ROMA

Colonialismo e massacri non fanno eroi

«Sopra questa violenza, sopra i confini, sopra l’industria bellica, sopra ogni esercito, sopra l’ipocrisia del 2 giugno militare che parla di “inclusione”, sul patriarcato abbiamo allora deciso di danzare leggeri. Abbiamo messo il tutù come Michael Caffrey, perché la memoria non ci inganna»

Rimuovere il passato significa manipolare il presente e chi detiene il monopolio del potere e della forza lo sa benissimo. I casi del colonialismo e del fascismo italiani sono là a testimoniarlo. Tuttavia la rimozione non funziona se non accompagnata da un’accurata opera di abbellimento e di fantasiosi taglia-incolla: il revisionismo storico – soprattutto nelle forme assunte negli ultimi trent’anni – ha contribuito alla formazione di un tessuto sociale non più antifascista ma solamente a-fascista. Il risultato è sotto i nostri occhi: criminalizzazione delle fasce vulnerabili e marginalizzate – preferibilmente quelle considerate “straniere” – e di chi le supporta, esaltazione della vendetta in punta di pistola, repressione organizzata.

Il processo di rimozione sa essere subdolo e l’odonomastica ne è un chiaro esempio: le strade che attraversiamo e le piazze che viviamo sono spesso dedicate a vicende e personaggi che possono essere incensati proprio grazie al revisionismo storico. Roma ne è piena: dall’obelisco del Foro Italico al Monumento ai caduti dell’arma del genio, passando per la Colonna in via del Mare a Lido di Ostia.

Tra queste ci sono anche piazza dei Cinquecento e l’obelisco di Dogali. Chi sono i cinquecento? Cosa è successo a Dogali? I cinquecento – in realtà 548 – furono gli italiani uccisi durante la battaglia di Dogali del 1887, all’interno delle prime scorribande coloniali dello stato italiano in Africa orientale. Scorribande che, alla fine del XIX secolo e poi con il fascismo, portarono all’occupazione di numerosi territori in Africa e poi in Europa. Occupazioni accompagnate da saccheggi, rapimenti, uccisioni mirate di personalità locali influenti, stragi di massa, utilizzo di armi chimiche.

Scorribande coloniali italiane che hanno abusato del corpo delle donne eritree, etiopi e somale, viste con gli occhi dell’esotismo e considerate unicamente come oggetti di scambio, oggetti sessuali, oggetti su cui scaricare con violenza qualsiasi frustrazione maschile.

Oggi chi continua a portare avanti il processo di rimozione storica sono le stesse figure che vorrebbero introdurre la leva militare obbligatoria, che foraggiano l’industria bellica per l’esportazione di armi – a partire dall’Arabia Saudita per la guerra in Yemen. Le stesse figure che continuano a considerare il corpo delle donne come oggetto sul quale esercitare potere e violenza, che vorrebbero decidere per loro. Per noi.

Sopra questa violenza, sopra i confini, sopra l’industria bellica, sopra ogni esercito, sopra l’ipocrisia del 2 giugno militare che parla di “inclusione”, sul patriarcato abbiamo allora deciso di danzare leggeri. Abbiamo messo il tutù come Michael Caffrey, perché la memoria non ci inganna. E invitiamo chiunque a danzare con noi, in qualsiasi forma possibile, sopra le piazze e le strade della rimozione.