ROMA

Cinecittà, quattro firme per i beni comuni

È partita da qualche giorno (cartacea e online) la campagna di raccolta firme della Rete Territoriale Cinecittà Bene Comune. Durerà fin quasi a Natale, fino al 21 Dicembre, e ha un titolo semplice e chiaro: Difendi i Beni Comuni del VII Muncipio.

Di beni comuni negli ultimi anni si è parlato tanto, d’altronde, e non sorprende trovare questo termine in relazione a battaglie di cittadinanza attiva. Addirittura c’è stato chi, come Stefano Rodotà, ha avanzato l’ipotesi che la riflessione sui beni comuni, ormai acquisita in vari modi dal dibattito pubblico, sia l’unica strada possibile per una trasformazione della nostra società.

E se forse non è proprio l’unica strada, di certo è una strada valida, soprattutto in relazione alle politiche territoriali. Una strada che per Cinecittà Bene Comune (che questa vocazione riflette addirittura nel nome) è cominciata 6 anni fa, in quel momento di grande partecipazione e rivendicazione collettiva che è stata la campagna referendaria del 2011.

A ispirare la Rete è stato il senso di privazione di un diritto, avvertito in occasione della minaccia della privatizzazione di un bene tanto vitale come l’acqua. Ed è successo a Cinecittà come in altre parti del mondo: da Gezi Park in Turchia fino alla recente battaglia dei Sioux contro il gasdotto in Nord-Dakota, passando per tutte le lotte in difesa del proprio territorio che dalla Val di Susa alla Sicilia hanno caratterizzato l’Italia negli ultimi anni. Per usare le parole dei protagonisti della lotta per l’acqua di Cochabamba, in Bolivia: “Siamo stati vittime di un furto enorme pur non essendo proprietari di nulla”.

Dopo la vittoria del referendum sull’acqua, l’allora comitato ha deciso di costituirsi in maniera permanente come Rete Territoriale, perché continuava a vedere i segni di questo furto sparsi per tutta Roma: una costellazione di luoghi pubblici abbandonati, lasciati a se stessi, chiusi, sottoutilizzati o a rischio smantellamento. Solo nel VII Municipio (che vanta il primato di essere il più popoloso di Roma) possiamo annoverare alla categoria il grande Parco di Centocelle, attualmente chiuso malgrado siano già stati stanziati dei fondi per la sua riqualificazione; l’ex-deposito Atac di piazza Ragusa, un luogo enorme e attualmente abbandonato; e i Cinecittà Studios, simbolo del cinema italiano nel mondo, polo produttivo e culturale della città e del paese. Anche altre cose, all’apparenza piccole ma non meno importanti, portano i segni dello scippo subito: i poli bibliotecari comunali, ad esempio, tassello fondamentale di ogni discorso che abbia a cuore l’accessibilità della cultura, sottofinanziati da anni.

Su questi luoghi la Rete Territoriale ha nel tempo aperto delle vertenze, riportando così le prime vittorie. L’ex-deposito Atac di Piazza Ragusa, ad esempio, grazie alla costanza degli attivisti della Rete e dei lavoratori dell’Atac, è stato sottoposto a vincolo architettonico in qualità di archeologia industriale, pur essendo ancora in pericolo di essere svenduto.

Un risultato ancora più grande è stato ottenuto agli Studios di Cinecittà: dati in gestione a un privato, Abete, che ne programmava la riconversione da polo produttivo a polo commerciale e residenziale, minacciando di licenziamento i trecento lavoratori, gli Studios sono oggi tornati a una gestione pubblica. Cinecittà Bene Comune, sempre a fianco dei lavoratori, ha ottenuto infatti la salvaguardia dei posti di lavoro e il rifinanziamento del complesso da parte del Mibact, e oggi ne chiede l’apertura completa al territorio, un giorno all’anno e gratuitamente.

Questo perché la gestione pubblica non basta a rendere comune un bene: è indispensabile infatti che chi vive quei luoghi sia attivamente coinvolto nel loro utilizzo, tanto in fase di progettazione quanto in fase di salvaguardia e controllo. Perché parlare di beni veramente comuni significa ripensare anche l’uso che viene fatto delle risorse di un territorio, e immaginare un differente modello di sviluppo economico. In città che sembrano essere sempre più spesso succubi agli interessi della grande distribuzione e della cementificazione, i beni comuni rappresentano soprattutto un’occasione di investimento in settori fondamentali per aumentare quantità e qualità dei servizi, creando al contempo una grande quantità di posti di lavoro: un nuovo modello di sviluppo basato sulla salvaguardai dei diritti di tutti (cittadini e lavoratori), e su una riconversione produttiva ed ecosostenibile del patrimonio urbano.

A volte, però, persino la costante e capillare azione della Rete non può bastare. C’è bisogno che tutti coloro che negli anni hanno sostenuto le vertenze e che appoggiano le battaglie per i beni comuni manifestino la loro adesione in forma scritta: con una firma, ad esempio. La richiesta è semplice e l’obiettivo è chiaro: quattro firme per continuare a fare pressioni sulle istituzioni affinché non si rendano complici o artefici di nuovi e dolorosi furti. In poche parole, quattro firme per continuare a vincere.