EUROPA

Cartolina dalla Barcellona post-attentato

Racconto breve degli eventi che sono seguiti all’attentato di giovedì scorso e di come i movimenti sociali della città hanno vissuto queste giornate.

Barcellona, giovedì 17 agosto 2017. Poco dopo le cinque del pomeriggio un furgone bianco sale sulla parte centrale della Rambla e percorre circa 600 a tutta velocità, investendo passanti e seminando il terrore. Il bilancio è (per ora) di quattordici morti e circa cento feriti.

Intorno alla mezzanotte dello stesso giorno, a Cambrils, importante località balneare ad un paio d’ore dalla capitale catalana, un’Audi A3 ripete l’esperimento provando a scagliarsi contro i passanti del lungo mare, ma viene intercettata da una pattuglia dei Mossos d’Esquadra, che la neutralizzano a colpi di arma da fuoco. Già nel pomeriggio l’ISIS aveva rivendicato l’attentato [1]. Con questi episodi la Spagna ritorna dunque nel mirino del terrorismo jihadista, a distanza di tredici anni dagli storici attentati dell’11M a Madrid [2], le cui ripercussioni sulla politica interna condussero alla fine del governo di Aznar e all’elezione del socialista Luis Zapatero [3].

La situazione è al momento ancora molto confusa e talvolta soggetta a speculazioni arbitrarie. Si sa ancora poco su chi siano gli attentatori, su che legami intrattenessero effettivamento con lo Stato Islamico e su che piano avessero in mente. La stessa dinamica degli eventi conserva tuttora diversi punti oscuri.

Si tratta di una confusione iniziata già a partire dai minuti successivi all’attentato, con la circolazione (soprattutto attraverso messaggi telegram e whatsapp) di notizie rivelatesi in un secondo momento false, sebbene siano state per ore sui periodici online. Si parlava di ostaggi in un bar, di una sparatoria nel Mercato della Boquería, di attentatori armati in giro per la cittá. Il risultato è stato panico e sgomento, sensazioni impresse sui volti nella gente che camminava per le strade semideserte, in cui l’unico rumore che si udiva era quello degli elicotteri.

La giornata successiva inizia con un minuto di silenzio tenutosi a mezzogiorno in Piazza Catalunya, tra i siti piú rappresentativi della città, poco distante dal luogo dell’attentato. C’è la sindaca Ada Colau insieme alle principali figure instituzionali della città e del Paese, tra cui il re Felipe e il premier Rajoy. Oltre a questi, partecipano più di duemila persone, riuniti intorno alla parola d’ordine #NoTincPor, dal catalano “non ho paura”.

Il giorno dopo l’attentato, peró, non c’é solo questo: la Falange ha convocato presso la Rambla una manifestazione xenofoba “contro l’islamizzazione dell’Europa” e per la “Spagna bianca e cristiana”.

La Falange è una formazione politica di estrema destra, il cui nome si ispira al partito unico che governò il Paese durante l’intera dittatura franchista. Si tratta probabilmente del principale gruppo di quella galassia di movimenti neofascisti situati alla destra del Partito Popolare, che approfittano di eventi del genere per provare a guadagnare visibilità, nel tentativo di creare anche in Spagna un soggetto di stampo lepeniano.

L’uscita pubblica della Falange a Barcellona è un fatto gravissimo, specie alla luce delle sistematiche provocazioni anticatalaniste che ogni undici settembre, festa nazionale della comunità, questa formazione mette in atto.

Barcellona è una città con una forte tradizione antirazzista, che durante l’ultimo hanno si è mostrata accogliente ed aperta nei confronti di tutti i popoli del mondo, specie sul tema dei rifugiati: risale a circa sei mesi fa la storica manifestazione cittadina, la prima in Europa, a cui presero parte mezzo milione di persone per chiedere al governo di Madrid di rispettare gli impegni presi sull’accoglienza.

Inoltre, parliamo di una città caratterizzata da una presenza capillare di movimenti sociali, che agiscono quotidianamente in ogni quartiere, contro la gentrificazione e la sottrazione dei diritti, aprendo vertenze e tessendo reti di solidarietà.

Ed è proprio questa macchina che si mette in moto quando si diffonde la notizia della manifestazione della Falange: i movimenti della Ciutat Vella, il distretto della città in cui si trova la Rambla, indicono una concentrazione per respingere la presenza dei neofascisti.

L’informazione corre attraverso le reti sociali e si diffonde tra la gente. Si autorganizzano microconcentramenti in ogni zona della città, per confluire insieme nella Rambla.

Nel giro di poche ore prende corpo una manifestazione di svariate centinaia di persone, provenienti da tutte le zone e realtá sociali della cittá. É una risposta dignitosissma se si pensa che l’evento è stato convocato in giornata. Una risposta che in parte conferma e rilancia quel dato di solidarietà ed antirazzismo prodotto nella manifestazione di febbraio a favore dei rifugiati.

Di fronte alle centinaia di manifestanti, i falangisti non sono più di una ventina e dopo qualche momento di tensione sono costretti ad andarsene scortati dalla polizia. A ventiquattro ore dall’attentato, la Rambla ritorna così ad essere attraversata da un messaggio di netta contrarietà nei confronti dell’odio e della paura che ci vengono imposti dai vari fascismi, si chiamino ISIS o Falange.

È ancora difficile immaginare con precisione come evolverà il dibattito pubblico e la dinamica degli eventi nei giorni che verranno. Il prossimo appuntamento certo è quello di sabato 26, giornata in cui il comune di Barcellona ha convocato una manifestazione contro il terrorismo.

Vedremo se si tornerà ad assistere ad una situazione in stile francese, in cui i vari Rajoy e Puigdemont indosseranno le vesti di paladini dei diritti e delle libertà contro la minaccia del terrorismo, o se invece riuscirà a maturare una critica contro questi poteri, artefici di una politica estera che spesso finisce per favorire più o meno direttamente realtà come Daesh [4].

 

[1] La notizia viene propagata attraverso una comunicazione dell’agenzia Amaq, il canale utilizzato tradizionalmente in queste situazioni: “Gli esecutori dell’attattacco sono soldati dello stato islamico ed hanno realizzato l’operazione compiendo gli ordini del califfato e scegliendo come obiettivo i paesi della coalizione” (fonte: eldiario).

[2] L’11 Marzo 2004 dieci zaini riempiti di esplosivo, furono fatti esplodere in quattro treni regionali, che transitavano in quattro stazioni differenti di Madrid, producendo 192 morti ed oltre 2000 feriti (fonte: wikipedia).

[3] Gli attentati avvennero tre giorni prima delle elezioni generali. José María Aznar, all’epoca presidente del governo, insieme al resto del partito popolare attribuí la responsabilitá dell’attentato al’ETA, malgrado le prove suggerivano in maniera sempre piú evidente che si trattasse di Al Qaeda. Quest’atteggiamento fu interpretato dall’opinione pubblica come una mancanza di trasparenza. A questo si sommò il malumore della società civile nei confronti della politica estera del governo di Aznar, che aveva visto la Spagna appoggiare l’invasione statunitense in Iraq per volontá del presidente Bush. Come risultato, Aznar ed il partito popolare persero le elezioni. Per maggiori informazioni sulla dinamica dei fatti si guradi qui.

[4] Già da qualche anno va crescendo nel paese una polemica inerente alla vendita di armi da parte della monarchia spagnola a paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che spesso hanno favorito l’ISIS. Quest’argomentazione sta venendo usata in questi giorni dalla CUP, partito della sinistra catalana, che probabilmente non parteciperà alla manifestazione di sabato 26 come forma di rifiuto nei confronti delle autorità spagnole.