MONDO

Una campagna di solidarietà per il regista curdo Çayan Demirel

Il regista Çayan Demirel è stato condannato dalla Turchia a 4 anni e 6 mesi per “propaganda terrorista”. Assieme a Ertuğrul Mavioğlu, sono accusati di essere gli autori del documentario Bakur

Lo scorso 24 gennaio, in occasione del compleanno del regista Çayan Demirel, gravemente malato da ormai quasi 5 anni, decine di persone si sono riunite nella sala di un locale di Istanbul per schierarsi al suo fianco in una vicenda che ha indignato l’opinione pubblica indipendente a livello nazionale e globale.

Stiamo parlando della condanna a 4 anni e 6 mesi per “propaganda terrorista” inflitta dalla seconda corte d’assise di Batman a lui e a Ertuğrul Mavioğlu, rei di essere gli autori del documentario Bakur (Nord in curdo, termine che indica la parte del cosiddetto grande Kurdistan nel Sud-Est della Turchia), prodotto nel 2015, incentrato sul racconto delle idee e della quotidianità dei militanti del PKK che abitano sulle alture di Qandil, al confine tra Turchia e Iraq. Un documentario che ha suscitato forte interesse in patria e all’estero, così come allo stesso tempo pesanti critiche visto il tema trattato, da sempre molto sentito nella penisola anatolica. Le accuse di propaganda terrorista per aver affrontato la questione curda mettendo al centro della narrazione un’organizzazione considerata terrorista dallo Stato turco, quale il PKK, non hanno tenuto conto però della genesi del film, delle idee degli autori, nonché del basilare diritto di libertà di espressione. L’idea del film, come rimarcato nella serata omaggio a Çayan Demirel nasce nel contesto dell’avvio del processo di pace tra Stato e movimento di liberazione curdo nel 2013, con il tentativo di immortalare questo momento storico, raccontando il ritiro completo dei militanti curdi sulle montagne di Qandil e la fine del conflitto armato. Inoltre l’opera tentava di raccontare le ragioni della resistenza mostrandone il lato umano e quotidiano, proprio al fine di incentivare il dialogo e la comprensione reciproca. Da più parti a livello globale è stato apprezzato il prezioso lavoro dei registi che hanno prodotto una testimonianza inestimabile di una storia di lotta e di conflitto, provando a sedersi dalla parte di quello che è stato considerato torto dai governi turchi, al fine di mostrare al pubblico un’altra verità e alimentare il processo di pace per poter affrontare finalmente la questione curda non più su un piano militare ma su quello esclusivamente politico.

 

Foto di Anıl Olcan

 

Ragioni non prese in considerazione dagli organi giuridici e politici nazionali che, con la fine dei negoziati di pace ed il ritorno al conflitto, coincidente purtroppo proprio con l’uscita del film, hanno censurato e messo alla gogna l’opera ed i suoi registi, in un paese sempre più intriso della propaganda bellica dell’esecutivo al potere. La condanna a Çayan Demirel non ha suscitato forte indignazione solo per motivazioni ideologiche, ma anche perché il regista, proprio il giorno dopo l’uscita del film, ha avuto un attacco cardiaco che lo ha costretto a un coma durato mesi, da cui si è fortunatamente svegliato ma a causa del quale ha subito gravi danni da un punto di vista cerebrale che lo hanno costretto ad un’invalidità permanente riconosciuta del 99%. Circostanza non presa in considerazione dai giudici del tribunale di Batman che gli hanno inflitto nel luglio scorso la pesante condanna a 4 anni e 6 mesi di carcere. Da qui l’attivazione dei familiari e degli amici del regista di una campagna di solidarietà che ha visto nel momento di confronto pubblico organizzato in occasione del suo compleanno un passo molto importante, con la presentazione tra l’altro di un toccante cortometraggio che ritrae la difficile quotidianità del regista alle prese con un lungo e complesso processo di riabilitazione. La campagna mira a riconoscere i diritti del regista a ricevere assistenza dallo Stato per la sua condizione di invalidità pressoché totale e a rovesciare la sentenza di condanna ricevuta dalla corte di Batman. Non si tratta di un grido di aiuto, come hanno sottolineato gli amici e i parenti del regista, ma di una rivendicazione volta ad ottenere giustizia e dignità per un artista che tramite i suoi documentari si è sempre battuto per raccontare le pagine più complesse della Turchia moderna, dando voce a chi non l’ha avuta.

 

Foto di copertina dalla pagina facebook Cayanladayanisma