ROMA

Camping River: nuovo sgombero e censura

Il racconto dell’ennesimo, gravissimo, episodio di censura della libertà di stampa. Proprio mentre polizia e vigili urbani sgomberavano nuovamente gli occupanti del Camping River, negando a decine di famiglie il diritto alla casa

Camping River, Roma, 13 settembre 2018: sono passati circa 50 giorni dallo sgombero del campo rom di via della Tenuta Piccirilli; da quel giorno, bambini, donne e uomini dormono per strada, nei parchi e sui marciapiedi di Prima Porta.

Solo 88 delle 420 persone censite prima dello sgombero, secondo i dati forniti dall’assessora capitolina al sociale Laura Baldassarre, sono al momento inserite in un progetto di supporto. Per gli altri, l’accoglienza si riduce alla propria coperta stesa sul prato e al cielo stellato, fino alla decisione di giovedì pomeriggio di rioccupare il campo, per poter dormire con un tetto sopra la testa, nonostante appartenga a un modulo abitativo sequestrato e distrutto.

Mentre un nutrito gruppo di donne e bambini entra lateralmente nel campo, sotto gli occhi stupiti di due vigili di pattuglia, che fino a quel momento non si erano accorti di cosa stesse accadendo, tre giornalisti, preallertati dai propri contatti, si presentano ai cancelli.

Dopo un paio di convulse telefonate di richiesta di rinforzi, i vigili identificano i giornalisti, “colpevoli” d’essere arrivati sul posto prima che il fatto avvenisse, senza aver avvisato le forze di polizia.

Testualmente, nei video registrati, si svolge questo dialogo:

Vigile 1: «Voi guarda caso stavate qui prima che succedesse».

Giornalista 1: «A noi chi ci ha avvertito?»

Vigile 2: «Qualcuno ci doveva avvisare anche a noi».

Giornalista 2: «Io non faccio la delatrice, io faccio la giornalista, che è un’altra cosa».

Vigile 2: «Io però nella mia annotazione ci scrivo che stavate qui da prima».

Giornalista 2: «Arrivare prima sui fatti è il mio lavoro, evidentemente se Lei è arrivato dopo ha fatto male il suo».

Il solo tesserino dell’Ordine non viene accettato per l’identificazione (trattasi di un documento legalmente valido) e viene richiesta anche la carta di identità.

I tre giornalisti vengono fatti allontanare dalla parte più interna del campo, dove sono stati accatastati cumuli di rifiuti e materassi. Tutto è devastazione nel “campo-rom-modello”, dove fino a 3 mesi fa sbocciavano i gerani alle finestre.

Vigile 3: «Andate fuori oltre al cancello. A destra. Ha detto il comandante che per motivi di ordine pubblico vi dovete allontanare. È un ordine di polizia. Andate al di là delle macchine».

Sospinti fuori dal campo, ai tre giornalisti viene impedito di rimanere anche sulla strada; la polizia locale intima di spostarsi 50 metri oltre il cancello, in un punto da dove non sia possibile vedere cosa stia accadendo all’interno.

Al rifiuto dei giornalisti, un agente dichiara:

Vigile 3: «Ragazzi, li tenete?»

Giornalista 2: «Li tenete? Ma vi rendete conto di cosa state dicendo? Io non posso non vedere quello che succede là dentro».

Vigile 4: «La disposizione del dirigente Di Maggio è questa. Hanno disposto che dovete stare oltre per motivi di sicurezza. Dopodiché farete le vostre rimostranze a chi di dovere».

All’ennesimo rifiuto dei giornalisti di spostarsi, per poter testimoniare quello che stava accadendo alle famiglie ancora all’interno del campo, i vigili procedono ad una seconda identificazione.

Seguono ulteriori ordini di spostarsi e altrettanti rifiuti.

Vengono poi chiamate tre agenti donne:

Vigile 5: «Ragazze, allontanate queste donne qui? Se fate resistenza poi parte la denuncia. Adesso vi toccano le donne, andate oltre quelle auto».

Non essendoci altra alternativa, i tre giornalisti decidono di spostarsi. Mezz’ora dopo, le famiglie vengono fatte uscire e, in una lenta processione di bambini per mano e sulle spalle, si avviano verso via Tiberina, scortati da due auto della municipale, per passare l’ennesima notte all’aperto.

Questo, assieme a un altro episodio accaduto lo scorso 7 settembre durante lo sgombero del palazzo in via Costi, è l’ennesimo caso in cui si cerca di tenere la stampa lontana dal luogo in cui stanno avvenendo i fatti, adducendo improbabili motivazioni di ordine pubblico. Come se fosse un problema la presenza di cronisti che documentano le modalità delle varie operazioni, senza accontentarsi di foto, video e comunicati provenienti dai vari uffici stampa delle forze di polizia.

L’informazione è fatta dai professionisti: se la voce dei giornalisti viene spenta a beneficio dei comunicati dei ministeri, si può parlare di propaganda.

Cosa c’è da nascondere, perché non è più possibile avere testimoni durante un’operazione di polizia? Perché nel 2018 in Italia ai giornalisti viene impedito di fare il proprio lavoro, utilizzando l’arma intimidatoria delle identificazioni e la minaccia di una denuncia per resistenza, nel momento in cui sono testimoni di un fatto di cronaca e operano nel pieno rispetto delle regole deontologiche, dell’art. 51 del codice penale, e dell’articolo 21 della Costituzione? A quando una seria riflessione sull’attacco in corso alla libertà di stampa?

Articolo 21 della Costituzione italiana: «…La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…»

Art. 51 codice penale: Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere

«L’esercizio di un diritto (1) (2) o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo (3) della pubblica autorità, esclude la punibilità (4).

2) Casi particolarmente rilevanti di esercizio del diritto sono: a) diritto di cronaca giornalistica: è inteso come il diritto di narrare, attraverso parole o fotografie, i fatti che avvengono; costituisce una espressione del pensiero nella sua forma narrativa e trova il suo fondamento e garanzia nell’art. 21 Costituzione…»

Legge n. 69 del 1963 (ordinamento della professione di giornalista):  Art. 2 (Diritti e doveri):
«È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori…»