ROMA

C17: Comunismo del sensibile

Inizia la quarta giornata de La Conferenza di Roma sul comunismo: Comunismo del sensibile è la conferenza che ha luogo questa mattina alla Galleria nazionale d’arte moderna (Gnam). Relatori: Alexei Penzin, Claire Fontaine, Jacques Ranciere, Manuel Borja-Villel, Michael Hardt, Roberto Finelli, Terry Eagleton. Streaming su DINAMOpress

Ciò che è in primo luogo Comune è l’«Essere del sensibile». Sensibile nel quale siamo immersi; sensibile della nostra prassi; sensibile delle relazioni, nelle quali siamo sempre gettati. Riflettere sul sensibile significherà anche e soprattutto mettere in tensione il Comune del comunismo con l’estetica, con la costruzione del sensibile, dei suoi orientamenti. Ancora: sarà un modo per riflettere sul rapporto/conflitto tra attività (creativa) e lavoro, tra opera e merce.

1. Poetica dell’emancipazione

Nella prefazione all’edizione italiana del Manifesto del partito comunista del 1893, Engels scrive: «Il chiudersi del medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del medioevo e il primo poeta moderno. Oggi, come nel 1300, una nuova era storica si affaccia. L’Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l’ora della nascita di quest’era proletaria?» Engels si appellava all’emergere di una poetica, e insieme di una lingua, consustanziale al soggetto che si affacciava sulla storia, riportando la politica e la poetica a una comune matrice: la capacità di costruire, di enunciare delle finzioni. Qual è oggi la poetica capace di far esistere «poeticamente» i soggetti che tracciano nuovi percorsi di emancipazione?

2. L’unicità dell’artista

Nell’Ideologia tedesca, a proposito dell’artista, Marx ed Engels scrivono: «La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa, che a essa è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro […] In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più uomini che, tra l’altro, dipingono». Nonostante il progressivo venir meno della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, oggi il lavoro artistico, lungi dal diventare attività tra le altre, ribadisce l’assoluta unicità dell’individuo che lo esegue. Non occorre mettere radicalmente in discussione questa figura, per criticare una modalità di subordinazione sulla quale fanno perno alcuni fra i più vistosi dispositivi di valorizzazione della ragione neoliberale?

3. Aura e plusvalore

Data ormai quasi due secoli la perdita di aura salutata da Charles Baudelaire e descritta da Walter Benjamin: eppure mai come oggi assistiamo alla continua riproduzione e diffusione di aura, fondata su una forma particolare di generazione di plusvalore e sulla individualizzazione di facoltà comuni. Come funziona nel capitalismo contemporaneo il dispositivo che tiene insieme aura e plusvalore?

4. Avanguardia e rivolte estetiche

Dissoluzione dell’autore, dissoluzione dell’arte nella vita, dissoluzione dell’opera: questo il progetto politico delle avanguardie artistiche. Autorialità, recinzione della prassi artistica, ritorno dell’opera è il paesaggio che un secolo dopo abbiamo di fronte. Il venir meno del paradigma avanguardistico, tanto nell’arte quanto nella politica, coincide con una disseminazione delle «rivolte estetiche» e politiche, dunque con un effettivo superamento di quel paradigma, o è piuttosto indice della crescente capacità del capitale di valorizzare ogni innovazione nelle forme di vita?

5. Arte del comune

Né pubblico né privato, comune: è la sfera pubblica non statuale, l’istituzione senza lo Stato. Se il quadro con relativa cornice è strettamente collegato alla collezione d’arte privata della cultura borghese; se il museo è nelle sue origini la narrativa del farsi Stato della nazione, con la conseguente espulsione degli sconfitti e dei possibili che non sono stati, qual è lo spazio dell’arte del comune?

6. Affetti e forme di vita

Nel capitolo «Borghesi e proletari» del Manifesto Marx ed Engels scrivono: «Il proletariato è senza proprietà; le sue relazioni con la moglie e coi figli non hanno più nulla di comune con i rapporti familiari borghesi»; nel capitolo «Proletari e comunisti» dedicano ben due pagine alla questione della famiglia e del suo istituto, e quindi alla politica degli affetti. Le lotte di classe insomma hanno, da sempre, come posta in gioco le forme di vita e la loro trasformazione. Come e dove individuare oggi quei punti di rottura rispetto alle forme di vita neoliberiste che permettano di far emergere una nuova vita comune?