ROMA

Aec di nuovo in sciopero: è il giorno decisivo per l’internalizzazione

Un invito rivolto a tutta la cittadinanza romana a sostenere la lotta degli Assistenti Educativi Scolastici e di partecipare alla giornata di mobilitazione del 16 ottobre in Campidoglio, per dichiarare che sui servizi essenziali e sui diritti di lavoratori non si lucra

Il conto alla rovescia degli Assistenti Educativi di Roma verso il 16 ottobre è iniziato da ormai qualche settimana: in questa data verrà messa ai voti in Consiglio comunale la Delibera di iniziativa popolare per la reinternalizzazione del servizio di assistenza scolastica, da anni concesso in appalto a cooperative. A testimoniare l’urgenza del provvedimento e il sostegno dei cittadini alla proposta sta il numero incredibile di firme che gli Aec hanno raccolto per sottoscriverla: più di 12 mila.

Il Comitato romano Aec, promotore della Delibera, la cui approvazione rappresenta l’obiettivo stesso per il quale si è costituito, parla senza mezzi termini di una “giornata storica” per la città di Roma e non solo: un esito positivo che, infatti, oltre a restituire dignità a più di tremila lavoratori romani, ora sottoposti a condizioni di vero e proprio sfruttamento, segnerebbe un dato politico e simbolico importantissimo e potrebbe dare il via a un processo di ripubblicizzazione dei servizi, che negli ultimi decenni sono stati uno dopo l’altro esternalizzati e assegnati alla gestione di privati. Per questo motivo sono in tanti (lavoratori, sindacati di base, famiglie, cittadini) a guardare da tutta Italia al 16 ottobre come a una data cruciale e a esprimere in questi giorni la propria solidarietà alla battaglia degli Aec.

 

Il risultato della votazione non è però affatto scontato: se a parole tutti gli schieramenti politici si sono dichiarati favorevoli di principio alla reinternalizzazione dell’assistenza scolastica, bisognerà vedere se, alla prova dei fatti, gli Assessori che compongono l’Assemblea capitolina avranno il coraggio di mettere fine a decenni di malaffare, sprechi di denaro pubblico e convergenza di interessi tra politica e cooperative romane.

 

Se si è finalmente concretizzata la possibilità di spazzare via un sistema inefficiente, che finora ha generato solamente precarietà e disservizi, il merito è senz’altro delle lotte e dell’impegno profusi dagli Aec di Roma, per raggiungere un obiettivo liquidato da alcuni (i sindacati confederali, per esempio) come utopico e poco realistico. Ma a determinare ciò che rimane utopia e ciò che, invece, da idea si trasforma in realtà non è, fortunatamente, l’opinione di qualche dirigente sindacale dagli interessi poco trasparenti, bensì i rapporti di forza e l’intensità delle lotte messe in campo: gli Aec romani questo lo hanno capito e tradotto in fatti, prima con la straordinaria mobilitazione per la raccolta delle firme necessarie a portare la Delibera in Campidoglio, poi con la tenacia con la quale hanno continuato a perseguire il loro obiettivo, nonostante le pressioni delle cooperative, preoccupate di dover dire addio al loro redditizio business.

Negli ultimi mesi infatti il conflitto si è fatto particolarmente aspro. Dopo il grande sciopero del 12 dicembre scorso, quando centinaia di Aec si sono riversati rumorosamente sotto il palazzo del Campidoglio, gli ostacoli si sono moltiplicati: da una parte si è manifestata sempre più apertamente, in modo proporzionale alla paura delle cooperative di essere messe fuori gioco, l’ostilità da parte dei datori di lavoro verso gli operatori in lotta, dall’altra il sopravvenire della pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza e allargato le crepe e le contraddizioni sulle quali si fonda da anni il sistema dell’assistenza scolastica.

 

 

In assenza di interventi economici efficaci e radicali da parte delle istituzioni, con la chiusura obbligata delle scuole a inizio marzo, gli Aec si sono ritrovati senza stipendio e gli studenti con disabilità, utenti del servizio, senza diritto all’assistenza. La vergognosa toppa pensata dall’Assessorato alle politiche sociali, la domiciliarizzazione del servizio, è stata respinta categoricamente dai lavoratori ed è dunque stata presto ritirata: ancora oggi appare surreale anche solo l’idea di un provvedimento che, oltre a snaturare totalmente il lavoro scolastico e pedagogico degli Aec, avrebbe costretto tremila Assistenti Educativi a passare di casa in casa, senza tutele né protocolli di sicurezza, proprio mentre un’emergenza sanitaria senza precedenti obbligava le aziende ad attivare lo smart working e la popolazione a restare a casa per limitare la diffusione del contagio.

 

La parziale vittoria riportata con la marcia indietro del Comune non ha però segnato una reale inversione di rotta. Rifiutandosi di applicare una legge nazionale, il decreto Cura Italia, nella sua parte (art. 48, comma 2) che consentiva di retribuire gli operatori con i soldi già stanziati per l’intero anno scolastico dai Municipi in favore delle cooperative, il Comune ha anzi esposto gli operatori a mesi di povertà, nonché in molti casi di disperazione. Alcuni di loro sono del resto ancora oggi in attesa della cassa integrazione.

 

La riapertura delle scuole a settembre ha visto poi, come ampiamente prevedibile, l’emergere di ulteriori criticità, a partire dal mancato rinnovo, da parte di alcune cooperative e in spregio alla continuità educativa, del contratto degli operatori che più si erano esposti per la difesa dei propri diritti. Si è inoltre pensato bene di non predisporre alcun protocollo comune relativo al lavoro degli Aec a tutela della salute di operatori, utenti e comunità scolastiche: la gestione della sicurezza è stata così delegata proprio a quelle cooperative che hanno sempre mostrato di essere più interessate a racimolare profitti che a garantire la qualità del lavoro, oltre che alle singole istituzioni scolastiche già messe in ginocchio da decenni di definanziamento e quindi impreparate a fronteggiare in autonomia una situazione tanto complessa.

Così per gli Aec l’anno è ricominciato all’insegna dell’invisibilità e dello sfruttamento: costretti a spostarsi di classe in classe, rischiando anche di farsi involontariamente veicolo di contagio, ad alcuni di loro non è stato nemmeno comunicato che la classe in cui lavoravano era stata messa in quarantena per via della positività di un alunno, come se non esistessero.

Se però c’è una cosa che hanno imparato gli Aec romani in questi ultimi anni è l’importanza del disabituarsi alla schiavitù e a una quotidianità fatta di soprusi e ordinaria follia. Gli Aec hanno quindi deciso di trasformare la loro condizione e, dopo aver disertato le aule il primo giorno di scuola, dopo aver partecipato allo sciopero del comparto scolastico del 24 settembre, venerdi 16 ottobre si recheranno ancora una volta in massa al Campidoglio per raccogliere, stavolta definitivamente, i frutti della loro lotta: la fine del sistema degli appalti e il ritorno alla gestione pubblica del servizio, dunque a un lavoro degno e tutelato.

 

Non basterà il divieto dello sciopero per la giornata del 16, deciso poco democraticamente dalla Commissione di Garanzia, a fermare la mobilitazione degli Aec, ormai decisi a far sì che situazioni come quelle denunciate quotidianamente dal Comitato, e in parte descritte in quest’articolo, non si verifichino più e i lavoratori non si trovino più costretti a scegliere tra lo stipendio e la salute, tra il mantenimento del posto di lavoro e la difesa della propria dignità.

 

La piazza rimane confermata a partire dalle ore 12, perciò l’invito rivolto a tutta la cittadinanza romana, e a chiunque abbia a cuore le sorti dei servizi pubblici, è quello di sostenere in questo ultimo passaggio la lotta degli Assistenti Educativi Scolastici e di partecipare alla giornata di mobilitazione del 16 ottobre in Campidoglio, per dichiarare a gran voce che sui servizi essenziali e sui diritti di lavoratori non si può lucrare.