MONDO

Colombia, ancora un massacro contro gli indigeni nel Cauca

Ancora una volta, il territorio di Tacueyó nel dipartimento del Cauca, in Colombia, è stato teatro di un massacro perpetrato da un gruppo armato. La zona, nel sud ovest del paese, è scossa da decenni dai conflitti legati al narcotraffico e dagli scontri tra paramilitari, gruppi guerriglieri e esercito colombiano.

Lo scorso 29 ottobre gruppi armati hanno teso un imboscata ad alcuni membri della Guardia Indigena, l’organo di autotutela non-armato che vigila nei territori ancestrali, togliendo la vita a 5 comuneros tra cui l’autorità Ne’h Wesx Cristina Taquinas Bautista. Pochi giorni dopo, sono stati uccisi altri quattro indigeni, poi un gruppo di giovani ingegneri e infine giovani indigeni di diversi territori del Cauca negli scorsi giorni. In tutto, sono quindici gli indigeni assassinati in pochi giorni nella zona.

 

Si tratta dell’ennesimo massacro in Colombia, dove la violenza sta di nuovo crescendo in maniera esponenziale: secondo la ONIC, organizzazione nazionale dei popoli indigeni, solo tra gli indigeni sono 120 i morti assassinati durante il governo di Duque.

 

Moltissimi altri omicidi mirati hanno colpito in questi ultimi due anni leader sociali ed ex guerriglieri che dopo gli accordi di pace hanno lasciato le armi, in totale oltre cinquecento uomini e donne assassinati: contro questa violenza da oltre due anni ci sono grandi mobilitazioni con lo slogan “Nos estan matando” (Ci stanno uccidendo). Inoltre lo scenario si è ulteriormente complicato con il ritorno al conflitto armato di una parte minoritaria delle Farc, scelta annunciata pochi mesi fa a causa del mancato rispetto degli accordi di pace da parte dello Stato. Tra le nuove pieghe del conflitto armato nuove tensioni attraversano il paese.

Meno di due settimane fa, le elezioni locali sono state caratterizzate da una significativa sconfitta dell’ultradestra al governo, con la vittoria di una alleanza progressista e di una sindaca donna e dichiaratamente lesbica nella capitale Bogotá, mentre per il 21 di novembre è stato annunciato uno sciopero generale, in cui convergeranno gli studenti universitari in mobilitazioni da settimane in tutto il paese.

Il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca – CRIC, l’organismo locale che riunisce le popolazioni indigene e afro-discendenti della regione auto-organizzandosi in assemblee locali per proteggere le comunità dalla guerra, denuncia le pratiche paramilitari di diversi gruppi armati nella zona, al collusione con il narcotraffico con l’obiettivo di seminare terrore e paura tra le popolazioni locali.

Molti leader sociali erano stati minacciati da gruppi paramilitari durante lo scorso luglio, ed avevano risposto così: «Non abbandoneremo i nostri territori, non lasceremo le nostre case».

Negli scorsi giorni, oltre agli assassinii sistematici e mirati, anche attacchi indiscriminati contro la popolazione civile e contro le ambulanze che prestano soccorso ai feriti.

 

Galleria fotografica: i funerali degli indigeni assassinati

 

 

Il governo colombiano, lungi dall’ammettere lo stato di guerra in cui versa il paese, continua a militarizzare la zona alimentando il clima di violenza (solo pochi giorni fa un rappresentante della Guardia Indigena è stato sequestrato e assassinato dall’esercito).

I movimenti indigeni, che si sono mobilitati all’inizio dell’anno per esigere al presidente colombiano Ivan Duque il mantenimento dei programmi di assistenza alle zone rurali colpite dal conflitto, subiscono pesantemente gli effetti del conflitto armato. “Ci difendiamo con i nostri bastoni” è il motto del movimento, facendo riferimento al bastón de mando, simbolo dell’unione non-armata dei popoli che si autorganizzano per proteggere le loro terre dal narcotraffico e dall’estrattivismo.

Dalla zona dell’Amazzonia al Cauca, dalla Guajira sui Caraibi fino al sud del paese, la violenza della guerra e dell’estrattivismo capitalista, del narcotraffico e della guerra continuano a colpire i popoli indigeni, gli ex guerriglieri che hanno scelto la via della pace con gli accordi non rispettati dal governo, fino ai leader e alle leader sociali che si organizzano per resistere nei differenti territori del paese.

 

Immagine di Cristina Bautista, uccisa nel Cauca.

 

Il comunicato del CRIC: Continueremo il cammino della lotta

Sotto un cielo caldo e piovoso le comunità indigene del dipartimento del Cauca hanno riportato nel grembo della madre terra i compagni della Guardia Indigena (kiwe Thegnas) Asdrual Cayapu, Eliodoro Fiscue, José Gerardo Soto, James Guilfredo Soto e la compagna Nejuex Cristina Bautista, che hanno offerto la loro vita per la difesa del territorio. Risuonano le parole d’una comunera che dichiara che «di fronte alla disarmonia che stanno attraversando come popoli indigeni, le difficoltà che stiamo vivendo sulla nostre pelle ci addolorano enormemente. Oggi il nostro popolo indigeno continuerà a resistere e ad accompagnare e a rafforzare la nostra cultura e la nostra identità».

Tutto ciò si raggiunge cominciando dalla famiglia, perché in alcuni momenti la nostra organizzazione si è dimenticata della generazione che prenderà il nostro posto in futuro ed è in essa che dobbiamo lasciare un legame di resistenza, per non dimenticare da dove veniamo.

 

La scomparsa di tanti compagni non ci spezzerà, ci renderà più forti, non ci spegneranno, continueremo nel cammino della lotta e nel nostro processo di resistenza, perché verrà una generazione che seguirà le tracce lasciate da chi oggi non c’è più.

 

Possiamo dire che questa guerra cominciata da più di 500 anni ancora non è finita, ci porterà altro dolore, ma continueremo in piedi di fronte a questa lotta, per preservare i nostri sogni e tutto quello che abbiamo costruito, per preservare e onorare la vita dei popoli e difendere il nostro territorio, perché è l’eredità dei nostri antenati e non possiamo abbandonare la difesa di tutto quello che ci hanno lasciato, da qui non ce ne andremo, qui rimarremo e molti di quelli che sono caduti continueranno a orientarci.

Perché non ci seppelliscono, ci seminano nelle viscere della madre terra per rifiorire vicino ai nostri fratelli.

Ringraziamo tutti quelli che ci hanno sostenuto e riaffermiamo che da qui non ce ne andremo, non ce ne andremo perché qui abbiamo tutto e nessuno ha il diritto di cacciarci. Lanciamo un appello alle famiglie, a tutti quelli che hanno perso dei cari, perché il loro dolore è il dolore di tutto un popolo, di tutta la comunità.

Oggi per il nostro territorio, per le persone che abbiamo perso e coscienti che il tempo non tornerà indietro continueremo fino alla fine nella lotta.

Tutte le foto sono a cura del CRIC. Traduzione del comunicato di Milos Skalal per DINAMOpress.