell’altissima quantità di obiettori in Italia. La 194 dovrebbe dunque essere messa in discussione non per renderla ulteriormente limitante ma per pretendere molto di più.  

Manifestazione donne per la legge sull’aborto, via Roma, Torino, 1970 (Giuseppe Garelli, Wikimedia commons)

Riconferire storicità all’aborto ha permesso alle due storiche di contrastarne la diffusa narrazione metastorica e l’inscrizione dentro valori netti, orientamenti e principi religiosi ed etico-filosofici immutabili, astorici, universali, assoluti. Senz’altro il testo ha adottato principalmente una prospettiva istituzionale ma, grazie al contributo di una ricca storia sociale delle donne e di genere, è emerso anche un ragionamento più complesso sul rapporto tra meccanismi e articolazioni sociali del potere, sulle risorse e sulle alternative che si sono mosse dal basso. Nel testo si evidenziano esperienze come quelle dei consultori autogestiti femministi: a Milano il consultorio della Bovisa; a Padova il Centro per la salute della donna legato al collettivo Lotta femminista; a Venezia il Gruppo salute; a Roma dapprima il consultorio di via dei Sabelli, aperto da Simonetta Tosi nel quartiere di San Lorenzo, e poi altri gruppi nati all’interno dei collettivi di quartiere. Queste realtà elaborarono strumenti utili per affrontare direttamente anche i problemi delle interruzioni di gravidanza clandestine con la formazione di nuclei di autogestione delle pratiche abortive. La storia, trasmissione, socializzazione di queste pratiche e saperi hanno costituito un bagaglio ed eredità di enorme potenziale trasformativo. 

Ancora oggi, vi sono significative esperienze auto organizzate che rivestono un ruolo cruciale nella tutela della salute riproduttiva, come ad esempio Obiezione Respinta (OBRES), nata nel 2017 grazie ai collettivi transfemministi di Pisa e a Non Una di meno (NUDM). OBRES si distingue soprattutto per le sue attività informative, di formazione su salute sessuale e riproduttiva e gestisce una piattaforma online che offre una mappatura dei servizi ginecologici e ostetrici disponibili sul territorio. Questo lavoro è stato ed è reso possibile dall’iniziativa dal basso delle persone che si sono dovute confrontare con l’obiezione di coscienza e con le altre difficoltà di accesso al diritto alla salute sessuale e riproduttiva. La mappa indica, per ogni regione, quali ospedali e consultori (ma anche, ad esempio, farmacie per la vendita della pillola del giorno dopo) rispettano correttamente la legge, garantendo il servizio di IVG.

Attraverso un sistema di segnalazione (verde per le strutture conformi alla legge, rosso per quelle non conformi e viola per le strutture di emergenza), gli utenti possono individuare facilmente le opzioni disponibili. Inoltre, è possibile segnalare esperienze personali di difficile accesso all’IVG attraverso i social media, e-mail o per via telefonica e chiedere supporto per accompagnamenti nelle pratiche abortive. La mappa è sempre aggiornata integrando le varie esperienze e mostrando la cronologia dei fenomeni, anche per verificare se nel tempo siano o meno cambiati gli approcci delle diverse strutture. Queste operazioni sono particolarmente importanti poiché non esiste alcun registro pubblico delle persone obiettrici nei territori e, dunque, non esiste modo alternativo alle denunce delle esperienze dal basso per conoscere l’impatto e la diffusione di un problema che esiste, che è strutturale e che oggi trova in modo ancor più evidente il sostegno delle forze politiche istituzionali. 

Infine, per concludere, mi sembra importante riprendere un ragionamento introdotto da Gissi e Stelliferi a conclusione del libro e che ci riporta alla pandemia COVID-19 e al primo lockdown.  La pandemia ha reso ulteriormente complicato e disomogeneo l’accesso alle pratiche mediche, anche quelle considerate essenziali come IVG e ha evidenziato visibili e profonde contraddizioni nel Servizio sanitario nazionale (SSN). Il quadro normativo previsto dalla legge 194 – che prevede una serie di procedure articolate e vincolate all’accesso agli ospedali o ai consultori – si dimostrava inadeguato a garantire una prestazione non differibile in un contesto in cui era fondamentale evitare spostamenti e ingressi in ospedale. Il 2 aprile 2020 la rete italiana pro choice ha promosso un appello per esortare a modificare le linee di indirizzo sull’aborto farmacologico e promuovere la telemedicina. Con aborto farmacologico si intende una procedura di interruzione volontaria di gravidanza che avviene tramite l’impiego di due farmaci, il mifepristone e il misoprostolo, assunti a distanza di 48 ore. 

Con telemedicina, si fa riferimento a una prestazione medica che si avvale dell’uso di moderne tecnologie (video, chiamate, servizi online). Nello specifico si chiedeva di ammettere al trattamento le gestanti fino alla nona anziché la settima settimana e di eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario in favore del day hospital. A supporto di queste richieste si segnalava che il regime ambulatoriale era ormai in uso in molti paesi europei dove, tra l’altro, si prevedeva un primo e unico passaggio in ospedale o in consultorio per assumere il mifepristone, dopo quarant’otto ore, la somministrazione a domicilio di un altro principio attivo, la prostaglandina. Le indicazioni furono parzialmente accolte nelle Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine, emanate il 4 agosto 2020 dal ministro Speranza ma, tuttavia, benché fosse stata accolta l’esortazione ad agevolare l’accesso all’aborto farmacologico non valse lo stesso per il principio di autogestione (ausiliato in telemedicina) e, dunque, l’aborto at home.

D’altro canto, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), oltre a legittimare aborto farmacologico e telemedicina aveva esplicitamente indicato l’autogestione dell’aborto farmacologico come una delle modalità con cui una gravidanza può essere interrotta entro la dodicesima settimana di gestazione e, nel marzo 2022, aveva già introdotto nuove linee guida che, però, in Italia sono state accolte solo parzialmente – non è stato integrato l’aborto farmacologico in telemedicina tra i servizi disponibili del SSN. Recentemente e per rispondere a queste problematiche, la rete pro choice ha elaborato un vademecum, cioè una guida pratica per un aborto libero e informato. In più, sono stati elaborati più approfonditi studi clinici su una nuova tecnica abortiva in sperimentazione clinica. Sembra infatti che la pillola abortiva, Mifepristone, potrebbe essere utilizzata anche come pillola del giorno dopo e come contraccettivo settimanale. Se le analisi confermeranno la possibilità di registrare e distribuire il Mifepristone come contraccettivo, esso potrà essere assunto una volta alla settimana per evitare di rimanere incinta, mettendo in discussione la stessa differenza tra contraccezione e aborto. Questo consentirebbe grande flessibilità grazie ai diversi usi possibili del medicinale, come contraccettivo settimanale, come metodo su richiesta utilizzato prima o dopo il rapporto sessuale o come metodo di aborto medico precoce. Esistono diversi orizzonti di possibilità e di cura che, ancora una volta, muovono da un’urgenza reale e collettiva e dalla capacità organizzativa dal basso, che ha una sua storia e un suo presente.

Immagine di copertina: particolare di un manifesto promosso dal Partito di Unità proletaria e Movimento Lavoratori per il Socialismo in occasione del referendum sull’aborto (Fondo Giuffredi, Centro Studi Movimenti di Parma, Wikimedia commons)