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Cosa c’è dietro il commercio di fiori? Prospettive dal Sud-America

Durante alcune festività tradizionali le strade si riempiono di fiori. Tanti colori accesi e vivissimi che colorano le nostre città, dietro i quali si nasconde lo sfruttamento di lavoratrici e ambiente

Molte feste tradizionali si celebrano cospargendo le strade di fiori. A differenza di quello che normalmente si pensa questi fiori non sono prodotti in campi a noi vicini, ma vengono da molto lontano, e affrontano un lungo viaggio a condizioni molto speciali.

I principali paesi produttori ed esportatori di fiori sono la Colombia, l’Ecuador e in parte minore l’Olanda. La campagna Tras las Flores (Dietro i Fiori), nata tra la Colombia e la Spagna, cerca di svelare i retroscena del commercio dei fiori proprio durante i giorni in cui questi ultimi riempiono le strade dei paesi del “Nord del mondo”, mentre i campi dell’America Latina sono inondati da lacrime e sangue.

Una delle festività intorno a cui si è sviluppata questa campagna è Sant Jordi in Catalogna. Secondo la leggenda, il cavaliere San Giorgio salvò la principessa del regno e tutta la sua gente da un drago feroce, trafiggendolo con la spada. Dal sangue del drago nacquero le rose più rosse che si fossero mai viste prima. Da quel giorno ogni 23 aprile le strade delle città catalane vengono si riempiono di rose, le più rosse che si possono avere, e gli innamorati si regalano questo fiore.

Secondo il Mercat de les Flors, durante la festa di Sant Jordi del 2018 sono state consumate circa 7 milioni di rose. La Colombia ne ha esportato il 71%, l’Olanda il 15% e l’Ecuador il 9%, mentre solo il 5% è stato prodotto localmente.

Come leggiamo nel Manifesto che lancia la campagna, nata da attiviste indipendenti, articolate intorno alla floricoltura della Sabana de Bogotá (Colombia): «I fiori hanno una carica simbolica che è stata costruita socialmente e storicamente in relazione all’estetica del bello, del fragile, di ciò che abbellisce, anche di ciò che fa innamorare, di ciò che viene regalato, di ciò che accompagna le persone morte. Questo carico simbolico è stato sfruttato da grandi aziende che oggi promuovono il consumo di massa, che aumenta nelle feste tradizionali, come Sant Jordi, catalogato come il giorno più romantico dell’anno in Catalogna, e in altre feste create dal mercato capitalista globale, come San Valentino. Così, questo mercato ha fatto dei fiori recisi un prodotto che di per sé ha un tempo di utilizzo ridotto, un simbolo di sfruttamento».

 

La produzione di fiori in Colombia occupa principalmente donne, sottoposte a giornate di lavoro lunghe fino a 16 ore, esposte a prodotti chimici tossici e pesticidi, costrette a posture corporee dannose e movimenti ripetitivi che danneggiano gravemente la loro salute, oltre a essere sottoposte a un enorme carico di stress lavorativo soprattutto nei periodi di picco della produzione.

Non sono solo le lavoratrici a risentire di questo modo di produzione, ma un intero ambiente naturale e sociale. La monocoltura di fiori distrugge la biodiversità, mettendo a repentaglio la sovranità alimentare, avvelenando la terra e l’acqua con l’uso massivo di pesticidi. Le aziende floricole hanno privatizzato l’acqua senza alcuna restrizione, e la esportano accumulata nei gambi dei fiori. «Il settore florovivaistico raggiunge un consumo di 54,8 milioni di metri cubi d’acqua all’anno, il che ci mostra una grande pressione sulle riserve idriche (…).Circa 400 aziende occupano 6.700 ettari nel paese, di cui la stragrande maggioranza (73%) si trova nella Sabana vicino a Bogotà».

Questo è ciò che da anni movimenti, organizzazioni sociali e sindacati dei paesi produttori definiscono estrattivismo della terra e dei corpi, che trova nel commercio dei fiori una condensazione materiale e simbolica, attorno alla produzione di «una natura priva di vita, i fiori».

Il manifesto si conclude invitando a smettere di consumare prodotti, che come questo, sono frutto di una storia di sfruttamento. Si aspira a celebrare la festa con metodi alternativi che diano spazio alla creatività collettiva, alla cultura locale, e che producano un reale incontro tra i popoli, diventando consapevoli di come le cose che si consumano sono prodotte. Ma «finché questo consumo avviene, è molto importante che venga effettuato in modo consapevole. Per questo motivo, ci appelliamo ad un consumo che mette in discussione quei processi produttivi che sostengono lo sfruttamento e cominci a scommettere su un consumo equo e sostenibile».

La campagna, quindi, nasce con l’obiettivo di rendere le popolazioni del nord globale, in particolare quella catalana, coscienti di ciò che comporta il consumo massivo di fiori. In questa epoca di disastro socio-ambientale è necessario guardare oltre i nostri confini, sociali, politici e territoriali. E anche una campagna con lo scopo di sensibilizzare la popolazione in questi tempi è una scommessa d’amore. Nell’epoca del terrore, delle incertezze, del “miedo liquido” far incontrare le due sponde dell’oceano Atlantico è un processo che può aprire a piccoli e grandi cambiamenti.

“No es el negocio de las flores, sino el de las vidas,
donde se negocia la salud, el alimento,
el buen vivir y la felicidad”

Jonathan Prieto, hijo de una trabajadora de Flores.

 

“Non è il commercio dei fiori, ma quello delle vite,
nel quale si negoziano la salute, il nutrimento,
il buen vivir e la felicità”

Jonathan Prieto, figlio di una lavoratrice di Fiori

 

Leggi il manifesto di Tras las Flores in italiano: qui

Leggi l’approfondimento sul commercio internazionali dei fiori a cura di Tras las Flores in italiano: qui

 

Foto di Tras las Flores. Traduzioni a cura di Dinamo Press