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Cessate il fuoco, a Gaza è rischio genocidio: la denuncia delle agenzie Onu

«Siamo fermamente convinti che la popolazione palestinese corra il rischio concreto di subire un genocidio. È necessario agire immediatamente»: in un comunicato le agenzie ONU e varie ONG chiedono il cessate il fuoco immediato per evitare la catastrofe a Gaza

«We need an immediate humanitarian ceasefire», «è necessario un cessate il fuoco immediato per ragioni umanitarie». Apre così la dichiarazione del coordinamento inter-agenzie (IASC, Inter-Agency Standing Committee) delle Nazioni Unite per gli affari umanitari a Ginevra, datato 5 novembre.

La dichiarazione, sottoscritta da tutti i rappresentanti delle varie agenzie ONU, nonché da diverse ONG, offre un resoconto impietoso e catastrofico della situazione in corso nella Striscia di Gaza dove, stando a quanto riportato, «9.500 persone hanno perso la vita, di cui 3.500 bambini e più di 2.400 donne», mentre sarebbero più di 23.000 i feriti bisognosi di cure in ospedali sovraffollati e al limite del collasso.

«Un intero popolo è assediato e sotto attacco, non ha accesso a beni essenziali per sopravvivere, è sottoposto a bombardamenti nella propria abitazione». Il coordinamento inter-agenzie delle Nazioni Unite riporta come neanche luoghi di culto e ospedali vengano risparmiati dall’offensiva israeliana.

Si è registrato inoltre il più alto numero di vittime tra i soccorritori ONU coinvolti in aree di conflitto fra i quali, dal 7 ottobre scorso, hanno perso la vita 88 membri dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi.

La dichiarazione del coordinamento riprende in parte un comunicato emesso il 2 novembre scorso dall’OHCHR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, agenzia che si occupa di proteggere i diritti umani garantiti dal diritto internazionale e previsti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, siglata nel 1948 dagli stati membri dell’ONU.

Il comunicato è stato elaborato in maniera congiunta da alcuni esperti delle Nazioni Unite (tra cui Paula Gaviria Betancur, special rapporteur per i diritti umani delle persone sottosposte a diaspora interna, e Francesca Albanese, special rapporteur sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 1967, nonché la loro omologa, Ashwini K.P., che si occupa di vigilare sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia) e riporta in maniera inequivocabile la tragicità degli eventi in atto: «Siamo fermamente convinti che la popolazione palestinese corra il rischio concreto di subire un genocidio. È necessario agire immediatamente. Gli alleati di Israele condividono parte di questa responsabilità e devono agire ora per impedire conseguenze disastrose».

Gli esperti hanno condannato esplicitamente gli attacchi israeliani sul campo profughi di Jabalia, iniziati martedì 31 ottobre a nord di Gaza, in cui centinaia di palestinesi sarebbero rimasti feriti e uccisi, e li hanno definiti una violazione lampante del diritto internazionale, esprimendo «profondo orrore» alla notizia del bombardamento di un complesso residenziale situato nel campo di Jabalia. Non hanno esitato a definire tale attacco un crimine di guerra.

«Attaccare un campo che ospita civili, tra cui donne e bambini, rappresenta la totale inadempienza a tutti i principi di proporzionalità e distinzione tra combattenti e civili», principi fondamentali sanciti dal diritto internazionale umanitario i quali, sostengono gli esperti, rimarrebbero inattuati nel conflitto in corso.

Questo nonostante la recentissima risoluzione per la protezione dei civili e il rispetto degli obblighi legali e umanitari, attraverso la quale l’Assemblea Generale dell’ONU (approvata il 27 ottobre con 120 voti a favore e 45 astenuti, tra cui l’Italia) ha inteso richiamare le parti coinvolte nel conflitto al rispetto pieno e immediato di quanto stabilito del diritto umanitario e garantire, tra l’altro, l’ingresso di aiuti per i civili a Gaza.

Gli esperti hanno inoltre commentato i resoconti di civili costretti a bere acqua marina, in assenza di acqua potabile (a causa della distruzione delle infrastrutture idriche dovute ai bombardamenti, al momento attuale, due milioni di persone nella Striscia non avrebbero accesso all’acqua potabile) definendoli agghiaccianti, come agghiaccianti sono le notizie di pazienti sottoposti a interventi chirurgici senza anestesia e di persone disabili rimaste senza abitazione. 

«La situazione a Gaza è all’apice della catastrofe», incalzano, insistendo sull’urgente bisogno di cibo, acqua, farmaci, carburante e beni di prima necessità per scongiurare rischi ancora più gravi per la salute della popolazione gazawa. Sia il comunicato che la dichiarazione del coordinamento inter-agenzie fanno inoltre esplicita menzione della richiesta di rilascio immediato di tutti i civili tenuti in ostaggio a partire dal 7 ottobre, «quando militanti di Hamas hanno attaccato alcune comunità israeliane. Tutte le parti coinvolte devono adempiere ai rispettivi obblighi secondo le leggi internazionali in materia di diritti umani ed emergenze umanitarie. Pretendiamo un cessate il fuoco umanitario che consenta agli aiuti di raggiungere le persone che ne hanno maggiore necessità. Cessare il fuoco comporterebbe inoltre l’apertura di canali di comunicazione per il rilascio degli ostaggi», riporta il comunicato.

Entrambi i documenti chiedono che sia inoltre garantita la sicurezza di operatrici e operatori umanitari, giornaliste e giornalisti, che i canali di comunicazione con l’esterno siano ristabiliti, così come la protezione di ospedali, rifugi e scuole.  Il cessate il fuoco per ragioni umanitarie è necessario e urgente e il momento di agire per scongiurare il genocidio della popolazione gazawa è adesso. Non c’è più tempo. «Enough is enough», leggiamo nella dichiarazione IASC. Enough is enough.

Immagine di copertina ed immagine nell’articolo di Wafa (APAimages)‏‏ da wikimedia commons