ROMA

«Che vi siete persi?» In ricordo di Enzo Modugno

Giovedì 11 maggio, ore 18 presso Esc, il saluto a un mese dalla scomparsa

Nel febbraio del 1990, durante il movimento studentesco della Pantera che aveva occupato le università in tutta Italia, il manifesto pubblicò un appello scritto da Marco Bascetta, Piero Bernocchi ed Enzo Modugno, e rivolto all’intellettualità di massa. Con il nome di «intellettualità di massa» si intendeva: «chi lavora negli uffici o nelle cooperative, nella scuola o nei media, nella pubblicità o nella ricerca»; ancora, «chi sa più cose di quelle che utilizza durante il lavoro», […] «chi vede mortificata, o espropriata, la propria capacità comunicativa, la propria socialità». L’appello, che presto raccolse firme e adesione di tante e tanti, aveva dunque l’intento di prendere sul serio la radicale trasformazione del lavoro vivo; e poi di connettere, grazie alla spinta del movimento della Pantera, figure produttive ricche di competenze ma spesso sottopagate, contrattualmente e sindacalmente fragili.

Nel 1990, con la Legge del Ministro Ruberti avversata dagli studenti, si apriva una lunga stagione di riforme neoliberali del mondo dell’istruzione, poi concluso dalla Ministra Gelmini tra il 2008 e il 2010. Ed è proprio con la bozza di riforma Martinotti del 1997, a seguire Legge Zecchino-Berlinguer del 1999, che nelle aule universitarie della Sapienza, tra Scienze Politiche e Lettere, Filosofia e Sociologia, studentesse e studenti ripresero a discutere di università e mercato del lavoro, lifelong learning e contratti a termine: sempre del 1997, infatti, è il famigerato «pacchetto Treu» che avvia la precarizzazione dell’impiego in Italia. In quelle aule, invitati dai collettivi, Bascetta, Bernocchi e Modugno, tornarono a dire la loro. Fu in quelle occasioni, decisive per tante e tanti come me, che conobbi Enzo Modugno.

Tra noi due, ci fu da subito grande simpatia, anche se non c’era accordo. Nella seconda metà degli anni Novanta, rimasi folgorato dall’operaismo, quello rinnovato dai seminari parigini di qualche anno prima. Per ridurre le questioni all’osso: come l’operaismo, pensavo che il postfordismo favorisse una vera e propria riappropriazione del «capitale fisso», del «macchinario», da parte dei soggetti produttivi; non solo, dunque, l’incorporazione nel macchinario del «cervello sociale», ma, inaspettata transitività e conseguenza più radicale, l’interiorizzazione da parte del cervello dei singoli (in relazione) del macchinario. Intendendo il PC come «macchina linguistica», sembrava corretto affermare che il marxiano general intellect, più che farsi cosa, si fosse fatto cooperazione sociale diffusa, linguaggio, affetti. A differenza dell’operaismo, dunque criticandomi in modo duro, Enzo pensava invece che, in tendenza, la macchina informatica e il digitale avrebbero reificato il «cervello sociale», espropriando lavoratrici e lavoratori, che avrebbero così perso potere negoziale e salario – indubbiamente profetico, il suo sguardo sull’Intelligenza Artificiale (condensato poi in Cybercapitale, edito nel 2020 da manifestolibri).   

Tornarono i movimenti studenteschi: nel 2005, nel 2008, nel 2010. Con la sua consueta eleganza, ma non senza ironia corrosiva, Enzo distingueva nel movimento due direzioni, a suo avviso entrambe sbagliate: una euforica, convinta cioè della giustezza della posizione operaista; l’altra nostalgica, alla ricerca dei fasti dell’università voluta da Giovanni Gentile. Soltanto dopo, con la vittoria di Gelmini e la distruzione dell’università pubblica, ebbi occasione di spiegare a Enzo che, con il movimento dell’Onda, le divaricazioni degli anni Novanta (che senz’altro erano state anche quelle dei Settanta) erano state superate. Emerse nelle manif sauvage e tra i Book Bloc di allora, infatti, la consapevolezza che lavoro intellettuale e lavoro povero erano diventati sinonimi, nel Nord del mondo in generale, ma in Italia in particolare – causa permanenza della stessa sui gradini bassi della divisione internazionale del lavoro. Cominciammo dunque, Enzo e io, a intenderci di più. Rimanemmo diversi, non solo per età, ma più capaci di dialogo.

Il confronto più appassionato, però, aveva per tema un «cane morto» del Sessantotto: Jean-Paul Sartre. La passione di Enzo per Critica della ragione dialettica fu per me contagiosa. In particolare, a lui premeva farmi comprendere che la dialettica tra «gruppo in fusione» e «fraternità-terrore» (non tanto il giacobinismo, quanto la pietrificazione rancorosa della vita dei gruppi, dei gruppi organizzati del movimento) è sempre dietro l’angolo. Una lezione, che lui evidentemente apprese col Sessantotto e poi col Settantasette, e che io pure appresi col tempo e con l’esperienza. È decisivo precisare che la dialettica in questione non sollecitava cupezza. Parlando del Sessantotto, cinquant’anni dopo, Enzo infatti non smetteva di ripetere al giovane pubblico: «che vi siete persi?»    

La tua critica, caro Enzo, sempre priva di euforia ma non per questo rassegnata, anzi teatrale e sarcastica, mi mancherà. Ci mancherà.

La foto di copertina è di Riccardo Siano, manifestazione del Coordinamento Disoccupati organizzati a Napoli (1975-1977), da Wikimedia commons